Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo VII.

CAPITOLO VII.

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Capitolo VI. Capitolo VIII.

[p. 111 modifica]Terranova Pausania — Chiesa di S. Simplicio.


CAPITOLO VII.

SANTA MARIA DEL REGNO IN ARDARASA — SAN NICOLÒ DI TRULLAS
CHIESA DI S. SIMPLICIO IN TERRANOVA PAUSANIA.


Fra le manifestazioni d'arte toscana in Sardegna quella che meno apparisce come tale è la Chiesa di S. Maria del Regno in Ardara. All'occhio assuefatto alle forme eleganti delle chiese vicine di Sorres e di Saccargia, in cui le gallerie ad archetti si sovrappongono in diversi ordini mediante colonnine poggianti su ricorrenze orizzontali, squisitamente scolpite, la prima impressione ch'essa produce è di sorpresa per le forme maschie e rudi, quasi tetre, che richiamano alla mente le basiliche, che i maestri romanici cressero nei piani lombardi.

Sulla fondazione della chiesa mancano i documenti epigrafici: uno si conserva non completo nell'altare del seguente tenore: conserva non completo nell'altare del seguente tenore: ✠ MCVII SEPTIMO IDVS MADII TemPoRe EPIscopatus PANCRASII SECVnDI | ROMANE ECCLesiE PONTIFI[p. 112 modifica]CATVM REGENTIS RELIQVuiE HVIVS ALTARIS | LAPIS DE SEP . . . . . . . . . . 1 ma esso per riferirsi alla consacrazione dell'altare presuppone l'erezione della chiesa in tempi più remoti.

La stessa cronaca che riferisce le vicende della fondazione della Chiesa di S. Gavino di Torres, incidentalmente accenna all'erezione di S. Maria d'Ardara. Racconta l'ignoto annalista che Comita avea per sorella Donna Iorgia una forte femina qui issa curriat mandras et recogliat sas dadas. et icusta fetit sa Corte de Sa Villa de Ardu. et fetit su Casteddu de Ardar et fetit S. Maria de Ardar. Da questo passo si desume che la Chiesa di S. Maria del Regno venne eretta poco prima del tempio di S. Gavino da Georgia, sorella del giudice, che la cronaca descrive come donna d'animo virile, usa ai più pericolosi esercizi e fortunata vincitrice del giudice di Gallura.

Se questi clementi noi mettiamo in relazione con quei che ci sono dati dall'iscrizione, il nucleo storico del condaghe ne resta ancor più avvalorato. L'assegnazione di S. Maria d'Ardara al secolo XI corrisponde agli elementi storici ed epigrafici non solo, ma è in armonia coll'architettura della chiesa, in cui sono svolti gli elementi stilistici e costruttivi del periodo romanico-arcaico. Anche il Fara riferisce la stessa versione del condaghe che certamente ebbe presente: Habet dextrorsum in regione Oppiae propinquum oppidum Ardarae, in quo saepe Iudices Lugadori residebant, et Georgia, Comitae Iudicis Turritani soror, ex quadratis lapidibus albis, nigrisque insigne condidit templum B. Mariae Regni sacrum, tribus fornicibus multisque columnis fultum . . . . . . . . . . . . . . . 2.

L'avere l'eminente e coscienzioso analista accettata la versione dell'apografo antichissimo dimostra che notizie storiche in esso contenute non erano smentite dal materiale paleografico abbondantissimo, di cui egli potè prender visione e che in buona parte a noi non pervenne.

La chiesa di S. Maria del Regno dovea esser sotto il patronato diretto dei giudici di Torres, come ci fa presumere il suo titolo. In essa e nel castello, le cui rovine palesano un'imponente costruzione, si svolsero i fatti più salienti del giudicato di Torres. Molti documenti sovrani sono emanati dalla reggia d'Ardara e nella chiesa, presieduto dall'arci[p. 113 modifica]vescovo di Pisa, Uberto, legato della Santa Sede, si tenne nel 1130 un concilio nazionale, in cui, presenti i presuli e gli abati dell'isola, si decisero le controversie da lungo vertenti fra il capitolo di S. Gavino e l'arcivescovo di Torres per alcune donazioni fatte da questi ai religiosi di Monte Cassino.

L'annalista del Liber judicum Turritanorum, rinvenuto recentemente dal Besta nell'archivio di Stato di Torino, ci dice che nell'altare maggiore di detta chiesa i giudici di Logudoro, assumendo il potere, giuravano la fedeltà del regno presenti i vescovi ei signori del giudicato turritano.

La chiesa s'erge sopra una collina all'estremità dell'abitato e domina il fertile piano che si estende fino ad Ozieri. Nella sobrietà delle sue Ardara — Chiesa di S.ta Maria del Regno.linee essa apparisce grandiosa e suggestiva quest'impressione deriva dal suo completo isolamento e dal non aver ora alcuna appiccicatura alterante il primitivo aspetto.

Nel 1865 un parroco ignorante distrusse l'antico coperto in legname sostituendolo con una pesante volta e con un cupolino, che grottesca mente rompeva le linee prospettiche longitudinali.

Le deturpanti modifiche non solo avevano alterate le belle linee dell'antico monumento, ma aveano causato colle forti spinte un movimento rotatorio nei muri, che gli artefici medioevali innalzarono per sostenere pesi verticali.

Quest'errore venne riparato dal parroco attuale, alla di cui attività [p. 114 modifica]ed all'interessamento del Ministero dell'Istruzione Pubblica si deve se la volta ed il ridicolo cupolino poterono demolirsi, rinnovando l'antico coperto e le antiche lince secondo le traccie rinvenute durante l'esecuzione dei lavori.

Questi io ebbi la ventura di dirigere e durante il loro svolgimento, non scevro d'ansie e di pericoli, mi fu possibile di studiare estesamente il bel monumento dei giudici di Torres.

La disposizione planimetrica della chiesa è la basilicale primitiva senza navata traversale. Ha tre navi longitudinali, separate da due fila di colonne, e la centrale termina con un'abside circolare. Le due navate laterali sono coperte da volte a crociera con spigoli vivi e la centrale, come si disse, da un coperto sostenuto da cavalletti in legno a vista.

Molti scrittori, copiandosi del resto l'uno dall'altro, attribuirono alle colonne un'origine classica e cioè provenienti dalle rovine romane di Torres. Niente di più inesatto e per convincersene basta una superficiale disamina.

Le colonne sono tozze e costrutte con cantoni trachitici scuri. Questo materiale vulcanico, proveniente da cave vicine, non permette un'estrazione a grossi blocchi, per cui gli artefici, non potendo ottenere fusti d'un sol pezzo, dovettero servirsi di una muratura a cantoni, alla quale certamente non poterono dare le ristrette dimensioni che avrebbe consentito una proporzionata colonna.

I capitelli si dissero corinzi, mentre sono schietti romanici, scolpiti a grandi tratti ma con efficacia d'effetto. Sono sormontati da un grosso lastrone trachitico, che serve da abaco e da pulvino, e sopra di esso impostano le arcate sostenenti i muri della navata centrale.

I muri sono rivestiti in ambedue le pareti con conci trachitici scuri, il che insieme alla poca luce che trapela dalle esili feritoie produce anche nell'interno quell'impressione di scuro e di grave, che già si prova alla vista della chiesa dall'esterno.

Forse anticamente quest'impressione era diminuita, se non eliminata, dalle pitture, che doveano decorare le pareti. Di queste rinvenni nel muro terminale a lato dell'apertura dell'abside traccie debolissime si, ma sufficienti per poterle giudicare del XII secolo, se pur non furono coeve all'erezione della chiesa.

Indubbiamente le pareti dovettero essere affrescate nel XV secolo con dipinti che certo non costituirono l'ultima delle attrattive della [p. 115 modifica]chiesa per quanto possiamo desumere da due scene eseguite a lato della porta d'ingresso e rappresentanti una Gloria ed il Giudizio Finale; in quest'ultimo si conserva tutt'ora in buon stato la figura di un angelo dipinto con quella leggiadria che fu propria degli artisti fiorentini del quattrocento.

Questi affreschi misconosciuti dagli antichi e dai moderni, subirono molti guasti e non meritano l'ingiustificato oblio, che li avvolge.

Posteriormente vennero affrescate anche le colonne con figure di Ardara — Chiesa di S.ta maria del Regno (pianta).santi, che, pur avendo un certo valore decorativo, sono mediocri per il disegno e per l'esecuzione.

Nell'interno della chiesa, spoglio per fortuna di quella farraginosa decorazione in stucchi, di cui nel seicento e nel settecento si amava coprire le pareti degli edifici medioevali, si conserva un imponente monumento pittorico, posto sopra l'altare ed elevantesi tanto da raggiungere la travatura del tetto, coprendo interamente l'abside.

È un'ancona dall'ossatura gotica a forma di tempio, contornante una trentina di dipinti su tavole con fondi d'oro. Niente di più decorativo di questa grandiosa pala d'altare, che coi suoi ori, colle svelte [p. 116 modifica]modanature e colle ornamentazioni ascendenti, che l'artista apprese dai maestri catalani, riempie di gioconda luminosità la tetra navata, circondando in un fascio di luce e di poesia la bella madonnina che, nimbata di un'aureola raggiata con arte orientale, campeggia in una nicchia a stelle d'oro su fondo azzurro, reggendo in braccio il bambino e con una mano lo scettro, simbolo forse di quel regno, che i giudici di Torres aveano messo sotto la sua protezione.

L'influenza dell'arte fiamminga pervenuta per tramite degli artisti catalani si afferma nelle pitture, nelle quali al pregio decorativo non corrisponde certo eccellenza d'esecuzione, e nell'ossatura architettonica in legno dorato, scolpita e traforata con minutezza d'intagli e di ornati come se non fosse in legno, ma in argilla od in cera.

La facciata non subì alterazione alcuna e tutt'ora si mantenne integra, quale l'idearono i primi costruttori: non un'aggiunta, non una modifica anche lieve. Il partito architettonico in essa svolto non ha riscontro nè in Sardegna nè fuori, senza che perciò si possa definirla come manifestazione d'arte locale. Ritengo che i modelli sieno stati a Pisa e nelle altre belle città della Toscana e che lo sviluppo dell'architettura pisana a loggie, che trovò rapida applicazione per le migliorate condizioni economiche, abbia agli ultimi del XII o al principio del XIII secolo coll'applicazione alle antiche chiese pisane dei nuovi partiti, distrutto le forme originarie alle quali dovettero inspirarsi i costruttori medioevali di Sardegna.

Anche in quest'isola abbiamo esempi di trasformazioni dovute alla gaia festosità dell'architettura schiettamente pisana, ma quel sentimento di conservazione, che contradistingue la natura dei sardi e che tanta influenza ebbe in tutte le manifestazioni della vita isolana, risparmio le più belle facciate del periodo arcaico.

A ciò si aggiungano le disagiate condizioni dell'isola, che non permisero, anche quando maggiormente imponevansi le forme barocche, gli abbellimenti e le grandiosità, che nelle altre regioni italiane trasformarono tanti monumenti mediaevali.

La nostra povertà fu di gran giovamento per l'arte: le nostre chiese medioevali saranno prive di sculture, di ori e di stucchi, saranno deteriorate da mancata manutenzione, ma per lo più sono integre, senza sostanziali modifiche che ne alterino l'originale aspetto. Poche chiese d'Italia si presentano con sincera architettura medioevale, senza aggiunte. [p. 117 modifica]Ardara — Chiesa di S.ta Maria del Regno (facciata e fianco). [p. 118 modifica]senz'alterazioni, come le chiese di S. Maria di Tratalias, di S. Maria d'Uta, di S. Antioco di Bisarcio, di S. Pietro di Sorres, la quale ultima par sorta ieri dalle abili mani degli artefici, che ne innalzarono le mura e ne decorarono le pareti.

La chiesa d'Ardara è una delle più suggestive: la prima volta che la visitai si festeggiava non so qual santo: un giovane sacerdote in quell'idioma, che par latino e che in Logudoro si parla da più che dieci secoli, rivolgeva vibrate parole ai fedeli, sparsi per le tetre navate, le donne nella centrale e gli uomini nelle laterali secondo un'antica usanza. Le scintillanti ornamentazioni gotiche avvolgenti le figure primitive dell'ancona, i profeti dipinti nelle tozze colonne, la nudità delle pareti, le figure dei contadini e dei pastori vestiti di le belle donne avvolte in antichi tessuti, le mura del castello d'Ardara intravedentisi dalla porta aperta nello sfondo di una campagna brulla ed incolta suscitarono in me godimenti e sensazioni di un mondo ormai sparito tanto era armonica la fusione dei sentimenti della folla, della lingua, della stessa natura colle medioevali forme dell'antica chiesa.

E quest'integrità artistica non riesce solo di soddisfazione estetica, ma è importantissima per poter riandare alle fonti dell'architettura pisana, a quei modelli del primo periodo, dei quali oggidì non sussistono che pochi frammenti nelle absidi e nei fianchi.


La porta principale d'ingresso s'inspira al tipo toscano il più semplice: un lungo architrave monolitico poggia direttamente su due piedritti lisci senza base e senza capitelli. Sopra l'architrave non svolgesi immediatamente l'arco di scarico, ma in corrispondenza agli stipiti s'innalzano per più di un metro due piedritti raccordati superiormente dalla semi circonferenza dell'arco di scarico.

Questo è a filo del muro ed è contornato da una cornice sagomata. E qui noto una delle tante sottigliezze di cui i pisani abili negli effetti di prospettiva giovaronsi nella costruzione dei loro edifici. La cornice che limita l'arco di scarico è eccentrica rispetto a questo per cui all'imposta abbiamo una larghezza di cuneo minore che alla mezzeria, ottenendosi così un effetto prospettico che certo non avrebbesi conseguito qualora la cornicetta e lo spigolo circolare dell'arcata di scarico avessero avuto lo stesso centro. [p. 119 modifica]Ardara — Chiesa di S.ta Maria del Regno (rilievo del fianco). [p. 120 modifica]

Sovrasta la porta una bifora, quale riscontriamo nei più antichi edifici: la esile colonnina porta superiormente un pulvino che, ornato con foglie d'acqua e raccordato inferiormente col fusto, si allarga in modo da poter abbracciare i due archi d'imposta per tutto lo spessore della muraglia.

Una cornice a grosse sagome sapara questo primo ordine dal frontone, in cui campeggia una finestra crociforme ed in cui si svolgono gli archetti pensili ascendenti poggianti su mensoline, sui pilastri angolari e su strette lesene che si prolungano in giù fino allo zoccolo.

Le campate terminali corrispondenti alle navate laterali sono separate dalla parte centrale mediante due strette lesene e superiormente sono terminate da cornici inclinate coi soliti archetti che seguono l'inclinazione delle falde del tetto.

Lo stesso fregio romanico si svolge nella sommità dei muri laterali, nell'abside circolare e nel frontone del muro posteriore. Anche in questo abbiamo una finestra crociforme corrispondente a quella della facciata.

Queste finestre non aveano unicamente effetto decorativo, ma si eseguivano anche per soddisfare un bisogno pratico, d'illuminar cioè la zona immediatamente sotto il tetto, in cui per la scarsità della luce pro veniente dal basso e per il susseguirsi a breve distanza delle armature in legname, non sarebbe possibile nè un'efficace manutenzione nè le verifiche senza la tenue luce delle finestrine aperte con senso decorativo nei frontoni.

I costruttori pisani molto si preoccupavano di questa facilità d'accesso a tutte le parti dell'edificio e, trattando della Chiesa di S. Maria di Tratalias, vedremo un esempio geniale di queste preoccupazioni, per cui non si peritarono di eseguire opere costruttive ardite per l'indipendenza da ogni vincolo artistico.

Ad un lato della chiesa sorgeva la torre campanaria; oggi non esiste che la parte inferiore, ma quanto ci rimane è sufficiente, riferendoci ad altre torri campanarie coeve del giudicato di Torres, per ricostrurla idealmente.

Essa dovea inspirarsi alle prime forme romaniche, per cui la torre veniva scompartita in diversi ordini, separati da ricorrenze orizzontali col solito fregio ad archetti.

Il basamento si presenta tozzo senz'apertura alcuna: più in alto i quattro muri dovean esser forati con quattro finestre circolari e queste nelle zone superiori doveano ampliarsi in bifore ed in trifore. Una cuspide piramidale dovea coprire la torre campanaria. [p. 121 modifica]

Oggidì il vano della parte inferiore della torre è usufruita per sagrestia, per cui le pareti sono intonacate e la cella ha subito non lieve trasformazione, ma queste aggiunte non distrussero interamente le antiche traccie, da cui si desume che i diversi piani del campanile erano separati da impalcati sostenuti da travi in legno.

La torre venne costrutta posteriormente alla chiesa, giacchè l'archeggiatura del muro della navata laterale della chiesa si prolunga non solo all'interno della torre, ma si svolge anche nell'attacco dei muri di questa, attacco che è anche superficiale senza quel collegamento murario Ardara — Chiesa di S.ta Maria del Regno (rilievo dell'abside).che sarebbe stato facile in una contemporanea costruzione e che i maestri medioevali avrebbero indubbiamente eseguito.

L'esistenza degli antichi impalcati è resa manifesta dalle sottomensole in pietra nelle quali appoggiavano le travi del primo impalcato.

L'opinione che il campanile sia stato iniziato e non ultimato, è da scartarsi per molteplici ragioni sulle quali è superfluo insistere.


In prossimità a Semestene ed in località detta Truddas si conserva tutt'ora in buone condizioni e senza sostanziali alterazioni l'antica chiesa, [p. 122 modifica]che nei documenti del giudicato di Torres è ricordata col nome di San Giorgio di Trullas.

La prima menzione di questa chiesetta si riscontra in un atto di donazione fatta nel 1115 da Pietro de Athen e da altri notabili turritani ai Camaklolesi, che da tempo erano stabiliti in Sardegna. I donatori Pietro colla moglie Padulesa, tocore d'Athen colla moglie Elena di Zori, Comita di Zori con la moglie Vera de Athen ecc. concedono cun voluntate de Deus e dessu donnu nostrum iudice Gostantine dicto nomine de Lacon et dessa muliere donna Marcusa regina a Guido priore dei calmadolesi la Chiesa di S. Nicolò di Trullas con tutti gli arredi paramentos de missa, et ci non de sint levata sa mensa de su argentu ci est in su altare, et non sa cruce dessu argentu, et non su calice de cantare missa non su altare vitori ci si est, non sas reliquias ci vi sunt et non sos libros ci vi sunt.

Da un'altro passo della stessa concessione risulta che alla chiesa era annesso un fabbricato, abitato da alcuni monaci che sono chiamati eremiti, il che c'induce a ritenere che non solo la chiesa ma anche il monastero veune costrutto anteriormente al 1115. Altra menzione di questa chiesetta si ha in una bella di Onorio II del 1125 confermante all' ordine dei Camaldoli le chiese ed i monasteri che possedeva in Sardegna.

Con altre bolle susseguenti la stessa chiesa è confermata da diversi pontefici allo stesso ordine, per cui si può ritenere che sino al XIII secolo la chiesetta appartenne al potente ordine di Camaldoli.

Che S. Nicolò di Trulla fosse annessa ad un monastero, probabilmente alla dipendenza della abbazia di Saccargia, oltre che dal surriferito diploma risulta anche dalle rovine che circondano nel piano di Truddas la chiesetta e che formarono col pietrame coi calcinacci una lieve prominenza entro la quale essa restò incassata.

Non è neanche improbabile che presso la Chiesa di S. Giorgio fosse un nucleo di popolazione agricola — una donnicalia se tale nome potesse applicarsi alle pertinenze dei monasteri — con servi, con ancelle, con animali e con casette per la coltivazione del piano di Trullas, che dalle montagne di Bonorva si protende ad occidente lambendo la catena montuosa del Murtas.

La menzione di questa chiesetta nel 1115 è la prima cronologicamente rispetto ai documenti fin'ora conosciuti, ma non certo la prima [p. 123 modifica]in modo assoluto e la stessa parola vescovile confirmo indica un'anteriore donazione.

Ora, se si pone mente, che queste concessioni fatte dai giudici dai maiorales non aveano unicamente il carattere religioso ma molto spesso sotto le parvenze di culto nascondevano interessi materiali, è da ritenere che una fattoria (donnicalia) fosse già stabilmente formata presso la Chiesetta di S. Giorgio, per cui, tenendo conto del tempo Ardara — Chiesa si S.ta Maria del Regno (sezione).occorrente per la sua costituzione si può asserire, senza tema d'errare, esser stata questa chiesa eretta in pieno secolo XI.

La Chiesa è di ristrette dimensioni ed a una sola navata: il suo pavimento, come si disse, è al disotto del circostante terreno in cui sono numerosi avanzi di antichi fabbricati. La chiesa è orientata, per cui la facciata è esposta a ponente.

In questa abbiamo un ordine di colonnine, non isolate, ma incastrate per un terzo nel muro con capitelli rozzamente scolpiti e sagomati con listelli e sottostanti guscie.

È una delle forme più antiche, quale si riscontra nelle chiese del XI secolo, come in S. Gavino di [p. 124 modifica]Portotorres. In tre di questi capitelli rompe la rozza semplicità della sagomatura una grezza ornamentazione a forma di conchiglia, che fa pensare a incerti tentativi di nuove forme per parte di artefici educati ad un arte primitiva e disadorna.

Il frontone è liscio, ma originariamente in esso dovea svolgersi il motivo architettonico a false loggie, complemento indubbio delle linee sottostanti. Probabilmente le colonnine e gli archetti vennero rimossi quando eseguironsi quei lavori di modifica, nei quali la travatura a vista sostenenti il coperto venne sostituita da un pesante voltone a botte.

Nei muri laterali svolgesi la caratteristica decorazione romanica degli archetti pensili ed il sottostante e terso parmento in cantoni di calcare bianco, ora attenuato da una leggera patina dorata, è rotto unicamente da alcune finestrine, che l'artefice cercò di rendere più appariscenti con ornati geometrici grafiti più che scolpiti.

Queste finestrine differenziano da quelle che usualmente sono nelle chiese medioevali dell'isola per i davanzali sagomati, i quali del resto sono molto frequenti nelle finestrine delle chiese toscane e si possono osservare ad esempio nelle chiese di S. Alessandro e di S. Maria Cortcorlandini a Lucca.

La stessa cornice romanica ad archetti pensili che abbiamo rilevato nei muri laterali, si svolge nell'abside circolare diviso in due parti eguali da una lesena che prolungasi fino all'imposta dei due archetti centrali.

Malgrado i tentativi d'ornamentazione delle finestre e della facciata ogni forma d'arte sembra esulata da questa piccola e disadorna chiesa; pur tuttavia l'azione del sole cocente, stendendo con vaghe sfumature per il bianco rivestimento una leggera patina d'oro, diede alle vecchie mura un certo fascino, che è reso ancor più vivo nei tramonti dalle coppe iridescenti a fogliami verdi su fondo giallo, incassate nella facciata e nell'abside.


All'estremità dell'abitato di Terranova Pausania ed in prossimità al mare sopra una piccola prominenza granitica s'eleva la Chiesa di S. Simplicio.

Essa porta il nome di un martire, che, secondo la leggenda, sarebbe stato vescovo di Civitas e messo a morte nell'antica Olbia, la Felice, dall'imperatore Diocleziano. [p. 125 modifica]

Gli scrittori, che di questo tempio s'occuparono, senza tener conto degli elementi stilistici, ch'essa offre in grande copia, attribuirono al VII secolo la sua erezione. Anche una superficiale disamina dell'edificio è sufficiente a riconoscere quanto quest'assegnazione sia erronea.

Esaminando le fonti, da cui attinsero non solo gli scrittori del XVII e XVIII secolo ma anche i più recenti come il La Marmora, si riscontra subito che tutti più o meno basaronsi sopra il seguente passo del Fara: Olbia...... super cuius ruinis constructa postea fuit urbs Phausiana, seu Phausina, seu etiam Phansania, episcopali sede decorata, in qua sedit Beatus Semplicius, qui saeviente Diocletiani persequtione, anno salutis 301, a barbaro Sardiniae Praeside, pro Christi fide, lancea confossus fuit; nulloque suffecto antistite, sedes vacavit, usque ad annum 601, Terranova Pausania — Chiesa di S. Simplicio (pianta).quo sancti Gregorii Papae iussu, Victor, episcopus creatus paganos idola colentes ad christianam fidem convertit, et sedem collocavit in templo affabre elaborato ac Divo Semplicio dicato, quod integrum ad huc cernitur, nomen Civitanensis ecclesiae habens, qua prius exempla fuit3.

In questo passo sono esposte la pia leggenda e l'origine della chiesa, ma quest'ultima non è che ma fioritura dello scrittore ad un passo della Epistola XXIX lib. III di S. Gregorio Magno colla quale questi rivolgevasi al vescovo di Cagliari, Ianuario, per dar i sacri ordini a Vittorio nella sede di Fausania, in cui da tempo era stata interrotta l'ordinazione dei vescovi: hortarmur paternitatem tuam, ut illic secundum pristinum modum ordinare festinet antistitem, talem videlicet, qui ad hoc opus moribus ac verbo existat idoneus.... [p. 126 modifica]

Questo e non altro è il fatto storico e su di esso il ricamo tessuto dal Fara, che cioè il vescovo Vittore avesse fatto innalzare la Chiesa di S. Simplicio qual'era ai suoi tempi e quale è rimasta ai nostri giorni, non è che uno di quei parti di fantasia, che qualche volta l'eminente annalista si permise d'intercalare nella sua storia, che, pur avendo i difetti comuni agli scritti dell'epoca, è un monumento poderoso, cui attinsero gli studiosi delle vicende isolane e dal quale ancor oggidì si possono trarre elementi utilissimi.


Le carte medioevali tacciono completamente sulla Chiesa di S. Simplicio, nè elementi attendibili ci può fornire l'elenco dei vescovi dellaSemestene — Chiesa di San Nicolò di Trullas. diocesi di Civita o di Fausania, che s'inizia con Vittorio, menzionato nelle bolle Gregoriane, e dopo un intervallo di parecchi secoli continua con Bernardo (1329) e poscia, dopo altra interruzione, con Lorenzo da Viterbo (1329), dopo il quale la serie storicamente continua fino a che la diocesi non venne unita a quella d'Ampurias con bolla di Giulio II del 5 giugno 1506.

Sull'origine di questa chiesa non possiamo quindi attenerci che ai soli elementi stilistici e costruttivi, che in questo caso sono tali da indurci ad assegnarne l'origine o meglio la costruzione al XI secolo.

La chiesa all'esterno ha una vaga rassomiglianza coll'antica Cattedrale di S. Giusta. In ambedue abbiamo il motivo ad archetti poggianti alternativamente su mensoline e su lesene. Nelle due facciate, cui danno insensibili rilievi alcuni archetti in S. Simplicio e le ampie arcate in S. Giusta, trionfano sul liscio paramento le grandiose finestre Trifore con esili colonnine marmoree.

Abbiamo detto una vaga rassomiglianza ed il termine è proprio, [p. 127 modifica]giacchè, procedendo a più attento esame, riscontriamo in S. Simplicio una più rozza e grossolana lavorazione, dipendente non tanto dalle attitudini e dalla capacità degli artefici, quanto dalla qualità del materiale adoperato, granito a grana grossa, mal prestantesi a lavorazioni Ini ed a delicate ornamentazioni.

Corrispondentemente a ciascuna navata laterale sono nella facciata de archetti pensili poggianti in parte su pilastri ed in mezzo su una mensola rozzamente sagomata. La porta del solito tipo toscano architravata e con arco di discarico è disadorna, come è disadorna tutta quanta la facciata, nella quale, come si disse trionfa architettonicamente la sola finestra trifora, avente tuttora nella lunetta gl'incavi delle coppe iridescenti, le quali irradiavano per le brulle e granitiche campagne i raggi solari del tramonto.

Sono non poche, e a detrimento dell'antico monumento, le modifiche che si palesano evidentissime. Dai fianchi e dalla facciata vennero strappate le cornici, che doveano finire nobilmente la sommità dei muri; le navate laterali si sopraelevarono a detrimento della navata centrale, che più non spicca leggiera ed ardita, qual'era originariamente.

All'interno si tolsero le armature in legname che doveano sostenere il coperto delle navate laterali e vi si sostituì una volta a botte in mattoni sopraelevata di qualche metro dall'antica linea di posa delle travi, che anche oggidì è possibile determinare esattamente per esser rimaste a sito le sottomensole di granito corrispondenti all'incastro delle travi.

La navata centrale è coperta con travatura in legno a vista ed è separata dalle due laterali mediante due fila di sostegni, su cui s'importano le arcate a tutto sesto.

Questi sostegni sono costituiti in parte da pilastri ed in parte da colonne con capitelli romanici.

In complesso si ha in S. Simplicio una chiesa disadorna, in cui trionfano linee costruttive severe e nobili, senza un qualsiasi tentativo di volerle ingentilire. Posteriormente nel XV secolo, all'interno il paramento granitico si dovette coprire con pitture a bon fresco, delle quali tutt'ora qualche frammento si conserva nei due pilastri posti lateralmente all'abside.

Nella facciata a sinistra della porta d'ingresso osservansi incastrati nel muro due mensoloni, che doveano sostenere qualche sarcofago.

La Chiesa di S. Simplicio, come tante altre sotto l'invocazione di [p. 128 modifica]martiri sardi, venne costrutta sull'area di una necropoli, prima romana e poscia cristiana, e molti frammenti classici rinvenuti durante gli scavi vennero poscia usati nella costruzione dei muri.

Semestene — Chiesa di S. Nicolò di Trullas (abside).

  1. Per molte delle iscrizioni inserite in questo libro abbiamo adottato le trascrizioni che ne diede il Prof. T. Casini nel suo studio Iscrizioni sarde nel Medioevo pubblicato nel Fasc. 4, Vol. I dell'Archivio Storico Sardo.
  2. Fara, De Chorographia Sardinia.
  3. Fara, Chorogr., libro II.