Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo VIII.

CAPITOLO VIII.

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Capitolo VII. Capitolo IX.

[p. 129 modifica]S.ta Giusta — Chiesa di S.ta Giusta.


CAPITOLO VIII.

ANTICHE CATTEDRALI DI SANTA GIUSTA E DI TERRALBA.
SAN PALMERIO DE GHILANZA — SANTA MARIA DI BONARCADO.


Alla solenne riconsacrazione della Chiesa di S. Saturnino in Cagliari, ricordata in un documento del 1119, che ampiamente esaminammo trattando di quella chiesa preromanica, intervenne e sottoscrisse l'atto di conciliazione, chiudente una lunga controversia fra l'arcivescovo di Cagliari Guglielmo ed i monaci di S. Vittore di Marsiglia anche il presule di S. Giusta; Ego episcopus Augustinus S. Justae consensi, et subscripsi.

Più tardi nel 1227 in questa chiesa si tenne un concilio nazionale. al quale intervennero i vescovi e gli abati di Sardegna.

Del resto nessuno documento, nessuna iscrizione che possa far luce sopra questa chiesa, la quale s'erge sopra una prominenza, che sovrasta il campidano d'Oristano. [p. 130 modifica]

Pure qualche riferimento si può ottenere mettendo a confronto quanto ci rimane dell'antica cattedrale di Terralba colla Chiesa di Santa Giusta. La prima venne demolita nel 1821 ed era d'antica struttura, a quanto afferma il La Marmora che la vide ancora in piedi. Nelle sue mura era incastrata la seguente iscrizione che venne trascritta dal Fara e che il La Marmora conobbe a posto: ANNI DOMINI CVM MILLE ET CENTVm QVADRAGINTA | QVATuor CVRRERENT MAI DIE DECIMA | EPISCOPVS MARIANVS HEC POSUIT LIMINA.

Della chiesa di Terralba presentemente non rimane altro che l'ab side, alla quale indubbiamente servi da modello la vicina chiesa di S. Giusta: gli archetti pensili svolgonsi sulla sommità ed impostano su esili colonnine dai capitelli marmorei elegantemente ornati con foglie d'acanto scalpellate con arte medioevale.

È da escludersi che l'abside di Terralba abbia servito da modello a quella di S. Giusta. in quanto questa appare concepita con un chiaro intendimento di quanto dovea eseguirsi senza pentimenti e con una lavorazione accurata e spontanea, mentre nella piccola abside della chiesa di Terralba la lavorazione è incerta e molto meno accurata. Del resto è più che attendibile che la grandiosa basilica di S. Giusta a tre navate abbia dovuto a servire da modello alla chiesa di Terralba, i di cui avanzi ci dicono ancor oggi di piccole dimensioni, e non questa a quella.

Questi riscontri c'inducono a ritenere la Chiesa di S. Giusta di molto anteriore al 1144: d'altra parte certe particolarità stilistiche, una tendenza ad ingentilire le forme arcaiche del primo periodo e qualche accenno ad ornati, che poscia vedremo esplicarsi nelle chiese del pe riodo, che con limitazione di parola potremo chiamar smagliante, c'inducono a ritenere che la Chiesa di S. Giusta sia posteriore alle altre fin qui esaminate. Ritengo di non esser lungi dal vero, assegnandola alla fine del XI secolo.


Ciò che maggiormente colpisce in questa chiesa è il giusto equilibrio fra le navate laterali e la centrale e la grandiosità che l'architetto seppe trarre nella facciata da poche linee architettoniche.

La porta ha due solidi stipiti di marmo sormontati da capitelli, elegantemente sagomati con foglie d'acqua alternantisi a gambi da cui sortono i caulicoli combacianti a due a due sopra le foglie. È un mo[p. 131 modifica]tivo schiettamente toscano, che rileveremo nelle più belle chiese medioevali dell'isola.

Poggia sopra questi capitelli l'architrave monolitico sovra il quale si svolge una piccola cornice. Alle due estremità dell'architrave a fuor di muro sono in rilievo due leoni, sostenenti fra le zanne due mostricciatoli, ripetendo in tal modo il motivo simbolico, che con arte più rozza e con minor rilievo è svolto sopra l'antica porta di S. Gavino di Torres e nei marmi preromanici che si conservano nella cattedrale di Oristano.

S.ta Giusta — Chiesa di S.ta Giusta (pianta).L'arco di scarico non poggia direttamente sui piedritti, ma ne dista un cinquanta centimetri, impostandosi sopra due cornici a gola rovescia con listelli.

Ingentilite e più eleganti abbiamo in questa porta le forme architettoniche della chiesa di Ardara.

La grandiosa finestra trifora ha due esili colonnine di marmo, terminate superiormente da due capitelli-pulvini, sui quali s'impostano per tutto lo spessore del muro le tre arcate.

Abbiamo in questa il tipo della finestra di S. Simplicio. meno rozzo e più slanciato. La porta e la finestra formano un partito decorativo ascendente, che nobilmente vien terminato da una grande arcata, impostante su due esili pilastrini, che, partendo da terra inquadrano molto bene la porta e la finestra.

Questa grande arcata poi si raccorda coi pilastrini angolari della navata centrale mediante due arcate più piccole.

Questo motivo architettonico, che non ha riscontro colle chiese delle altre regioni d'Italia, indubbiamente rappresenta il contributo alle forme romaniche della tradizione locale, che le trasse da reminiscenze lasciate nell'isola dalla dominazione di Bisanzio, la di cui influenza nella vita, nella legislazione, nella lingua e nella diplomatica sarda perdurò oltre il XI secolo. Sovrasta queste arcate una cornice orizzontale sulla quale poggia[p. 132 modifica]vano gli esili pilastrini che doveano seguire la pendenza del frontone. Al centro di questa abbiamo una di quelle decorazioni a rombi, così frequenti nell'architettura pisana, di cui si compiacquero i costruttori delle nostre chiese del secondo periodo.

Nei fianchi svolgesi la decorazione romanica ad archetti pensili sotto la cornice di coronamento poggianti alternativamente, come a S. Gavino di Torres, su mensoline e su lesene.

In ciascuno dei muri terminali delle navate laterali due archetti di maggiori dimensioni di quei, che ricorrono nei fianchi, poggiano sulle pilastrate e su una lesena intermedia, come ebbimo a rilevare nelle chiese di S. Gavino e di S. Simplicio.

L'abside circolare s'allontana dal solito tipo; le arcate pensili, invece di poggiare su pilastrini o su mensole, s'impostano su esili colonnine incastrate per meno di un terzo sulle murature e sono sormontate da capitellini in marmo bianco lavorati con arte finissima.

È una costruzione slanciata e geniale, che contrasta con la severità di tutto l'insieme, e che dovette servire, come si disse, di modello all'abside della Chiesa di Terralba.

L'interno è a tre navi con archi voltati su colonne, tolte per buona parte, a mio giudizio, dalle vicine rovine di Tarros. Un passo della Chorographia del Fara farebbe invece ritenere ad altra provenienza e cioè che siano state tolte dagli avanzi dell'antica città 1liadis sepolta sotto le acque del vicino stagno: Secundo ab Oristano lapide antiqua Iliadis nrbs, idolorum cultui dedila, fuit mirabiliter destructa, fluctibusque stagni absorpta, et juxta litus condita S. Iustac civitas, cui nomen dedit S. Iusta, Virgo ct martyr, quae cum sanctis Virginibus Iustina, et Enedina, miraculis clara, magna sardorum frequentia colitur in templo ipsius urbis maximo, eisdem sanctis dicato, noi sedes crat episcopalis. . . . . .1

Questo popolato Hiadis, se pur non rappresenta l'eco di una tradizione popolare comune a tutti i paesi posti in vicinanza a paludi ed a stagni, dovette ad ogni modo esser misera cosa, se a noi di essa non pervenne menzione alcuna per parte degli storici romani. Certo è da escludersi ch'essa avesse tale importanza da poter fornire nei suoi avanzi, colonne così ricche e capitelli così eleganti come quelli che sono nella Chiesa di S. Giusta. [p. 133 modifica]

Queste colonne furono portate indubbiamente da Tarros, la città fiorente per commercio e per arte, di cui le imponenti rovine attestano l'importanza e sontuosità degli edifici pubblici, di cui era ornata. S.ta Giusta — Chiesa di S.ta Giusta (pianta).E quest'ipotesi si presenta tanto più attendibile in quanto la pietra da taglio di cui sono rivestite le mura della chiesa è un grés quaternario che si toglie ancor oggidì dalle cave di Sinis in vicinanza alle rovine di Tarros. [p. 134 modifica]

Anche in questa chiesa le arcate in pietra da taglio poggiano direttamente senza trabeazione sulle colonne sormontate da una tavola di pietra trachitica, che permette l'imposta di due arcate consecutive del muro della navata centrale e dell'altra trasversale delle navate laterali.

Le colonne sono di marino: alcune di marmo bianco, altre di cipollino, liscie, e scanalate, non eguali perfettamente nè di diametro ne d'altezza, compensate però con basi più o meno alte, esse pure romane.

Dei capitelli alcuni sono romani; altri medioevali. I primi sono d'ordine corinzio e composito oppure elegantissimi con forme ioniche. I capitelli medioevali s'inspirano ai modelli nobilissimi tratti da Tarros, ma loro origine medioevale — se a prima vista si scorge difficilmente tanto che ne rimasero ingannati quanti s'occuparono della chiesa — risulta dalla lavorazione, da una minore finitezza nelle foglie ed anche da una tinta più chiara dipendente dall'esser stati sempre al coperto, mentre i capitelli romani dovettero subire le ingiurie ed in pari tempo la poesia del tempo.

Tale fusione di forme decorative pagane con la severa imponenza delle linee romaniche è così intima che non apparisce a primo aspetto e non turba la severa armonia dell'insieme.

La nave centrale ha il tetto coi cavalletti a vista mentre le navate sono coperte con volte a crociera, impostantisi sui pulvini delle colonne e su mensole in pietra da taglio incastrate nei muri laterali. In questi sono aperte due porticine che non presentano alcunchè di particolare.

L'abside, che è nascosto da un presuntuoso altare in marmo, eseguito nello scorso secolo a spese dell'arcivescovo Saba e a detrimento delle semplici e severe linee dell'antica architettura, si conserva nella sua integrità col paramento in pietra da taglio, rotto da un sacrario in marmo in stile rinascimento fiorentino, che mette una nota gentile in tanta severità di ambiente.

Sotto il presbiterio, che era ed è anche oggi sollevato dal piano della chiesa, è la cripta ampia e coperta con voltine in pietra concia poggianti su muri e su colonne tozze con capitelli, che erroneamente si vollero ritenere romani.

Essi, è vero, hanno la forma composita, ma le foglie ed i caulicoli sono trattati con tecnica medioevale. La cripta è illuminata da alcune finestrine aperte nell'abside sotto lo zoccolo, seguendo in ciò l'esempio di alcune chiese medioevali di Lucca. [p. 135 modifica]portone, che termina la navata centrale, è liscio col solo para mento, in parte ora intonacato per eseguirvi una meridiana. Esaminando S.ta Giusta — Chiesa di S.ta Giusta (abside, portale, facciata, interno).attentamente il rivestimento in pietra concia si rileva il distacco di una striscia ascendente alta un metro circa che non presenta la stessa lavo razione del rimanente. I conci sono più piccoli e più irregolari, il che [p. 136 modifica]fa presumere che anche in questo frontone dovessero in origine ricorrere gli archetti pensili poggianti su mensoline.


La Chiesa di S. Giusta per la sua architettura dovuta alla mente geniale d'ignoto costruttore fu il modello cui si inspirarono i costruttori di tante altre chiese del giudicato di Arborea.

I frammenti della chiesa di Terralba fanno presumere che questa avesse le stesse forme architettoniche di S. Giusta svolte in più modeste proporzioni.

In Ghilarza esiste una chiesetta dedicata a S. Palmerio, in cui nella facciata è svolto il partito architettonico dell'arcata centrale poggiante su stretti pilastrini e raccordata coi pilastri angolari mediante due arcate più piccole.

Usufruendo delle diverse qualità di trachiti, di cui è ricco il territorio di Ghilarza, nella facciata di detta chiesa i filari bianchi s'alternano agli scuri.

Nella sommità dei muri laterali e dell'abside rincorrono le arcatelle pensili, poggianti su mensoline dalle più strane forme.

Nient'altro di particolare in questa chiesetta, che pur tuttavia non mancherebbe di una certa eleganza se non l'avessero affogata fra rustiche costruzioni e se sulla sommità non l'avessero appioppato un mostruoso campanile, ciclopicamente costrutto per sorreggere una minuscola campana di pochi chilogrammi di peso.


La Chiesa di S. Maria di Bonarcado ha tradizioni nobilissime negli annali della Chiesa sarda. Con grande solennità, presente l'arcivescovo di Pisa, Villano, come legato pontificio venne nel 1147 consacrata dal giudice Barisone d'Arborea, come risulta dal seguente passo della donazione fatta da detto giudice alla chiesa: In nomine Domini Jesu Christi amen. Ego judice Borusone de Serra potestate de logu de Arborea fazo custa carta pro Saltu qui do a Sancta Maria de Bonarcatu in sa sacracione de sa Ecclesia nova pro anima mea e de parentes meos2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Altre e ricche donazioni ebbe la Chiesa di S. Maria di Bonarcado [p. 137 modifica]nel 1211 da Costantino d'Arborea e nel 1253 Prospero, arcivescovo di Torres, presiedette come legato apostolico un sinodo nazionale, al quale intervennero tutti i presuli delle diocesi sarde.

Il priorato di S. Maria divenne in seguito un beneficio, di cui i titolari avevano dritto ai più alti onori ed a grosse prebende.

Oggidì la chiesa è destinata a parrocchia ed il curato che ha il Bonarcado — Chiesa di S.ta Maria (abside).dritto al titolo di priore, è di nomina regia e gode dei redditi dei vasti salti che fino dall'epoca dei giudicati vennero donati al monastero.

A pochi passi dalla chiesa è la cappella di Bonacattu, di piccolissima dimensione, in cui sono i caratteristici archetti puggianti su mensoline con incavi sui quali sono murate le ciotole iridescenti. In questo oratorio si conserva un bassorilievo policromo in terracotta rappresentante la Madonna col Bambino, alla quale la tradizione attribuisce virtù miracolose ed origine antichissima. È invece un'opera pregevolissima degli ultimi del XIV secolo.

La Chiesa di S. Maria è a croce latina, ma ritengo che questa forma non sia l'originaria. Infatti nei muri laterali si svolge la cornice ad archetti circolari a tutto sesto poggianti su mensoline mentre nei muri dei bracci traversali della croce si hanno archetti pensili a largo diametro e nell'abside rincorre elegantissima una cornice con sottostanti archetti trilobati. Questi per la loro forma ricordano le archeggiature della Chiesa di San Pantaleo, colla quale divide l'altra spiccata caratteristica delle lesene co[p. 138 modifica]stituite da basi sagomate una all'altra sovraposte. Gli archetti trilobati si svolgono anche nel frontone seguendo le pendenze delle falde.

Queste differenze stilistiche e la maggiore accuratezza e nobiltà di costruzione comprovato la non coevità della parte posteriore col corpo longitudinale della chiesa la quale in origine dovea esser di semplice forma e di più ristretta lunghezza, ad una sola navata senza nave traversale. Posteriormente si aggiunsero le due crocere e si ricostrussero l'abside ed il frontone, più slanciati e con le nuove forme decorative degli archetti trilobati.

La prima costruzione è indubbiamente, come risulta dal brano sovracitato, del secolo XII e venne consacrata nel 1147: la seconda devesi per diverse particolarità stilistiche e per la forma degli archi trilobati ritenere del XIII secolo.

Confermano questi risultati un'iscrizione poco decifrabile ma non tanto da non lasciar leggere l'anno 1242. incisa rozzamente in un cantone della crociera a destra.

L'influenza della Chiesa di S. Giusta si estrinseca sulla facciata, in cui l'arcata centrale e le due arcatelle laterali poggianti sui pilastri angolari e su strette lesene costituiscono l'unico motivo architettonico svolgentesi nel prospetto con semplice e rozza esecuzione.


Questo caratteristico motivo, reso come nella Chiesa di S. Maria di Bonarcado in forma semplice e senza decorazioni, si riscontra nella Chiesa di S. Paolo, posta in Milis, ameno paesello del circondario d'Oristano a pochi chilometri da S. Giusta e da Bonarcado. La facciata di S. Paolo, pur non raggiungendo la armonica grandiosità delle linee architettoniche di quella di S. Giusta, è meno tetra e rozza della facciata di S. Maria di Bonarcado. Le false arcate sono sagomate e coi pilastri dividono in tre campate lo sfondo reso meno monotono da piccoli filari di bianco calcare che rompono la tetra uniformità del paramento scuro. La porta è semplice e senza cornice, ma l'arco di scarico ingentilito dall'alternatività di sapore toscano di cunei trachitici scuri con altri calcarci chiari.

La chiesa è di ristrette dimensioni ed è a forma di croce latina. Nei muri laterali, nella crociera e nell'abside si svolge la cornice di [p. 139 modifica]gronda con sottostanti arcate, piuttosto ampie e poggianti su mensoline e su lesene dai capitelli rozzamente sagomati.

Le carte medioevali tacciono completamente su questa chiesetta, che la tradizione dice esser stata l'antica parrocchia di Milis e che per riscontri stilistici si può ritenere eretta agli ultimi del XII secolo.


Ghilarza — Chiesa di S. Palmerio (facciata).

  1. Fara, De Chorographia Sardiniae, pag. 95.
  2. Tola, Cod. Dipl. Sard., Vol 1, pag. 217.