Storia della geografia e delle scoperte geografiche (parte seconda)/Capitolo IV/Ascelino. Giovanni di Piano Carpini (1245-47)
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25. Ascelino. Giovanni di Piano Carpini (1245-47). — La prima, in ordine cronologico, delle missioni di cui nel precedente paragrafo, fu quella del lombardo Ascelino, monaco domenicano. Accompagnato dai frati Simone da San Quintino, Alberto ed Alessandro, ai quali si aggiunsero, più tardi, Guiscardo da Cremona e Andrea di Lonjumel, egli prese la via della Siria, della Mesopotamia e della Persia, e giunse al principe Baiothnoi che accampava nella Corasmia, a sud-est del lago di Aral. Ma la relazione del viaggio, scritta da Simone di San Quintino, ad eccezione di quanto vi si legge intorno ai costumi dei Mongoli, nulla contiene che sia di vero interesse geografico.
Molto più importante fu la missione del monaco francescano Giovanni di piano Carpini, e de’ suoi confratelli Benedetto di Polonia e Stefano di Boemia. Nel loro lungo viaggio dal Dnjepr sino ad una mezza giornata di distanza da Caracorum sede del Gran Khan, essi attraversarono successivamente la Cumania, i paesi dei Kangitti, dei Bisermini, dei Karakhitai, dei Naimani e dei Mongoli propriamente detti, cioè la parte sud-est della Russia meridionale, i distretti stepposi a settentrione del Caspio e del lago di Aral, la parte settentrionale della Sogdiana, la Zungaria e i territori della Mongolia nord-ovest. Al nord della Cumania, immediatamente al di là della Russia propria, il Carpini nomina i paesi abitati dalle famiglie finniche dei Morduini e dei Bastarci o Baschiri: più a settentrione si trovano i Parositi (verosimilmente i Permiani), i Samogeti (Samoiedi), e, al di là di questi, un popolo Cinocefalo, cioè avente faccia di cane, il quale si estende sino alle deserte spiaggie del Mar Glaciale. A mezzodì della Cumania sono le dimore degli Armeni, dei Georgiani, dei Circassi e degli Abasi. Quanto alla Mongolia o Tartaria, che il Carpini pone là ove si crede che si uniscano l’oriente ed il settentrione, i suoi limiti sono segnati; ad oriente dal Catai (Cina settentrionale) e dal paese dei Solangi (Mansciuria); a mezzogiorno dai Saraceni; a sud-est dagli Huini (Uiguri); ad occidente dai Naimani; a settentrione dall’Oceano. Esattissime sono le indicazioni fornite dal missionario intorno alla geografia fisica generale della Mongolia. «Questo paese, egli dice, è pieno di montagne in alcuni luoghi, affatto piano in altri; ma in ogni dove si incontrano deserti di sabbia, così che non ve ne ha la centesima parte che sia fertile, non potendosi coltivare se non là dove è irrigato dai fiumi, che sono rarissimi. I pascoli eccellenti permettono l’allevamento del bestiame (cavalli e buoi): qua e là si trovano alcuni boschi, ma in generale il paese è poverissimo di alberi». Ed anche le osservazioni sulla meteorologia di quella parte dell’Asia Centrale sono pienamente confermate da quelle dei moderni esploratori. «Il clima è estremamente variabile e tempestoso. Di mezza state si scatenano terribili uragani con tuoni e lampi dai quali molte persone vengono uccise, e in quella medesima stagione cade talvolta molta neve, e i venti settentrionali soffiano con tanta violenza che un uomo può con difficoltà cavalcare. Non piove mai nell’inverno; frequentemente nella state, ma così minutamente da passare appena la polvere e inumidire le radici delle erbe appassite. Non di rado cadono grandini prodigiose. In fine durante l’estate a calori repentini e pressochè intollerabili succedono rapidamente intensissimi freddi».
Assai bene delineati sono i caratteri distintivi della razza mongolica. «I Mongoli, dice il Carpini, differiscono totalmente da tutte le altre nazioni, essendo assai più larghi di faccia tra gli occhi e le guancie. Hanno le ossa della faccia prominenti, nasi piccoli e rincagnati; occhi piccolissimi colle palpebre superiori rialzate sino alle ciglia; corpo snello, barba molto rada. Portano i cocuzzoli rasi da ambe le parti alla maniera dei preti, lasciando tuttavia crescere alquanti capelli nel mezzo; il rimanente è avvolto in due treccie che si uniscono dietro le orecchie».
Alcune notizie si leggono nella relazione del Carpini intorno alle principali tribù dei Mongoli ed alle imprese guerriere di questo popolo famoso, tra cui la spedizione di Ogodai od Oktai al paese dei Karakhitai (Piccola Bucaria), e al gran deserto di Gobi o Sciamo, in cui vivevano, qua e là, certi uomini selvaggi incapaci di parlare, e senza nodi alle gambe, ma tuttavia abbastanza industriosi per fabbricare feltro di pelo di cammello per vestirsene e proteggersi dalla inclemenza delle stagioni. Un altro dei figli di Ginghiz-Khan, penetrato con un poderoso esercito nell’India, si era impossessato della parte di questo paese conosciuta col nome di Piccola India e popolata da Saraceni; ma al suo tentativo di entrare nella Grande India, la cui popolazione si componeva, per la maggior parte, di famiglie cristiane, si era opposto validamente Prete Gianni, il re del paese, combattendo i Mongoli con un gran numero di simulacri di rame pieni di materie infiammabili. Di questo singolare personaggio, detto Prete Gianni, che il Carpini ed altri viaggiatori del Medio Evo pongono nell’India, mentre alcuni lo mettono nella Cina, ed altri nell’altipiano etiopico od in altri luoghi del continente africano, ed il cui nome era già conosciuto in Europa per relazioni del vescovo di Gabala (anno 1145) e, poco dopo, per la Cronaca di Ottone di Freysing, avremo occasione di trattare nel seguito di questo lavoro. Per ora, ritornando al racconto del Carpini, è utile rilevare il nome di Burithabet, col quale vi è indicato uno dei paesi percorsi dai Mongoli nel loro viaggio di ritorno dalla Grande India, e, per conseguenza, a settentrione della regione Indiana. La somiglianza dei nomi e la posizione geografica paiono venire in appoggio di quegli autori che identificano il Burithabet della relazione del Carpini col Tibet della geografia moderna.