Storia della geografia e delle scoperte geografiche (parte seconda)/Capitolo VI/Asia Centrale
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33. Asia Centrale. — Ad oriente del grande sollevamento del Bolor si entra nella parte occidentale dell’Asia Centrale propriamente detta, corrispondente al bacino del Tarim, che, liberamente aperto nella direzione dell’est, è per gli altri tre lati chiuso da poderose catene di montagne. In questa regione, quasi totalmente deserta e stepposa ad eccezione dei luoghi posti nelle vicinanze dei fiumi che concorrono alla formazione del Tarim, Marco Polo menziona successivamente il reame di Casciar o Cascar (Kashgar), la provincia di Carcam o Charcan (Yarkand) la provincia di Cotam o Cotan (Khotan), la piccola provincia di Peym o Pein, quella di Ciarcia o Ciarcian, e la grande città di Lop, la quale trovasi alla entrata di un gran deserto conosciuto col medesimo nome. «Quelli che vogliono passare il deserto», dice Marco Polo, «riposano nella città di Lop per molti giorni, per preparare le cose necessarie per il cammino; e caricati molti asini forti, e camelli di vettovaglie e mercanzie, se le consumano avanti che possano passarlo, ammazzano gli asini e i camelli, e se li mangiano. Ma menano per lo più i camelli, perchè portano gran carichi, e sono di poco cibo, e le vettovaglie devono essere per un mese, perchè tanto stanno a passarlo per il traverso (da mezzodì a settentrione), perchè alla lunga (da occidente ad oriente) saria quasi impossibile a poterlo passare non potendosi portare vittuarie a sufficienza per la lunghezza del cammino, che dureria quasi un anno. E in queste trenta giornate, sempre si va per pianura d’arena, e per montagne sterili; e sempre a capo di ciascuna giornata si trova acqua, non già abbastanza per molta gente, ma per cinquanta, ovvero cento uomini con le loro bestie, e in tre ovvero quattro luoghi si trova acqua salsa, e amara e tutte le altre buone e dolci, che sono circa ventotto. In questo deserto non abitano nè bestie, nè uccelli, perchè non vi trovano da vivere. Dicono per cosa manifesta, che nel detto deserto v’abitano molti spiriti che fanno ai viandanti grandi e maravigliose illusioni, per farli perire, perchè a tempo di giorno, se alcuno rimane indietro, o per dormire o per altro bisogno, e che la compagnia passi alcun colle, che non lo possa più vedere, subito si sentono chiamar per nome, e parlare a similitudine della voce de’ compagni, e credendo che siano alcuni di quelli, vanno fuor del cammino, e non sapendo dove andare periscono. Alcune fiate di notte sentiranno a modo d’impeto di qualche gran cavalcata di genta fuor di strada, e credendo, che siano della sua compagnia, se ne vanno dove sentono il rumore, e fatto il giorno, si trovano ingannati, e capitano male. Similmenta di giorno, se alcun rimane indietro, gli spiriti appariscono in forma di compagni e lo chiaman per nome, e lo fanno andare fuor di strada; e ne sono stati di quelli, che, passando per questo diserto, hanno veduto un esercito di gente, che gli veniva incontro, e dubitando che vogliano rubarli, si sono messi a fuggire, e lasciata la strada maestra, non sapendo più in quella rìtornare, miseramenta sono mancati dalla fame; e veramente sono cose maravigliose, e fuori di ogni evidenza quelle che vengono narrare che fanno questi spiriti, in detto deserto, che alle fiate, per aere, fenno sentire suoni di vari e diversi istrumenti di musica e similmente tamburi, e strepiti d’arme, e però costumano d’andar molto stretti in compagnia; e innanzi che comincino a dormire, mettono un segnale verso che parte hanno da camminare, e a tutti i loro animali legano al collo un campanello, qual sentendosi, non li lascia uscire di strada; e con grandi travagli e pericoli è di bisogno di passare per detto deserto»1.
La regione deserta, di cui Marco Polo fa questa bella ed ingenua, ma pure fedele descrizione, è quella conosciuta comunemente dai geografi moderni col nome mongolo di Gobi o con quello cinese di Scia-mo. La città di Lop, nella quale si riposavano i viaggiatori e si provvedevano di vettovaglie prima di accingersi alla pericolosa traversata, più non esiste: ma di essa rimangono ancora, a quanto pare, alcune rovine poco lungi dall’attuale riva meridionale del lago Kara-buran che, insieme col lago Kara-Kosciun, è il serbatoio finale del fiume Tarim. È anzi questa la massa lacustre che da gran tempo è designata sulle carte dell’Asia Centrale col nome di Lob-noor, dato propriamente dagli indigeni a tutto il corso inferiore del Tarim.
Alla uscita del deserto è la città di Sachion o Sacion, la moderna Sa-ceu, nella grande provincia di Tangut: a nord-ovest della strada percorsa da Marco trovasi Camul, l’oasi di Chami, verso la estremità orientale del Tien-scian, della quale giustamente dice il nostro viaggiatore che è in mezzo a due deserti, «l’uno dei quali è il grande, l’altro è un piccolo deserto di tre giornate»2. Tanto di Chami quanto dei luoghi di Chingitalas e di Succiur, pare che Marco Polo non ne parli che per relazioni fattegli da altri. Nel primo di questi paesi egli menziona le vene di acciaio (sic) e di andanico3, e un’altra della quale si fa la salamandra, con che probabilmente debbesi intendere l’asbesto. Così pure egli accenna, tra i principali prodotti di Succiur (Su-ceu nella provincia di Kansù), il rabarbaro che è di fatti una delle piante caratteristiche di molti distretti della Mongolia.
Da Sa-ceu i tre Polo giunsero a Champicion o Campion (Kan-ceu) capitale del Tangut, che Marco dice città nobile e grande, ed è ancora uno dei principali centri di commercio tra la Cina e l’Asia Centrale. A settentrione di Campion, si trovano successivamente: Eezima od Esanar; — Caracom o Caracorum, già rammentata più sopra a proposito dei viaggi del Carpini e del Rubruk, e della quale Marco dice che gira tre miglia, mentre il Rubruk non lo fa più grande di San Dionigi; — la grande montagna Alcay o Altay, ove è uso di seppellire i principi discendenti da Genghiz-Khan; — il piano di Banchu, lungo ben 40 giornate, sino alle rive del mare Oceano. Questa parte del Libro di Marco Polo ci conduce, oltre il sistema dell’Altai alle regioni dell’Asia settentrionale, sulle quali, come si vedrà più innanzi, si trovano, negli ultimi capitoli del Libro, alcune interessanti notizie.
Nel medesimo paese di Tangut, che i tre Polo percorsero, prima a levante quindi verso scirocco, per giungere al Cataio, il Libro di Marco parla abbastanza diffusamente di due animali particolari di quella e di altre regioni dell’Asia Centrale, cioè del bue tataro o yak e del muschio. «Vi sono», egli dice, «certi buoi selvatichi, i quali sono della grandezza quasi degli elefanti, e bellissimi da vedere, perocchè sono bianchi e neri. I loro peli sono in ciascuna parte del corpo bassi, eccetto che sopra le spalle, che sono lunghi tre palmi, qual pelo ovvero lana è sottilissima, e bianca, e più sottile e bianca che non è la seta: e M. Marco ne portò a Venezia, come cosa mirabile, e così da tutti che la videro fu riputata per tale»4. E, poco più avanti: «In questa contrada si trova il più nobile e fino muschio, che sia nel mondo, ed è una bestia piccola come una gazzella, cioè della grandezza d’una capra. Ma la sua forma è tale. Ha i peli a similitudine di cervo molto grossi: li piedi, e la coda a modo di gazzella, non ha corna come la gazzella».
Ad oriente della città di Kuku-Khoto e presso l’orlo della terrazza d’onde si dominano le valli della Mongolia interna, alcune rovine considerevoli segnano i luoghi di Khara-Khoto (Città nera) e di Tsagan-Khoto (Città bianca), la seconda delle quali è la Cianganor di Marco Polo. E in mezzo a solitudini, a 40 chilometri a nord di Dalan-nor, città molto commerciante e industriosa, trovasi Ciang-tu (Corte suprema), la quale succedette, come residenza dei Can, alla Città bianca ed a Caracorum, e dove Kublai eresse il palazzo di marmo ed il palazzo di bambù cosi bene descritti da Marco Polo, che dà a quel luogo il nome di Xandù. Uno spazio chiuso da baluardi erbosi ed abbracciante una superficie di dodici chilometri almeno, a nord e ad ovest di Ciang-tu, è probabilmente il parco meraviglioso di cui parla il Polo; ma non vi si vedono più le fontane ed i fiumi artificiali, i prati e le foreste di cui parla l’illustre veneziano5.
Note
- ↑ Testo Ramusiano, cap. XXXI.
- ↑ I viaggi di Marco Polo, cap. XLVII del Testo Magliabechiano.
- ↑ Il Baldelli Boni opina che l’andanico sia il ferro dolce che mescolato con l’acciaio serve a fare le celebri lame damaschine, che si lavorano eccellentemente in Damasco. V. Il Milione di Marco Polo, vol. I, pag. 20, nota a.
- ↑ Cap. LV del Testo Ramusiano.
- ↑ Cap. XXXVI del Testo Ramusianno.