Storia della geografia e delle scoperte geografiche (parte seconda)/Capitolo IV/Guglielmo Rubruk (1253-55)
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26. Guglielmo Rubruk (1253-55). — La generazione che precede immediatamente quella di Marco Polo ci ha lasciato, nella relazione del francese Guglielmo Rubruk (Rubruquis, Ruysbroek) intorno alla missione che il Re S. Luigi di Francia gli aveva affidato per le Corti tartare, la narrazione di un gran viaggio, la quale, ne’ suoi molti particolari, nelle sue vivaci descrizioni, nell’acutezza delle osservazioni e per il grande buon senso dell’autore, forma, secondo un illustre critico moderno, il colonnello Yule, un libro di viaggi più degno di rinomanza di qualunque serie speciale dei capitoli di Marco Polo, e a ben pochi inferiore nella intera biblioteca dei viaggi.
Compagni del Rubruk erano il monaco Bartolomeo di Cremona, il chierico Gossel o Gosset, un valletto per nome Nicolaus ed un interprete che la relazione del Rubruk indica col nome di Homo Dei Turgemannus.
Partito il 7 di maggio del 1253 da Costantinopoli, e, navigato il Mar Nero nella direzione da sud-ovest a nord-est, giunsero alla città di Kersona sulla costa sud-ovest della penisola di Crimea, allora detta Gassaria, e, ai 21 di maggio, al fiorente porto di Soldaia (Sudak) sulla costa meridionale della stessa penisola. Nella relazione della prima parte del viaggio per terra, da Soldaia al Volga per l’istmo di Perecop e le steppe a settentrione del mare di Azov e del mar Caspio, si trovano molte importanti osservazioni geografiche, tra le quali sono specialmente notabili le seguenti.
Lo stretto di Kertsch o di Caffa è la vera foce del Tanai (Don) e porta presso Rubruk il nome di orificium Tanais. A settentrione della foce, il fiume si espande formando il Mare Tanais (Mare di Azov), profondo appena sei piedi, e non navigabile che per barche o piccoli battelli. Questa appendice del Mar Nero va distinta di fatti per la sua piccola profondità, la quale in molti punti non supera 10 metri, e anzi si riduce a poco più di 3 metri nella Baia di Taganrog o del Don.
Il Tanais forma la linea naturale di frontiera dell’Europa verso oriente, nel che il monaco viaggiatore si accorda con geografi medioevali più antichi, tra cui Isidoro di Siviglia. Le sorgenti del fiume sono poste dal Rubruk nelle Paludes Meotides, le quali si estendono, verso il nord, sino alle rive dell’Oceano. Nella relazione del Carpini le Paludi Meotidi sono identificate coi laghi salati, più estesi forse in quei tempi che in oggi, della steppa a settentrione del Mar Caspio. Dal che si vede che, nel secolo XIII, sotto quel nome non si intendeva per nulla il Mare d’Azov. In quale luogo della Russia si debbano porre le grandi paludi, di cui nella relazione del Rubruk, non è facile stabilire: tuttavia, quando si ponga mente a quanto dicono il Barone di Herberstein-Neiperg, scrittore del sec. XVI, ed Olearius (anno 1696) delle sorgenti del Don, il primo dei quali le mette nell’Ivanosero, lungo 1500 verste e largo altrettanto, il secondo in tre laghi della Russia settentrionale, pare che le Paludi Meotidi si possano identificare colla grande zona lacustre che forma uno dei tratti più caratteristici delle contrade nord-ovest della Russia.
Il fiume Etilia (Volga) aveva, nel luogo in cui venne raggiunto dal Rubruk, una larghezza eguale a quattro volte quella della Senna a Parigi. Esso nasce nella Grande Bulgaria, e, scorrendo direttamente verso mezzodì, si getta, mediante tre grandi rami, in un certo mare, che, da una città persiana situata sulle sue rive, prende il nome di Mare Sirsan (Mar Caspio), nel che il viaggiatore confonde il nome di una provincia (Scirvan) con quello di una città. A guisa del Nilo (in Egitto), il fiume ingrossa durante la state.
A settentrione dell’istmo di Perecop, la porta della provincia Gassaria, si estende la vasta steppa della Russia meridionale, cioè il paese dei Comani, la cui triste uniformità non è interrotta nè da montagne, nè da pietre, nè da foreste. Tutto il paese a settentrione del Mar Nero, del Caucaso e del Caspio sino al mare settentrionale, chiamasi Albania, ed è una parte della Grande Scizia. Il suo limite nord è segnato dal mare e dalle già accennate Paludes Meotides. I distretti meridionali sono abitati dai Tartari, e confinano al nord col paese della Terra Nera e collo Stato della Ruscia limitato ad oriente dal Tanai. Al nord della Russia, ricca di foreste, è la Pruscia, alla quale succedono, a mezzogiorno la Polonia e l’Hungaria, ad occidente l’Alemannia. Nel bacino superiore del Volga è la Bulgaria Maior, il più settentrionale di tutti i paesi che hanno città: tra il Tanai ed il Volga sono stanziati i Merdui (gli odierni Mordvini).
Ai 16 di settembre i viaggiatori lasciarono l’accampamento di Batu Khan, e sino alla vigilia della festa di Ognissanti si inoltrarono, nella direzione di oriente, attraverso le vaste steppe al nord del Mar Caspio e del lago di Aral, percorrendo giornalmente una distanza che il Rubruk calcola, con evidente esagerazione, uguale alla distanza da Parigi ad Orléans (100 chilometri in linea retta). Queste steppe erano, quasi dappertutto, uniformi e povere di vegetazione: solo lungo le rive dei pochi fiumi si notavano di quando in quando alcuni piccoli boschi. Il paese era abitato dai Kangle (Cangitti del Carpini?), popolo affine ai Cumani. A settentrione della grande steppa trovasi il paese dei Pascatur (Baschkiri) che appartiene al bacino superiore del fiume Jaic (Ural), e tocca, verso occidente alla Bulgaria maior, verso oriente al paese degli Illac.
Alla vigilia della festa di Ognissanti, i viaggiatori, abbandonata la direzione di oriente, si volsero a mezzogiorno, verso certe montagne che si mostravano lungi all’orizzonte. Al settimo giorno entrarono in un paese bene irrigato e fertile, chiuso a mezzodì da altissimi monti, donde sorgeva un gran fiume che percorreva tutto il paese per mezzo di canali di irrigazione (secundum quod volebant aquam ducere): questo fiume non si gettava in alcun mare, ma si perdeva nel terreno e si espandeva formando molte paludi. Nel medesimo paese era una città dei Saraceni, detta Kinchat, nella quale i viaggiatori entrarono nell’ottavo giorno. Il colonnello Yule così interpreta questa parte del viaggio: «Dopo un viaggio di sei settimane verso oriente, non però tanto direttamente verso est quanto egli si immaginava, e lasciando a destra il Caspio e l’Aral, si rivolse a mezzogiorno, circa lungo il meridiano 67° orientale (da Greenwich), attraverso le Alpi di Karatau1 a sud-est della moderna città di Turkestan, ed entrò nella valle del Talas, fiume del quale Rubruk dice che si perdeva in paludi e non sboccava nel mare. Quivi egli ebbe, a sud-est, delle montagne molto alte, ramificazioni occidentali del Tien-scian, o forse la stessa grande catena». Questa opinione del critico inglese si può accogliere in ogni sua parte, come quella che è confermata sia dal fiume Talas, che in realtà si perde nel lago stepposo detto Karakul, sia dalle alte montagne che ne determinano la valle superiore, tra cui la catena nevosa designata dai moderni esploratori Russi col nome di Catena Alexandra2. Secondo altri autori, il fiume, di cui è cenno nella relazione, sarebbe la Tschui che, abbandonata la sua valle superiore per mezzo della selvaggia e profonda gola di Buam — tra la catena Alexandra ad occidente e l’Alatau transiliano ad oriente — scorre nella direzione generale di ovest-nord-ovest, e si getta, dopo un lungo sviluppo, in un lago detto Saumal-Kul. Ma questa ipotesi cade dirimpetto alla semplice considerazione, che, appunto per la grande distanza del Saumal-Kul dalle alte montagne che tutto ci induce a ritenere come identiche colla catena Alexandra, il monaco francescano si sarebbe trovato nell’assoluta impossibilità di avere alcuna notizia di quel lago delle steppe3.
Dal Talas i viaggiatori si diressero ad oriente, lungo il piede settentrionale della catena Alexandra, e, percorrendo la grande strada militare, costrutta da Ginghiz-Khan, che conduce dalla Zungaria all’Asia occidentale, ed è, ancora in oggi, la più importante linea di comunicazione tra il bacino dell’Ili e quello del Syr, giunsero al paese alpestre dei Caracatai (Karakithan) e ad un gran fiume che essi passarono in battello. Siccome ad oriente della gola di Buam la catena Alexandra è continuata dall’Alatau transiliano, e da questo gruppo si distaccano, sul fianco settentrionale, molti rami, tra cui uno dei più importanti è quello che determina la cintura occidentale, o sud-ovest, del bacino dell’Ili, così è evidente che le montagne dei Caracatai corrispondono alla sezione settentrionale dell’Alatau, ed il grande fiume accennato nella relazione era quello conosciuto in oggi col nome di Ili, ed è il principale affluente del lago Balchasch.
Al di là dell’Ili i viaggiatori entrarono in una valle, nella quale erano le rovine di un’antica fortezza circondata da mura di fango, e poco dopo giunsero ad una città per nome Equius, i cui abitanti, maomettani, parlavano la lingua persiana, quantunque il loro paese fosse molto distante dalla Persia (longissime tamen erant a Perside). Attraversata quindi una catena che dipendeva dagli alti monti del sud, penetrarono, il dì 18 di novembre, in una fertile valle limitata sulla destra da montagne, e sulla sinistra da un gran lago avente un perimetro corrispondente a 25 giorni di viaggio. In quella pianura era una grande città per nome Cailac, centro importante di commercio, e frequentata da molti mercatanti.
Alla relazione del Rubruk corrispondono perfettamente le condizioni oro-idrografiche della regione a settentrione dell’Ili. Questo fiume è, nei dintorni della città di Iliisk, fiancheggiato, sulla sinistra, da una pianura vallosa: a settentrione di questa si innalzano i primi avamposti meridionali, o sud-ovest, dell’Alatau Zungaro, e, a settentrione di essi, si allarga la valle limitata ad oriente dalla massa principale dello stesso Alatau, ed estendentesi, nelle direzioni di occidente e di N.-O. sino alle paludose rive del lago Balchasch, la cui grandezza bene corrisponde al perimetro di 25 giornate indicato nella relazione del viaggio. Si aggiunge, che questo paese è irrigato non solamente da fiumi, numerosi, ma eziandio da canali artificiali, conformemente a quanto dice il Rubruk: «Et illa planicies tota irrigatur ad libitum aquis descendentibus de montibus, quae omnes recipiantur in illud mare». Quali sieno i luoghi corrispondenti all’antica fortezza circondata tutto all’intorno da mura di fango e alla città di Equius è impossibile decidere: ma la città di Cailac si può molto ragionevolmente identificare colla odierna città di Kopal o con alcun luogo nelle vicinanze di questa.
Il paese in cui era la città di Cailac era detto Orgonum, perchè, dice il Rubruk, i Nestoriani colà residenti erano ottimi organisti. Il Malte Brun, il Desborough Cooley ed altri autori non veggono nel nome di Orgonum che una variante di quello di Irgonekon dato ad una valle circondata da montagne e vicina al lago Balchasch4 . Secondo Yule invece, Organum od Organah non era già il nome del paese, bensì quello della sua Regina, la vedova di Kara Ulagu, la quale governò quella contrada dal 1252 al 1260.
Partiti da Cailac il 30 novembre, i viaggiatori giunsero, dopo tre leghe di strada, ad un casale (villaggio) tutto popolato da Nestoriani, e, dopo tre giornate da questo luogo, alla estremità del gran lago, del quale la relazione dice che era tempestoso come l’Oceano, e che in esso si innalzava una grande isola. L’acqua ne era alcun poco salata, ma tuttavia bevibile. Da lungo tempo la parte orientale del Balchasch è disgiunta dal lago principale, col quale essa formava, ancora nei tempi storici, un sol tutto. Essa è ora rappresentata dall’Ala-Kul, dal Sassyk-Kul e da altri meno importanti laghi di steppe. È molto probabile che, ancora nel XIII secolo, questi fossero uniti col Balchasch almeno per una parte dell’anno, in modo da parere come formanti con esso un solo e grandissimo bacino di acqua salmastra. Si aggiunge, che nelle antiche carte cinesi il Balchasch e l’Ala-Kul sono rappresentati come un solo lago: inoltre il Sassyk-Kul ed il Balchasch sono, ancora in oggi, uniti l’uno coll’altro mediante una zona di sabbia e di paludi che nella primavera è occupata dalle acque.
Dall’Ala-Kul il Rubruk ed i suoi compagni si diressero a sud-est (inter meridiem et orientem), ed entrarono in una valle chiusa da montagne, nella quale era un gran mare. A sud-est dell’Ala-Kul si estende di fatti un avvallamento che divide l’Alatau zungaro ad occidente, dai monti Barlyk ad oriente, ed unisce il bacino dell’Ala-Kul con quello dell’Ebinoor. Quest’ultimo, di mediocre ampiezza, corrisponde al mare magnum della relazione del missionario, ed il fiume, del quale questi dice che irrigava la valle, è probabilmente il Tokty che si getta in un piccolo lago tra l’Ebinoor e l’Ala-Kul.
Al di là della valle i viaggiatori attraversarono alte montagne coperte di neve, e quindi giunsero al paese dei Naiman, vasta pianura corrispondente alla regione, relativamente depressa, che segna il più facile passaggio dall’altipiano dell’Asia Centrale alle pianure steppose dell’occidente. Essa è chiusa al nord da un’altra serie di monti che la divide da una vasta pianura non interrotta, come dice il Rubruk, dalla più piccola elevazione, ed avente l’aspetto di un gran mare. Questa serie di montagne apparteneva sicuramente alla sezione occidentale del sistema Altaico, e la grande pianura non può a meno che essere identificata colla parte nord-ovest della Mongolia. Ma non si può accertare la vera posizione della Curia Mangù (Corte di Mangù), ove il missionario giunse il dì 27 dicembre: solo si può dire che essa si trovava a dieci giornate di viaggio — assai lento — e nella direzione del sud-ovest, rispetto al luogo di Karakorum, la cui posizione è ora ben nota dopo la scoperta delle sue rovine fatta dal viaggiatore russo Paderin nell’anno 18755.
Dopo un soggiorno di circa 4 mesi (dal 5 aprile al 10 luglio 1254) nel luogo di Karakorum e ne’ suoi dintorni, incomincia il viaggio di ritorno, il quale per un lungo tratto, sino al paese dei Naimani, si confonde quasi colla strada già tenuta nell’anno precedente. Ma ad occidente dello stesso paese la strada si mantiene quasi sempre nella direzione di occidente sino al Volga, lasciando a mezzogiorno il lago Balchasch, e percorrendo il paese dei Kangle e quello dei Tatari Comani, ad oriente del Volga. A partire da questo fiume, i viaggiatori si rivolsero a mezzogiorno, fiancheggiando la riva sinistra del fiume stesso sino al luogo di Sarai. Secondo il Rubruk, il Volga si divideva, nel suo corso inferiore, in tre grandi rami, ciascuno dei quali era maggiore del fiume di Damiata (cioè del ramo del Nilo che confluisce a Damiata o Damietta). Oltre a questi tre rami principali, se ne notavano altri quattro minori, per cui, per passare dall’una all’altra riva, si fu obbligati a transitare il fiume in sette luoghi. Sul braccio di mezzo si trovava la città di Sumerkent, che, nel tempo delle piene, rimaneva tutta circondata dalle acque.
Dalla riva occidentale del Volga il nostro viaggiatore si diresse a mezzogiorno, probabilmente seguitando, a poca distanza, la riva occidentale del Caspio; giunse, agli 11 di novembre, ai primi contrafforti del Caucaso che, dal nome delle popolazioni colà dimoranti, egli chiama Montes Alanorum. A proposito di che vuolsi notare come il monaco francescano consideri come un sistema continuo di montagne i sollevamenti che abbiamo visto, più sopra, corrispondere alla catena Alexandra, quelli che si innalzano a mezzogiorno del Caspio, e le montagne dell’Armenia cui appartiene il monte Ararat. Da questi Montes Caucasi sorgono, secondo il Rubruk, l’Eufrate a settentrione, il Tigri a mezzogiorno.
Il dì 17 novembre il Rubruk giunse a Derbend, che egli chiama Porta Ferrea, e dice costrutta da Alessandro il Macedone. La descrizione che egli fa dì questo luogo è esattissima, e concorda perfettamente con quelle dei moderni viaggiatori.
Circa alla relazione dell’ultima parte del viaggio, da Derbent al mare di Cipro attraverso la Transcaucasia, l’Armenia, e l’Asia minore, ci limitiamo alle seguenti principali considerazioni.
La steppa di Moan, al piede meridionale del Caucaso orientale, è irrigata da due fiumi, il Currit (Cur, Kyros dell’antica geografia) e l’Araxes. Il Cur, ricco di salmoni, attraversa il paese dei Gurgini (la Georgia) passando per Cefilis (Tiflis), e si sviluppa da occidente ad oriente sino al mare. Dalla terra Ararat, cioè dall’Armenia, discende in quella pianura l’Araxes, il cui corso è da sud-ovest a nord-est.
A nord-ovest della città di Vaxua (Nachdijvan), che fu già una delle più importanti città dell’Armenia, si innalza il monte Masis, odierno Ararat, sulla cima del quale si fermò l’arca di Noè dopo il diluvio universale. In questo gruppo si notano due cime, una maggiore dell’altra: ai loro piedi sorge l’Arasse, e quivi è una città detta Cemaurum, il cui nome significa otto, ed ha la sua origine nella tradizione che la città sia stata edificata dalle otto persone escite dall’arca. Malgrado i molti tentativi fatti, nessuno potè mai giungere sino alla cima del Masis.
Al di là delle montagne, dalle quali sorge l’Arasse, è la città di Aarserum (Erzerum), vicina alle sorgenti dell’Eufrate, le quali si trovano ai piedi dei monti Gorgie. Il Rubruk avrebbe desiderato molto di visitare le sorgenti di quel fiume santo, ma le grandi masse di neve glielo impedirono.
Nella Caramania il Rubruk accenna alle fabbriche di allume che sino al XV secolo somministrarono quel minerale a tutta l’Europa. Di tale industria avevano allora il monopolio due italiani, Bonifacio di Molendino veneziano e Nicolao di San Siro genovese, che furono poi compagni di viaggio al Rubruk sino al porto di Curta (alquanto al nord della foce del Salef).
Assai più importanti sono le notizie, che si leggono nella relazione, intorno alla geografia ed alla etnografia dell’Asia Centrale.
Il centro dell’Asia, cioè il Tienscian colle sue oasi settentrionali e meridionali, era popolato dagli Jugures od Uiguri, che il nostro viaggiatore ebbe campo di conoscere da vicino nella città di Cailac, ove essi avevano molti templi. Essi si estendono, nella direzione del sud e del sud-ovest, sino alla Persia, e, nelle loro città, vivono insieme coi Nestoriani e coi Saraceni (maomettani).
A sud-est degli Uiguri e a settentrione del Kuenluen si estende il paese dei Tanguti. «Ivi si trovano buoi di gran forza con code simili a quelle dei cavalli, ma più feroci, ed hanno corna lunghe diritte ed acute. Si usano per trascinare le grandi case dei Moal (Mongoli); ma non si lasciano aggiogare se non sono allettati col canto». È questa una descrizione esatta del bue tataro, meglio conosciuto col nome di Yak.
Tra il Kuenluen e l’Himalaia era stanziato il barbaro popolo dei Tebec. Secondo il Rubruk, grande è la ricchezza aurifera di questo paese alpestre, il che concorda colle recenti esplorazioni dei Panditi Indiani.
Ad oriente degli Uiguri, dei Tanguti e dei Tebec si estende il paese detto Cataia magna, che il missionario giustamente identifica coll’antico paese dei Seri: «Ultra est magna Cataya, qui antiquitus, ut credo, dicebatur Seres». Primo tra i viaggiatori Europei, egli parla della moneta di carta usata nel Catai e del modo di scrivere dei Cinesi: «La moneta ordinaria del Catai è di carta fatta come il cartone, della larghezza della mano a un dipresso, con linee impressevi come nel sigillo di Mangu Khan..... Scrivono con un pennello, simile a quello adoperato dai pittori, e in una sola figura comprendono molte lettere formanti un periodo».
«I Cinesi, egli aggiunge, sono piccoli di statura, nel parlare molto aspirano per le narici, e, come tutti gli Orientali, hanno occhi molto piccoli».
A nord-est del Catai si trovano i paesi Caule e Manse, cioè, secondo alcuni autori, il Kaoli altrimenti detto Corea e la Mansciuria. Questi paesi si compongono di isole intorno alle quali il mare agghiacciava nell’inverno, di modo che i Tartari potevano passare sul ghiaccio e invaderle. Circostanza questa che meglio condurrebbe a identificare i paesi Caule e Manse colle isole del Giappone o colle Curili, se pure non sia lecito supporre che il Rubruk, il quale aveva queste informazioni in modo indiretto, cadesse, a tale riguardo, in qualche confusione.
Altri popoli menzionati dal Rubruk sono i Solanga (Solangi di Plano Carpini), popolo tunguso che aveva le sue dimore nei bacini dell’Amur e del Sungari superiore; — gli Orengai, che, servendosi di pattini, corrono rapidamente sui campi di neve e sui fiumi gelati, alla caccia dei veloci animali a pelliccie così comuni in quelle regioni dell’alto nord; — il popolo nomade dei Kerkis (Kirghisi) nelle vaste pianure della Siberia occidentale tra l’Ob e lo Jenissei; — i Turcomanni, a sud-ovest dei Kirghisi, sino al lago Balchasch ed alla catena del Karatau; — i Moal o Mongoli, il cui luogo di origine sarebbe a porsi, secondo il nostro viaggiatore, nel paese di Onamkerule, cioè nei bacini sorgentiferi dell’Onon e del Kerulun, rami superiori dell’Amur; — gli Alani a settentrione del Caucaso; i Lesghi, nelle montagne intorno alla città di Derbend.
Non vogliamo dimenticare uno dei più importanti risultati geografici della spedizione del Rubruk, cioè la perfetta indipendenza del Mar Caspio dall’Oceano glaciale. E siccome poco tempo prima Andrea di Lonjumel aveva percorso le rive orientali e meridionali di quel bacino, senza riconoscere alcuna sua comunicazione con un altro mare e specialmente coll’Oceano meridionale, rimaneva per tal modo dimostrato che il bacino Caspico è un bacino chiuso, similmente a quanto avevano già asserito, prima di quel tempo, alcuni geografi arabi. E qui è a notare che, se il Caspio risulta dal viaggio di Piano Carpini come indipendente dall’Oceano glaciale, il pio missionario ammetteva però la sua comunicazione col Ponto, e confondeva il Tanais col Volga.
Note
- ↑ L’illustre critico erra dicendo che nel suo viaggio a mezzogiorno Rubruk attraversò il Karatau: ciò è contraddetto da quanto si legge nella relazione stessa del monaco francescano, che cioè solo al settimo giorno egli giunse in vista di altissime montagne.
- ↑ Nella carta 20 delle Geographische Mitteilungen (1879), la quale accompagna la relazione dei viaggi del dottore Regel nell’Asia Centrale, il Talas è rappresentato come perdentesi alla superficie stessa del terreno, e a sud-ovest di questa foce, che diremmo negativa, sono indicati alcuni laghi paludosi, di cui i principali portano i nomi di Tschekai-Kul e di Kara-Kul.
- ↑ Le distanze dei luoghi in cui il Talas e la Tschui abbandonano le loro valli superiori dagli sbocchi sono rispettivamente, in linea retta, di 170 e di 680 chilometri.
- ↑ Malte Brun, Géographie universelle, vol. I, pag.281; Desborough Cooley, Storia delle scoperte marittime e continentali, vol. I, pag. 339.
- ↑ Il risultato delle indagini del Paderin concordano pressocchè compiutamente colle conclusioni di Abele Rémusat, il quale, fondandosi specialmente sulle antiche relazioni cinesi, fissava, nel 1824, il luogo di Karakorum alla latitudine nord di 40° 32’ 24" ed alla longitudine occidentale (da Peking) di 13° 30’ (101° Est da Parigi).