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istrumenti di musica e similmente tamburi, e strepiti d’arme, e però costumano d’andar molto stretti in compagnia; e innanzi che comincino a dormire, mettono un segnale verso che parte hanno da camminare, e a tutti i loro animali legano al collo un campanello, qual sentendosi, non li lascia uscire di strada; e con grandi travagli e pericoli è di bisogno di passare per detto deserto»1.

La regione deserta, di cui Marco Polo fa questa bella ed ingenua, ma pure fedele descrizione, è quella conosciuta comunemente dai geografi moderni col nome mongolo di Gobi o con quello cinese di Scia-mo. La città di Lop, nella quale si riposavano i viaggiatori e si provvedevano di vettovaglie prima di accingersi alla pericolosa traversata, più non esiste: ma di essa rimangono ancora, a quanto pare, alcune rovine poco lungi dall’attuale riva meridionale del lago Kara-buran che, insieme col lago Kara-Kosciun, è il serbatoio finale del fiume Tarim. È anzi questa la massa lacustre che da gran tempo è designata sulle carte dell’Asia Centrale col nome di Lob-noor, dato propriamente dagli indigeni a tutto il corso inferiore del Tarim.

Alla uscita del deserto è la città di Sachion o Sacion, la moderna Sa-ceu, nella grande provincia di Tangut: a nord-ovest della strada percorsa da Marco trovasi Camul, l’oasi di Chami, verso la estremità orientale del Tien-scian, della quale giustamente dice il nostro viaggiatore che è in mezzo a due deserti, «l’uno dei quali è il grande, l’altro è un piccolo deserto di tre giornate»2. Tanto di Chami quanto dei luoghi di Chingitalas e di Succiur, pare che Marco Polo non ne parli che per relazioni fattegli da altri. Nel primo di questi paesi egli menziona le vene di acciaio (sic) e di andanico3, e un’altra

  1. Testo Ramusiano, cap. XXXI.
  2. I viaggi di Marco Polo, cap. XLVII del Testo Magliabechiano.
  3. Il Baldelli Boni opina che l’andanico sia il ferro dolce che mescolato con l’acciaio serve a fare le celebri lame damaschine, che si lavorano eccellentemente in Damasco. V. Il Milione di Marco Polo, vol. I, pag. 20, nota a.