Storia degli antichi popoli italiani/Capitolo XIX

Capitolo XIX. Euganei e Veneti.

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CAPO XIX.


Euganei e Veneti.



Le più antiche tradizioni storiche ci mostrano gli Euganei collocati fra l’Alpi Rezie e il mare1: laddove nei tempi posteriori, e seguentemente sino ad Augusto, li ritroviamo con propria e stabil sede posati tra l’Adige e il lago di Como. Per tal guisa pare accertata la narrazione, che eglino fossero discacciati oltre l’Adige dal prepotente popolo, che indi portò il nome di Veneti. Sino a tanto che durarono i modi della vita pastorale, e quando un popolo accompagnato dalle sue gregge poteva facilmente trasportarsi da un luogo all’altro, simili emigrazioni erano non sol coerenti al costume, ma comandate anche dal genio altero d’un’età, incapace affatto di piegarsi all’avvilimento della dipendenza. E siccome la semplicità del vivere produce sempre un eccesso di popolazione, che in difetto dell’arti meccaniche impiega naturalmente nella guerra ogni sua attività e gagliardia, così le tribù più valorose spesso s’invaghivano di luoghi più fortunati, e ne discacciavano con facilità i padroni non ancora cinti di mura. La prima storia italica è piena di siffatte vicende occasionate dalla forza o dal bisogno altrui: nè diversamente le con[p. 24 modifica]trade più feconde della Grecia andaron soggette in pari circostanze a perpetue mutazioni di abitatori2: essendo vero, che le medesime cause han generato sempre e in ogni luogo i medesimi effetti. Vanamente però vorremmo rintracciare l’origine degli Euganei. I Greci stessi, dai quali siamo pur sempre in necessità dedur la storia primitiva, non la conobbero: per modo che essi stessi, non sapendo sostituire di meglio, usarono cotesto soprannome d’Euganei, come la voce suona, qual sinonimo di valenti o gloriosi: nè dobbiamo maravigliarci tampoco, che un re chiamato Eneto fosse reputato dai novellatori meno antichi autore della nazione3. Convien dichiarare francamente, che di tutte le contrade dell’Italia, quella che i Greci conobbero il meno fu sicuramente la regione superiore, che vedevano in oscura lontananza. E tutto ciò, che scrissero di quella, o manifesta la loro ignoranza del paese e degli uomini, o soltanto la poetica vena dell’usato ingegno.

La pianura posta fra l’Alpi e il mare è un ampio terreno d’alluvione, il quale fu prima una grandissima palude, o un profondo stagno ingombro dal sedimento di tutti i fiumi, che irrigano quanta è l’Italia superiore intra gli Appennini e l’Alpi, ed hanno quivi un centro per metter foce in mare. Che gli Euganei abitassero prima d’ogni altro per questi luo[p. 25 modifica]ghi, si conferma in certo modo col nome stesso che perpetuamente portano all’oriente delle lagune i colli Euganei, gruppo isolato e considerabile di monti, che han natura visibilmente vulcanica. Ma chi fosse il popolo che sotto il nome di Eneti o Veneti, secondo l’usata pronunzia italica, discacciò gli Euganei dal suo territorio, è ancora problematico, se non piuttosto del tutto ignoto. Erodoto, il più antico scrittore che faccia menzione degli Eneti, li colloca fra gl’Illirj4: però dal tenore del suo discorso ben si vede ch’ei riferiva ciò per bocca altrui: e di più non sapendo, dovette contentarsi alle relazioni dei navigatori focesi dell’Ionia, che prima di tutti i Greci, come narra egli stesso, scuoprirono l’Adria e la Tirrenia5. In quel tempo i Greci non conoscevano se non molto imperfettamente l’interno dell’Adriatico, cui davano una estensione oltremodo vasta e ideale. Per questo Scilace, il qual non fa motto dell’origine, pone gli Eneti in sulla costa orientale6. E fino al tempo di Timostene e di Eratostene, famosi geografi della scuola alessandrina, continuarono i Greci ad esser poco o male informati dei lidi dell’Adriatico7, atteso le rare navigazioni loro per quel mare naufragoso, e massimamente temuto per le scorrerie de’ pirati Illirici e Liburni. Era in fatti la Venezia divisa soltanto dai [p. 26 modifica]Liburni per mezzo della penisola degl’Istri, che Scimno Chio chiama Traci. Ma del racconto che udì Erodoto non può farsi caso veruno: e ne scema di più la credenza il veder che Polibio, il quale conosceva ottimamente gl’Illirj e potea distinguere l’idioma loro, afferma bensì che i Veneti avean lingua diversa dai Celti, ma non dice già ch’ella tenesse qualcosa dell’illirica8. Nè mai in verun altro scrittore o greco o romano, conoscente gl’Illirj, si trova che questi avessero agnazione coi Veneti. All’opposto i Greci, posteriori ad Erodoto, e forse Timeo alla loro testa, trovarono nel nome degli Eneti materia per accomodarvi fatti e leggende narrate dai Ciclici: come la trasmigrazione del profugo Antenore co’ suoi troiani, ed una moltitudine di quegli Eneti di Paflagonia, che perduto il re Filamene vollero seguire la sorte del duce troiano, il quale, venutosene in Tracia, passò di colà in Italia a fondar l’impero nel fondo dell’Adriatico9. Dice Polibio10 che molte cose narravano i tragici favoleggiando intorno ai Veneti. Sofocle, nella presa di Troia11, raccontava tutto il fatto di Antenore: nè certo egli era il solo, poichè la ve[p. 27 modifica]nuta del fuggitivo troiano vien narrata molto diversamente dagli scrittori12. Altre favole ponean Diomede regnatore d’una parte della Venezia: e il nome dell’eroe convien che fosse grandemente caro ai paesani, perocchè non solo v’avea tempio in sul Timavo e onori divini, ma di più volean che presso di loro unicamente terminasse sua vita mortale, e conseguisse cola l’apoteosi13. Tuttavia quando i cronisti romani cominciarono a dettare la loro istoria, divulgando origini troiane, non tennero nessun conto delle maravigliose sorti del figlio di Tideo, ma per lo contrario accettarono e ampliarono la graziosa novella della passata di Antenore e degli Eneti paflagoni nel seno Adriatico, dove, vinti gli Euganei, presero in comune il nome di Veneti. Così Catone, seguitando la leggenda greca, diceva essere i Veneti di stirpe troiana14: e lo ripeteva con altri Livio15, che nato nella città d’Antenore riproduce per adulazione istorica questa vana pompa cittadinesca. Plinio però, nè Quinto Curzio16 non si mostrano persuasi di tale racconto; e Strabone n’era sì poco convinto che in dovendo scerre tra le due opinioni, amò meglio credere i Ve[p. 28 modifica]neti originati dalla Gallia Celtica, o sia dai Veneti dell’Armorica alle rive dell’Oceano17. Così dunque non sapeva affatto istoricamente l’antichità chi fossero nel vero i Veneti, nè donde qua venissero. Secondo che l’ingegno spira si van presupponendo i Veneti dai ricercatori moderni Slavi, Venedi, Traci-Illirici, Celti, ed anche Greci. Pure, senza andare sì lungi, si può avere per molto accettevole supposto, che alcuna tribù dei montanari stessi delle Alpi si calassero di su dalle Carniche nel piano tra quei monti e il mare, e di colà respingessero indentro verso ponente gli Euganei primi occupanti.

Fatto nazionale ha dovuto essere la cacciata degli Euganei dalle loro sedi per la violenza d’un popolo straniero venuto di fuori, lungo tempo innanzi alla fondazione di Roma. Dione Crisostomo, nella orazione intitolata l’Iliaca18, dice fra l’altre cose, che i Veneti [p. 29 modifica] dimoravano in Italia molto prima della favolosa venuta d’Antenore. Ch’eglino fossero antichissima gente lo afferma espressamente Polibio19: e con pari certezza dice Livio, che al tempo della invasione etrusca di già tenevano in sua signoria tutto l’angolo e spazio d’intorno al seno Adriatico20. Quivi si rimasero i Veneti sicuri contro l’armi de’ conquistatori, difesi dalle paludi, e dall’acque copiose e sparse, tra le quali stava rinchiusa la regione dal lato di ponente e mezzogiorno. Ma qual fosse la capacità del luogo che abitavano là entro, parve argomento di grave controversia agli eruditi. Non per tanto sembra cerio, che i dubbiosi confini della Venezia non oltrepassassero mai a ponente il fiume Chiesio, e suoi limiti naturali fossero a settentrione le Alpi; a levante il Timavo; al mezzogiorno le paludi veronesi; indi il Po sino al mare.

Gli Euganei, discacciati dalle piagge dell’Adriatico nondimeno serbarono sotto quel nome l’indipendenza e lo stato libero nei monti veronesi, trentini e bresciani, dove ancor risedevano qual gente alpina nel [p. 30 modifica]secolo d’Augusto21. Confinavano essi presso al lago di Como con gli Orobi, i quali avean Barra per terra principale, d’onde Catone pare che originasse Bergamo, Como, e altre comunità vicine situate per le montagne22. Non sappiamo quel che l’autor delle Origini si pensasse circa il primo seme degli Euganei, ma bensì egli noverava trentaquattro luoghi di ragione loro nelle basse Alpi, tra li quali i Trimupilini ed i Camuni, popoli abitanti l’odierna val Trompia e val Camonica, erano i maggiori di quel corpo23. Possedevano anche la Valtellina, traversata dall’Adda, sino al lago di Como. Per l’opposto i Veneti, il cui nome si trova spesso confuso, massime dai poeti, con quello degli Euganei, abitavano una delle più fertili e deliziose regioni d’Italia, dove si contavano, dice un geografo antico, cinquanta terre24. Padova, la maggiore di tutte, traeva gran vanità del suo fondatore Antenore25: ed anche oggidì non v’ha uomo volgare padovano, il qual volesse dubitarne. Benchè suo vero e laudabil vanto si fosse il buon costume, la copia de’ cittadini, e la ricchezza del comune, principalissimo frutto dell’arti paesane, e nominatamente [p. 31 modifica]del lanificio od opera di drapperia26. Per un’antica memoria si diceva che Padova avesse tolto il nome dalla palude Patina presso la città27, situata alla sinistra riva del Medoaco o sia la Brenta; fiumicello mediante il quale trafficava Padova anche sul mare pel porto di Malamocco. Non adduce perciò veruna maraviglia se fino dalla più remota età ebbero i Veneti al di fuori grido d’illustre nazione, e se nel loro paese fingono i poeti le favole più celebri dell’Eridano e di Fetonte. Mal sapevano gl’inventori stessi del mito, o piuttosto i suoi promulgatori dove fosse quest’Eridano alle cui sponde cercavano l’ambra gialla. Esiodo n’avea ragionato in un’opera ora perduta28: Ferecide divulgò maggiormente la favola al suo tempo; e di mano in mano l’abbellirono Eschilo, Euripide29, Filosseno, Nicandro e Satiro30. Pure si vede che ignorava Erodoto del tutto, che al nostro Pado avessero appropriato i Greci il nome poetico d’Eridano, ch’ei cercava col misterioso elettro nel Baltico31. Ma, non poco notabile si è il racconto che di lui abbiamo d’un costume degli Eneti, se pure il fatto ch’egli udì narrare è vero: cioè l’usanza che [p. 32 modifica]avrebbono avuta comune coi Babilonesi di far vendere dal banditore ad una ad una le vergini nubili per ispose a chi più le pagava, cominciando dalla più bella: il che avea per fine prudente non lasciarne veruna senza marito; perchè col danaro ricavato dalle belle si maritavano le brutte e le difettose32. Per verità altre strane costumanze ebbero i Veneti primi, siccome quella di fare spontaneamente alle cornacchie copiose offerte in tempo della sementa, onde liberarsi dalle rapine di questi arditi ladroni33. Ben si conosce però che sì fatti costumi, e le fogge del loro vivere, s’andavano mitigando e dirozzando col commercio di popoli più colti. Nè piccola parte han dovuto avervi sì la vicinanza, come la scambievole comunicazion di cose tra i Veneti e le colonie etrusche più prossime al loro paese. Di ciò quasi è certezza il nome di alcune comunità del distretto veronese, chiamatevi Arusnates34: nella qual voce si riconosce un titolo etrusco. Non poche iscrizioni ritrovate nel territorio veneto han pure caratteri e dialetto molto simili all’etrusco35. Ed in conferma di qualche affinità o parentela antica delle genti si possono anche citare i sepolcri etruschi della famiglia de’ Veneti o Eneti, trovati non ha guari tempo nel perugino36. Era la Venezia un paese di [p. 33 modifica]mirabile fecondità, massimamente copioso di candide lane37, e di generose razze di cavalli38, dei quali correva tal fama in Olimpia, che i veneti puledri di grandissima lena e velocità vi prendevano il soprannome di portanti corona39. E questa medesima cura che ponevano i Veneti in allevare diligentemente bravi corsieri, parve appunto ai vanissimi greci buon argomento a giudicarli discesi dagli Eneti di Paflagonia, ne’ quali Omero laudò consimile industria40. Opportunamente i Veneti si giovarono della comodità del luogo e della fortuna in accrescimento della nazionale prosperità; ma posti nel mezzo di paludi maremmane all’estremità dell’Adriatico, non si vede che mai si travagliassero di cure d’ambizione fuori della loro frontiera. La vicinanza de’ Galli, che sottentrarono agli Etruschi sul Po, tenne per verità svegliate le genti della terrestre Venezia41, benchè le azioni loro, tutte domestiche e locali, non si trovino in verun tempo collegate con i gloriosi fatti de’ prodi difensori dell’italica libertà. Se ciò successe per troppo affetto alle sue salse lagune, o per solo amor di riposo, ne pagarono anche le pene: perchè i Veneti, dopo la disfatta degl’Insubri [p. 34 modifica]nella guerra cisalpina, vennero in comune senza contrasto, e senz’onore alcuno, soggetti a Roma. Da quel tempo in poi, sotto il duro governo provinciale, fece la Venezia una notabil parte della sommessa Gallia traspandana, nè mai più rimaneggiò l’armi a recuperare la perduta libertà. E se finalmente, per una conseguenza della guerra sociale, parteciparono i Veneti del dritto di città, il doverono all’ambizione di Giulio Cesare, non al valore42.

Note

  1. Inter mare alpesque incolebant Liv. i. 1.
  2. Thucyd. i. 2.
  3. Serv. i. 24.
  4. Herodot. i. 196.
  5. Herodot. i. 163.
  6. Scylax. p. 6.
  7. Strabo. i. p. 64.
  8. Polyb. ii 17. Plinio distingue parimente la lingua de’ Veneti dalla celtica: Halus autem quam Galli sic vocant, Veneti cotoneam.
  9. Meandrius ap. Strab. xii. p. 374. 380.; Scymn. Ch. 358; Serv. i. 243: non Illyricum, non Liburniam sed Venetiam tenuit.
  10. ii. 17.
  11. Ἰλίου ἅλωσις. ap. Strab. xiii. p. 418
  12. Virgil. i. 242 sqq.; Serv. ibid.; Schol. ver, i. 247.; Eusthat. ad Perieg. 378.
  13. Auct. de Mirab. p. 1156.; Strabo v. p. 148. 149., vi p. 196.
  14. Ap. Plin. iii. 19.
  15. Liv. i. 1. add. Corn. Nep. ap. Plin. vi. 2.; Justin. xx. 1.
  16. Plin. vi. 2.; Q. Curt. iii. 1.
  17. Strabo. iv. p. 134; v. p. 146: però soggiunge l’avveduto geografo: λέγω δ’ οὐκ ἰσχυριζόμενος· ἀρκεῖ γὰρ περὶ τῶν τοιούτων τὸ εἰκός.
  18. Orat. xi. p. 189. Il sig. Raoul-Rochette mi rampogna a questo proposito, e replicatamente due volte, di avere citato Dione: il est fichieux pour notre auteur d’etre reduit à invoquer le temoignage de cette harangue d’un sophiste moderne (t. i. p. 128.): voleva dire del primo secolo della nostra era: benchè egli stesso, contraddicente a me, si faccia forte dell’autore del pecorone: ecrivain du quinzième siècle de notre ère (novelliere incerto del trecento), qui dècrit l’établissement d’Antenor, qu’il prétend avoir eté accompagné de douze mille personnes ec. (Hist. crit. des colon. grecques T. ii. p. 364.). Così di nuovo in questa storia critica si trova citato e il Pecorone (p. 315) e Giovanni Villani: célèbre historien florentin du XV. siècle (morì per la peste del 1348.) qui dans sa cronique dit que Volterra, ville très ancienne d’Italie, avait été batie par les descendants d’Italus, et que dans l’origine, elle avoit porté le nom d’Antonia. T. i. p. 310.
  19. Γένος πὰνυ παλαιόν. ii. 17.
  20. Liv. v.. 33. Transpadanum omnia loca excepto Venetorum angulo, qui sinum circumlocunt maris.
  21. Plin. iii. 20.
  22. Cato ap. Plin. iii. 17.
  23. Praestantes genere Euganei Cato ap. Plin. iii. 20. Triumpilini e Camuni si trovano ugualmente mentovati nel Trofeo di Augusto.
  24. Scymn. 388
  25. Tacit. xvi. 21.
  26. Strabo iii. p. 116., v. p. 147.; Plin. i. epist. 14.; Martial. xi. ep. 17.
  27. Serv. i. 246.
  28. Hygin. Fab. 154: intitolata Phaeton Hesiodi.
  29. In Phaeton. Hippol. 735.
  30. Plin. xxxvi. 2.
  31. Herodot. iii. 115.
  32. Herodot. i. 196.
  33. Lycus Rheg. et Teopomp. ap. Aelian. de Animal. xvii.
  34. Maffei, Ver. illust. i. p. 17.
  35. Maffei, Oss. letter. T. v. Lanzi, T. ii.
  36. Vermiglioli, della gente Veneta o Eneta.
  37. Et Euganea quantum vis mollior agna. Juvenal. viii. 15.; Martial. xii. ep. 155.; Steph. v. Ἁδρὶα
  38. Strabo v. p. 147; Plin. xxxv. 4.
  39. Heysich. v. Ἐνέτιδας Πώλους.; ; Euripid. Hippol. 230, 1132. et Schol. ibid.
  40. Iliad. ii. 358-59.
  41. Polib. ii. 18.; Liv. x. 2. Semper autem eos in armis accolae Galli hahebant.
  42. Cicer. Philip. v. 18.