Specchio di vera penitenza/Distinzione terza/Capitolo quarto

Distinzione terza - Capitolo quarto

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Distinzione terza - Capitolo quarto
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CAPITOLO QUARTO.


Dove si dimostra come la disperazione ritrae altrui dalla penitenzia.


Il quarto impedimento che ritiene altrui dalla penitenzia, è la disperazione: e questa è in due modi. L’uno è quando l’uomo si dispera della misericordia di Dio; l’altro è ch’altri si dispera di sé medesimo, non credendo potere perseverare nell’opere della penitenzia. E ciascuna di queste disperazioni ritraggono dal fare penitenzia; e però di ciascuna si vuole qui dire. La prima disperazione è quando l’uomo si dispera della misericordia di Dio; e suole intervenire quando altri si sente avere fatti molti e gran peccati, ed essere più volte ricaduto; onde non ispera che Dio debba avere misericordia di lui e perdonargli, considerando la gravezza de’ suoi peccati. In questo modo si disperò Caino; il quale avendo morto il suo fratello Abello per invidia, considerando la gravezza del suo peccato, disse: Major est iniquitas mea, quam ut veniam merear: Egli è maggiore la iniquità del mio peccato, che non è ch’io possa meritare perdonanza. Non ebbe rispetto alla misericordia di Dio, che infinitamente è maggiore che ’l suo peccato, che ’l poeta perdonare e fare a lui meritare perdono. Similmente Giuda traditore considerò la gravezza del suo peccato, dicendo: Peccavi tradens sanguinem justum. E non aumiliandosi a dimandare1 misericordia e perdonanza, andò e impiccossi per la gola disperato:2 del quale dice santo Agostino, che più peccò disperandosi dela misericordia di Dio, la quale s’egli avesse con buon quore addimandata, avrebbe certamente ricevuta; che non [p. 54 modifica]fece, tradendo Iesu Cristo Salvatore. Contro a questa disperazione è efficace rimedio considerare la ’nfinita misericordia di Dio, la quale, sanza niuna comparazione o agguaglio, avanza ogni umana iniquitade e miseria. Questo volle dire il profeta David quando disse: Misericordia Domini plena est terra: La terra è piena della misericordia di Dio. E in altro luogo disse: Domine, in coelo misericordia tua; et misericordia eius super omnia opera eius. Disse, che la misericordia di Dio è in cielo, e sopra tutte l’opere sue. Per la quale cosa, ringraziando, dicea: Misericordias Domini in oeternum cantabo: Io canterò sanza fine le misericordie di Dio. E san Paolo chiama Iddio: Pater misercordiarum, et Deus totius consolationis: Padre delle misericordie, e Dio di tutta consolazione. E conoscesi la misericordia di Dio spezialmente nella sua passione, per la quale misericordiosamente siamo ricomperati e salvati, come dice san Paolo: Non ex operibus justitioe quoe fecimus nos, sed secundum suam misericordiam salvos nos fecit: Non per opere di giustizia che noi facessimo, ma secondo la misericordia sua ci fece salvi. Di ciò parla san Bernardo in persona d’uno peccatore, e dice: Io ho fatto uno grande peccato: che sarà? turberàssene la coscienza mia, ma non se ne pertuberà (dove vuol dire, che se ne turberà per contrizione, ma non se ne perturberà per disperazione); imperò ch’io mi ricorderò3 delle piaghe del Signore mio, e vedrò per la ferita del lato il cordiale amore, per lo quale mi ricomperò. I chiovelli mi saranno una chiave che un’apriranno il tesoro della misericordia sua. Non potrà essere niuna colpa tanto degna di morte, che per la morte di Cristo non si strugga e tolga: onde non mi sbigottirò, temendo di qualunche grande infemitade, dappoi ch’i ho così efficace e virtuosa medicina, come è la morte di Cristo. E santo Agostino, parlando a Dio Padre, dice: Quello tuo unico e diletto [p. 55 modifica]Figliuolo mi ricomperò del prezzo del sangue suo; e però non temo gli avversari miei, da ch’io ripenso il prezzo mio. Onde non solamente ci ricomperò del suo sangue, ma continovamente è nostro avvocato, e priega Iddio per noi, come dice l’Apòstolo: Advocatum habemus apud Patrem, Iesum Christum justum; et ipse est propitiatio pro peccatis nostris. Avvegna che l’uomo pecchi, non si dee disperare, pensando che noi abbiamo appo il Padre avvocato Iesu Cristo giusto, il quale sta alla difesa per gli nostri peccati. E avvegna che la persona ispesso ricaggia ne’ peccati, non dee però disperare; imperò che troppo più è pronto Iddio ad avere misericordia e perdonare che l’uomo non è a cadere e peccare. E questo mostrò bene Cristo in quella parola ch’egli disse a san Piero, quand’egli lo domandava quante volte dovesse perdonare, e se bastava sette volte: ed ei disse: Non pure sette, ma settanta volte sette, come è sposto di sopra. E in più modi e più volte diede ad intendere nel santo Evangelio quanto Iddio è misericordioso; come si dimostra in quella parola che disse a’ Farisei, ch’egli era venuto nel mondo come il medìco allo ’nfermo; e che dovessono apparare quella parola della santa Scrittura, che Dio dice: Misericordiam volo, et non sacrificium: Io voglio misericordia più tosto che ’l sacrificio. E ciò mostra per più parole e similitudini, come quella del pastore che cercò per la pecora ismarrita, e ritrovandola, la si levò in collo, e fecene allegrezza e festa. Così della donna che ritrovò la dramma perduta. Anche di quello figliuolo prodigo isviato, che ritornò al padre, il quale, mosso a misericordia, benignamente lo ricevette, e fecene gran festa, e restituillo alla prima degnitade. Similmente del servo, al cui priego il Signore perdonò il debito di dieci mila talenti. E isponendo la parola, dicea ch’ egli era venuto a chiamare i peccatori a penitenzia: e che era grande allegrezza agli Angioli del peccatore, quando tornava a penitenzia. E non solamente per similitudini e per parole dimostrava [p. 56 modifica]com' egli era misericordioso, ma maggiormente per opere, e di fatto; chè venendo a lui i peccatori, come dice il santo Evangelio: Erant appropinquantes ad Jesum publicani et peccatores, tutti misericordiosamente gli ricevea, e liberamente perdonava loro, non imponendo loro penitenzia, ma dicea loro: Va, e non volere oggimai più peccare. Rècati a mente, e vedrai ch’egli è vero quello ch’io ti dico: com’egli ricevette Maria Maddalena, com’egli perdonò alla donna compresa in adulterio, com’egli esaudì la Cananea, come misericordiosamente isguardò san Piero, che l’avea negato; come chiamò san Matteo, come trasse san Paolo, come giustificò il pubblicano, e come salvò agevolmente il ladrone della croce. Chi sarà adunque il peccatore, quantunche grande, che fugga Iddio; e non più tosto correrà al benigno e misericordioso Signore e dolcissimo Padre, chieggendo perdonanza e merzede, con certa speranza d’essere esaudito, come furono i grandi peccatori e peccatrici nominati? Di ciò parlando san Bernardo, dice: O buono Iesù! per la misericordia tua, e per la piatà che di te si prédica, corriamo nell’odore de’ tuoi unguenti, certi fatti che non hai schifo i poveri peccatori. Anzi coloro che furono maggiori peccatori, più hai onorati4 e essaltati: come si dimostra in David, in san Piero, in san Paolo, in san Matteo e in molti altri, ne’ quali quanto più abbondò il peccato, tanto più abbondò la grazia. Or chi si terrà, chi sarà sì duro, sì pertinace, sì ostinato nel male? Chi sarà sì crudele e dispietato di sé medesimo, che non s’arrenda alla benignità di Iesù, che non si lasci trarre alla carità di Cristo Redentore? O peccatori, o indurati, o tracotati,5 o addormentati, isvegliatevi, risentitevi, aprite gli occhi, ravvedetevi! Iesù per voi crocifisso vi chiama. Il sangue suo grida, e proffera misericordia e pietade: il lato [p. 57 modifica]aperto vi mostra quore d’amore ferito e pieno di caritade; le braccia aperte, il capo chinato vi trae a pace e a sua amistade; le mani e’ piedi confitti v’invitano con pazienza e con tranquillitade. La croce è posta davanti agli occhi vostri essemplo di penitenzia, e specchio di virtude e di santitade, e come scala per la quale si sale alla gloria di Dio e alla eterna felicitade.


Come le tentazioni e le tribulazioni sono utili all’anima che vuole andare per la via di Dio.


L’altra disperazione che dà impedimento alla penitenzia, si è che l’uomo non crede di potere perseverare nell’opere della penitenzia. E questa cotale disperazione suole nascere dalle molte tentazioni e gravi che spesse volte hanno coloro che fanno penitenzia, più che gli altri che vivono mondanamente. E la ragione per che sono più tentati, dice San Gregorio: che ’l diavolo lascia di tentare coloro che pacificamente possiede; ma coloro che gli6 ribellano astenendosi da’ peccati, più aspramente tenta. Onde dice santo Agostino: Per continova sperienza veggiamo che ’l nemico più crudelmente perséguita coloro i quali da lui e dal mondo fuggono. Onde essere tentato è buon segno, e molto bene ne séguita delle tentazioni. E però non dee l’uomo per le tentazioni cadere in disperazione; anzi dee avere maggiore speranza in Dio, e con maggiore fidanza chiedere l’aiuto della grazia sua, la quale, dove è maggiore bisogno, più largamente e più prontamente sovviene. Come disse san Martino quando lo scherano il volle ferire della iscura, e domandòllo: Avesti paura? ed egli rispose che non fu mai più sicuro che allora; però che sapea che l’aiuto di Dio più prontamente è presto quando l’uomo che si fida in lui, è in maggiore pericolo; avvegna che alcuna volta indugia il soccorso manifesto, per [p. 58 modifica]fare più riconoscere altrui del suo difetto, e per più altre utilitadi7 che si diranno più innanzi.

Come si legge di santo Antonio, che essendo battuto da’ demonii in uno sepolcro, dov’egli era entrato a dormire, e lasciato per morto per le molte piaghe e percosse le quali per permissione divina, i demonii gli aveano dato, subito apparì un grande splendore con molta luce, la quale cacciò via i demonii, e sanò ogni piaga. E santo Antonio, tornando in sé, tutto confortato, conobbe la presenzia di Dio in quella luce, e gridò:8 Ubi eras, bone Jesu? ubi eras? Or dov’eri tu, buon Iesù? dove eri? Rispose Cristo: Antonio, io ero qui presente, ma io aspettavo di vedere la prodezza tua nella battaglia che ti davano i demonii. Ora è da considerare l’utilitade che riceve l’anima delle tentazioni. La prima utilità si è che l’uomo s’aumilia, conoscendo la sua fragilitade, e ricorre per l’aiuto di Dio, del quale si conosce avere bisogno. Onde san Paolo dice di sé medesimo, che però era tentato, acciò ch’egli stesse umile, e non insuperbisse de’ gran doni ch’egli avea da Dio. L’altra utilità che fanno le tentazioni si è, ch’elle fanno l’uomo sollecito ed esércitanlo, e non lo lasciano annighittire né essere ozioso; onde lo ’nducono a vigilie, a orazioni e digiuni, e agli altri spirituali esercizi che fanno l’uomo venire a perfezione spirituale. E però dice santo Iacopo: Beato l’uomo che sostiene le tentazioni; imperò che quando sarà provato, riceverà corona di vita: Beatus vir qui suffert tentationem; quoniam, cum probatus fuerit, accipiet coronam vitoe. E dee l’uomo avere fidanza in Dio, che nollo lascerà perire né vincere, ma porgeràgli l’aiuto della grazia sua; della quale dice san Paolo: Fidelis Deus, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis; sed cum tentatione faciet proventum, ut [p. 59 modifica]possitis substinere: Iddio è fedele, il quale non vi lascerà tentare oltre al vostro potere; ma colla tentazione vi darà forza e aiuto che possiate sostenere. L’altra utilitade che fanno le tentazioni, si è che fanno crescere l’anima in virtude: sì come dice san Bernardo, che vedendosi l’uomo combattere e essere tentato, ricorre all’aiuto di Dio; il quale spesse volte ricevendo (secondo che dice il Profeta di lui: Adjutor in opportunitatibus, in tribulatione: Egli è aiutatore ne’ bisogni e nelle tribulazioni), e’ si cresce la fede di lui, la speranza si conforta in lui, l’amore s’accenda in ver’ di lui; e così diventa l’uomo virtuoso e perfetto, esperto e conoscente di molte cose, che non era innanzi. In tanto che la Scrittura dice: Chi non è tentato, che sa egli? quasi dica, poco o niente. Anche per le tentazioni si pruova l’uomo s’egli ha bontà veruna, e com’egli è costante e fermo. Onde, con ciò sia cosa ch’elle sieno così utili, non se ne dee l’uomo disperare, ma confortarsene e prenderne più speranza. E così si può dire simigliantemente dell’altre tribulazioni, ch’elle sono molto utili a chi pazientemente le porta; imperò che Dio le permette, e fa venire per correzione e gastigamento di coloro cui egli ama, sì come dice per la Scrittura: Colui che io amo, correggo e gastigo. E ancora fu detto a santo Iob: Beato colui che da Dio è corretto. La qual parola esponendo san Gregorio, dice: Se se’ fuori del numero di coloro che sono corretti e fragiellati, sarai fuori del novero degli eletti beati e salvati. Onde dice san Paolo: Qual è quel figliuolo che ’l padre no ’l corregga e batta? Sopra la qual parola dice santo Agostino: Non essere di senno puerile e fanciullesco, che tu dica: Più ama Iddio cotale, che me; perché a lui lascia fare ciò ch’ e’ vuole, e dàgli prosperità; e me immantenente flagella, pure ch’io faccia uno piccolo fallo. Anzi più tosto godi sotto la battitura del flagello; ch’egli è segno che Dio, come figliuolo, ti corregge qui, e sérbati altrove l’eterna ereditade. Come, per lo contrario, dice san [p. 60 modifica]Gregorio, che la continova prosperità nelle cose temporali è uno indicio9 della eternale dannazione; come si pruova per lo essemplo del Ricco e del povero Lazero del Vangelo, al quale fu detto: Recordare quia recepisti bona in vita tua, et Lazarus similiter mala.

Leggesi nella Leggenda di santo Ambruogio, che venendo una volta santo Ambruogio da Melano, dond’era arcivescovo, e venendo a Roma, dond’era natio, e passando per Toscana, venne a una villa nel contado di Firenze, che si chiama Malmantile; dove essendo con tutta sua famiglia in uno albergo per riposarsi, venne a ragionamento collo albergatore, e dimandòllo di suo essere e di sua condizione. Il quale gli rispose e disse, come Iddio gli avea fatto molto di bene, chè tutta la vita sua era stata con molta prosperità, e già mai non avea avuta niuna avversitade. Io ricco, io sano, io bella donna, assai figliuoli, grande famiglia; né ingiuria, né onta, né danno non ricevetti mai da persona: riverito, onorato, careggiato da tutta gente, io non seppi mai che male o tristizia si fosse; ma sempre lieto e contento sono vivuto e vivo. Udendo ciò santo Ambruogio, forte si maravigliò, e chiamò la famiglia sua, e comandò ch’ e’ cavagli tosto fossono sellati, e immantanente ogni uomo si partisse; dicendo: Iddio non è in questo luogo né con questo uomo, al quale ha lasciato avere tanta prosperitade. Fuggiamo di presente, chè l’ira di Dio non venga sopra noi in questo luogo. E così partendosi con tutta sua famiglia,10 anzi che molto fussuno dilungati, s’aprì la terra di subito, e inghiottì l’albergo e l’albergatore, e’ figliuoli, la moglie e tutta sua famiglia, e gli arnesi e tutto ciò ch’ e’ possedeva. La qual cosa vedendo11 santo Ambruogio, disse alla sua famiglia: Or vedete, figliuoli, come la prosperità mondana riesce a mal [p. 61 modifica]fine. Non la desiderate; anzi n’abbiate paura, come di quella cosa che conduce l’anima allo ’nferno. Delle avversitadi e delle tribulazioni siate contenti, come di quelle cose che sono via che menano l’anima a paradiso, quando con buono animo e con pazienza si portano. Onde Cristo disse nel Vangelio: Voe vobis divitibus, qui habetis vestram consolationem hic! Guai a voi, ricchi, che avete qui la vostra consolazione! De’ giusti tribulati dice il Salmista: Multoe tribulationes justorum, et de omnibus his liberabit eos Dominus: Molte sono le tribulazioni de’ giusti, e di tutte gli libera12 Iddio; anzi le fa loro essere di grande utilità, come dice san Gregorio: Iddio studia da’ suoi eletti, per le temporali affezioni, rimovere e purgare le macule de’ peccati, acciò che non gli abbia eternalmente a punire. E in uno altro luogo dice: I mali che qui ci priemono e pungono, ci spronano e quasi ci costringono d’andare a Dio.

E’ sono due altre cose che sono efficace rimedio contro alla disperazione che nasce dalle tribulazioni e dalle tentazioni. L’una si è, se noi consideriamo la debilitade del nimico tentatore; del quale dicono i Santi, che quando egli è vinto da noi, che è quando noi resistiamo alle13 sue tentazioni, egli ne diventa vile e perde l’ardire, e non ritorna così tosto a tentare l’uomo di quel vizio del quale fu vinto. E abbiamo essemplo della tentazione di Iesu Cristo, che poi che fu vinto, dice il Vangelista: Tunc reliquit eum diabolus: Allora, cioè quando l’ebbe vinto, il diavolo lo lasciò stare, e non lo tentò più. A ciò si fa uno essemplo, che si truova scritto.

Leggesi iscritto da Cesario, che in Sansogna fu uno cavaliere di prodezza d’arme nominato e famoso, chiamato Alberto, il quale capitando una fiata a uno luogo dov’era una [p. 62 modifica]fanciulla indemoniata, cominciò la fanciulla a gridare: Ecco l’amico mio ne viene. E intrando egli nel luogo dov’ella era, dicea: Tu sia il ben venuto: fateli luogo, lasciáteglimi14 appressare, ch’egli è l’amico mio. Udendo il cavaliere quelle parole, avvegna che non gli piacessono molto, sorridendo, disse: Demonio stolto, perché tormenti tu questa fanciulla innocente? ma vieni meco al torniamento. Rispose il diavolo: Sì verrò volentieri, se tu mi lasci entrare nel corpo tuo di qualche parte, o per la sella o per lo freno o per altro luogo. Il cavaliere, avendo compassione di quella fanciulla, disse: Se vuogli uscire costinci, concederòtti un gherone, ovvero un guazzerone del mio vestimento, con questa condizione e patto, che tu non mi debba fare male nessuno. Promissegli il diavolo di non offenderlo; e uscendo della fanciulla, entrò nel guazzerone del vestimento del cavaliere, dove mostrava la presenza sua per nuovo movimento di sola quella parte, e per boce che indi uscia. Da quella ora innanzi il cavaliere sempre ebbe vittoria in torniamenti, in giostre e in battaglie, mettendo in terra chiunque toccava, avendo indosso il vestimento indemoniato; e quando non se l’avesse messo, se ne rammaricava, e strascinavalo per casa, e parea che per ira tutto lo stracciasse co’ denti. Alcuna volta che il cavaliere stesse in orazione nella chiesa, egli diceva: Troppo hai mormorato; andiânne. Quando avesse tolta dell’acqua benedetta, dicea: Guarda, che non mi tocchi.15 Alla fine venne il cavaliere a certo luogo dove si predicava la Croce; dove ristando e udendo la predica, disse il diavolo: che fa’ tu qui? andiâncene. Rispose il cavaliere: Io ti voglio lasciare, e servire a Dio. Disse il demonio: Doh perché mi vuo’ tu lasciare? che ti fec’ io mai di dispiacere? Mai io non t’offesi, non ti disdissi mai cosa che tu volessi; anzi t’ho fatto vittorioso e ricco, e nominato di grande valore. Rispose il cavaliere: Io voglio [p. 63 modifica]pigliare la Croce: vanne via, e giammai non ritornare più a me: e così ti comando nel nome di Cristo crocifisso. Partìssi il diavolo; e con molta ira isquarciando il guazzerone, non ci tornò mai più. Il cavaliere prese la Croce, e stette oltre a mare due anni. E tornando, fece uno spedale, dove provvedendo del suo avere a’ poveri e agli infermi,16 e personalmente loro servendo, santamente visse in fino alla morte. Or vedete come il diavolo non ha né forza né possa sovra l’uomo, se l’uomo non gliele dà; e come si parte quando altri, contastandogli, il caccia. Onde san Paolo ci ammaestra e dice: Nolite locum dare diabolo: Non vogliate dare luogo al diavolo. Anzi, come in un altro luogo, dice l’Appostolo: Resistite diabolo, et fugiet a vobis: Contastate al diavolo, e fuggirà da voi. Chè, come dice santo Ieronimo: Debile è quello nemico che non vince se non chi vuole essere vinto.

La seconda cosa che è efficace rimedio contro alla disperazione, si è la virtù della penitenzia, la quale coloro che la prendono vigorosamente, conforta e sostiene. Onde dice san Giovanni Boccadoro, che non è veruna cosa tanto grave, che la virtù della penitenzia non vinca; della cui17 virtù parlando, dice: O penitenzia, la quale i peccati perdoni, il paradiso apri, i contriti sani,18 i tristi fai lieti, risusciti19 da morte a vita, ristori lo stato, rinnuovi l’onore, riformi la fidanza, la grazia ricoveri, le cose legate isciogli, le cose isciolte guardi, le cose avverse mitighi, le cose confuse e nascose rischiari e apri, le cose paurose sicuri! Per te, o penitenzia, súbito il ladrone della croce ricevette il paradiso; David, dopo il fallo, per te ricoverò la santità; per te Manasses fu ricevuto a misericordia, [p. 64 modifica]Pietro ricevette perdono, il figliuolo isviato fu ricevuto e abbracciato dal padre; per te la città di Ninive sentì la divina misericordia. Perché adunque, o uomo, temi tu la penitenzia? Ella non ha cosa veruna dura, non aspra, non malagevole; anzi ha grande dolcezza e soave diletto, il quale assaggia chi ferventemente le penitenzia comincia, e ferventemente persevera in essa. Non avere adunque paura, ma sia sempre nel processo più pronto, nell’opera più apparecchiato e nell’amore più fervente. Fuggi il riso, contieni la lingua, componi i costumi, vinci i vizi, ama le virtudi, e séguita la santitade. Ma imperò che alcuni s’ingannano della vera penitenzia e non fanno frutti di penitenzia degni, il Boccadoro medesimo mostra quello che dee avere la vera penitenzia. Onde dice: La penitenzia schifa l’avarizia, ha in orrore la lussuria, caccia il furore, ferma l’amore, calca la superbia, ischiude la ’nvidia, contiene la lingua, compone i costumi, la malizia ha in odio. La perfetta penitenzia costrigne il peccatore a sofferire volentieri ogni cosa. Provocato, risponde mansuetamente; se ingiurato,20 non si difende; molestato, rende grazie; flagellato, tace: nel quore suo è contrizione, nella bocca confessione, nell’opere sempre umilità si truova. Un’altra cosa è, che molto dee confortare l’uomo ch’è21 in penitenzia, e farlo di buon quore; cioè s’ egli considera che per la penitenzia egli ha ricevuta la grazia di Dio, per la quale egli è fatto partefice di tutti i beni che si fanno per qualunche fedele, e in qualunche luogo; e che Iesu Cristo e la Vergine Maria, e tutti gli Angeli e Santi e Sante di paradiso, e tutti i giusti che òrano in questo mondo, sì priegano per lui. E spezialmente abbi fidanza nella Vergine Maria, la quale ha singulare cura de’ peccatori che tornano a penitenzia, e dicesi loro avvocata; come per molti essempli si potrebbe provare, [p. 65 modifica]i quali qui non si pongono per dire brieve. Solamente due essempli iscriveremo: nell’uno de’ quali si dà ad intendere come la Vergine Maria generalmente ha cura di tutti i peccatori, ed è loro avvocata; nell’altro, come sollecitamente priega per coloro spezialmente che hanno fede e divozione in lei.

Leggesi nella leggenda del padre nostro messer santo Domenico, che sendo egli venuto a Roma al Concilio per domandare la confermazione dell’Ordine il quale novellamente avea cominciato, che si chiamasse l’Ordine de’ frati Predicatori, una fiata si pose in orazione nella chiesa di san Piero, e pregava ferventemente Iddio e la Vergine Maria, alla quale avea speziale divozione, per li peccatori del mondo, che gli dirizzasse in via di salute e di verità; e che disponesse il cuore del papa e de’ cardinali che gli concedessono lo fermamento dell’Ordine novello,22 il quale egli avea trovato e ordinato per ravviare23 il mondo errante e’ peccatori in via di salute. Òrando il padre santo con grande fervore, di subito fu levato e rapito in ispirito, e vide Iesu Cristo su nell’aria, in quella forma che verrà a giudicare il mondo, con tre lance in mano; le quali guizzando e dirizzando verso la terra, facea sembiante di volere, lanciando, ferire la gente che abitava in terra, e disfare il mondo. Vedea riuscire dall’altra parte la benedetta Madre Vergine Maria, la quale domandando il Figliuolo che volea fare, e egli rispondendo che volea disfare il mondo, e uccidere con quelle tre lance la gente peccatrice e corrotta di tre vizi, superbia, avarizia e lussuria, ella s’inginocchia innanzi a lui facendo croce delle braccia, e pregavalo pietosamente che dovesse il rigore della sua giustizia [p. 66 modifica]temperare colla benignità della sua misericordia. E rispondendo egli ch’avea troppo sostenuto il mondo, il quale non s’era corretto né per li Profeti, né per la presenzia sua nel mondo, né per gli Apostoli, né per gli altri Santi ch’erano venuti di poi, i quali studiosamente s’erano ingegnati di convertire il mondo, e di riducerlo a Dio; e ella, tutta piena di piatà e di misericordia, ancora lo pregava dolcemente, dicendo: Per amore e per grazia di me, ti priego ti piaccia di perdonare ancora questa volta a’ peccatori, per li quali ricomperare, volesti nascere di me, facendomi tua madre, e passione e morte volesti sostenere; e io ti proffero un mio servo divoto e fedele, il quale, colla grazia tua, dicendo e facendo, convertirà il mondo, e riduceràllo a via di veritade.24 E dicendo Iesu Cristo, che ’l volea vedere se fosse a tanto officio atto e degno, la Vergine Maria, istendendo la mano diritta sopra il capo di san Domenico, lo rappresentava a Cristo; il quale egli accettò e approvòllo, e commendòllo dicendo: E io, per amore di te, dolcissima Madre, perdono al mondo per questa volta; e sopra Domenico tuo fedele pongo la grazia e lo spirito mio, col quale discorrendo per lo mondo, egli e’ suoi descendenti, come uomini evangelici e appostolici, istirperanno i vizi, seminando le virtude, e ricoglieranno frutto, predicando e operando, d’eterna vita. Ma come io mandai gli Apostoli miei, accompagnati a due a due, all’officio della dottrina e della predicazione, così è bene che a quello medesimo officio si dia a Domenico compagno. E dicendo la Vergine Maria, ch’ella l’avea apparecchiato e presto, e Iesù Cristo volendolo vedere, ella porse25 dall’altra mano san Francesco, il quale era a quel tempo a Roma; e lodato il secondo, come il primo, e accettandolo a uno medesimo officio, la Vergine Maria gli accompagnò insieme, diciendo26 loro che ’l [p. 67 modifica]grande officio al quale erano eletti, fedelmente e diligentemente proseguissono. San Domenico, che vedea la visione, attese e guardò fiso il compagno che gli era dato, il quale non avea mai più veduto; e in questo la visione isparì. L’altro dì san Domenico si scontrò in san Francesco, e riconoscendolo ch’egli era quello ch’egli avea veduto nella visione, affettuosamente abbracciandolo, disse: Tu se’ il compagno mio: stiamo insieme, e niuno avversario averà forza contro a noi. Da quell’ora innanzi, palesando san Domenico la visione a san Francesco, si ritennono insieme, e ragionârsi insieme, consigliando che modo fosse da tenere per adempiere il commesso officio. E alcuna volta ragionarono di fare pure uno Ordine; ma san Domenico avendo già il suo Ordine cominciato, e fatto certo per la visione che Dio l’accettava e che la Chiesa l’approverebbe e confermerebbe, sì come poi fece, avendo il papa la visione che la chiesa di san Giovanni Laterano cadea, e san Domenico venía dall’altra parte e, soppogniendo l’ómero, la riteneva e rilevava, proseguì quello che cominciato avea, e fece l’Ordine de’ frati Predicatori; e san Francesco, non molto poi, cominciò e fece l’Ordine de’ frati Minori. La visione detta di sopra di Iesù Cristo, e delle tre lancie, e della Vergine Maria che mostrò san Domenico e san Francesco, con tutto il suo processo, vide uno compagno di san Francesco in quella medesima ora che la vide san Domenico; e veggendo poi san Domenico e san Francesco insieme, e riconoscendo san Domenico, recitò ad amendue la visione che veduta avea. E lodarono il nome di Dio, solleciti adempiere studiosamente quello che la visione avea mostrato, secondo il proponimento già all’uno e all’altro spirato.

L’altro essemplo fu, che si legge scritto da Cesario, che nel contado di Lovagno fu uno cavaliere giovane, di nobile lignaggio, il quale in torneamenti e in altre vanitade del mondo avea speso tutto il suo patrimonio; e venuto in [p. 68 modifica]povertà, non potendo comparire cogli altri cavalieri, com’era usato, divenne a tanta tristizia e malinconia, che si volea disperare. Veggendo ciò un suo castaldo, confortòllo, e dissegli che s’egli volesse fare secondo un suo consiglio, egli lo farebbe ricco e ritornare al primo onorevole stato. E rispondendo che sì, una notte lo menò in un bosco, e facendo sua arte di negromanzia, per la quale era usato d’incantare i demonii, venne uno demonio, e disse quello ch’egli addomandava. Al quale rispondendo, ch’egli avea menato uno nobile cavaliere suo signore, acciò ch’egli lo riponesse nel primo stato, dandogli ricchezze e onore; rispose che ciò farebbe prestamente e volentieri, ma che convenia che prima il cavaliere negasse Cristo e la fede sua. La qual cosa disse il cavaliere, che non intendea di fare. Disse il castaldo: Dunque, non volete voi riavere le ricchezze e lo stato usato? Andiànne: perché m’avete fatto affaticare indarno? Veggendo il cavaliere che pure fare gli convenia, se volea essere ricco, e la voglia avea pure grande di ritornare al primo stato, lasciòssi vincere, e consentì al male consiglio del suo castaldo; e, avvegna che mal volentieri e con gran tremore, rinnegò Cristo e la sua fede. Fatto ciò, disse il diavolo: E ancora è di bisogno che rinneghi la Madre di Dio, e allora di presente sarà fornito ciò ch’egli disidera. Rispose il cavaliere, che già mai quello non farebbe, e diede la volta, partendosi dalle parole. E vegnendo per la via, e ripensando il suo grande peccato d’avere rinnegato Iddio, pentuto e compunto entrò in una chiesa, dov’era la immagine della Vergine Maria,27 col Figliuolo in braccio, di legname iscolpita; davanti alla quale reverentemente inginocchiandosi e dirottamente28 piangendo, domandò [p. 69 modifica]misericordia e perdonanza del gran fallo che commesso avea. In quell’ora un altro cavaliere, il quale avea coperate tutte le possessioni di quello cavaliere pentuto, entrò in quella chiesa; e veggendo il cavaliere divotamente òrare, con lagrime di doloroso pianto, dinanzi alla immagine, maravigliòssi fortemente, e nascosesi dietro a una colonna della chiesa, aspettando di vedere il fine della lagrimosa orazione del cavaliere compunto, il quale bene conosceva. In tale maniera l’uno e l’altro cavaliere dimorando, la Vergine Maria per la bocca della immagine parlava, sì che ciascuno di loro chiaramente l’udiva, e dicea al Figliuolo: Dolcissimo Figliuolo, io ti priego che tu abbi misericordia di questo cavaliere. Alle quali parole niente rispondendo il Figliuolo, rivolse da lei la faccia. Pregandolo ancora la benigna Madre, e dicendo com’egli era stato ingannato, rispose:29 Costui per lo quale tue prieghi, m’ha negato: che debbo fare a lui io? A questa parole la immagìne si levò in piè, e posto il Figliuolo in sull’altare, si gittò ginocchioni dinanzi a lui, e disse: Dolcissimo Figliuolo mio, io ti priego che per mio amore tu perdoni a questo cavaliere contrito del suo peccato. A questo priego prese il Fanciullo la Madre per mano, e levandola su, disse: Madre carissima, io non posso negarti cosa che tu dimandi: per te perdono al cavaliere tutto suo peccato. E riprendendo la Madre il Figliuolo in braccio, ritornò a sedere. Il cavaliere certificato del perdono e per le parole della Madre e del Figliuolo, si partiva, dolente e tristo del peccato, ma lieto e consolato della perdonanza conceduta. Uscendo egli della chiesa, il cavaliere che dopo la colonna avea ascoltato e osservato ciò che fatto e detto era, gli tenne celatamente dietro, e, salutandolo, il dimandò perch’egli avea gli occhi tutti lagrimosi; e egli rispose che ciò avea fatto il vento. Allora il cavaliere secondo disse: Non mi è celato tutto ciò che v’è [p. 70 modifica]intervenuto, e stato detto e fatto.30 Onde, alla grazia che ricevuta avete, per amore di quella che l’ha fatta e impetrata, io voglio porgere la mano. Io ho una sola e unica figliuola vergine, la quale vi voglio sposare, se v’è in piacere; e tutte le vostre possessioni grandi e ricche che da voi comperai, vi voglio per nome di dota ristituire: e intendo d’avervi per figliuolo, e lasciarvi reda di tutti i miei beni, che sono assai. Udendo ciò il prefato31 cavaliere, consentì al profferto matrimonio. E adempiuto tutto ciò che promesso gli era, ringraziò la Vergine Maria, dalla quale riconobbe tutte le ricevute grazie. Abbiate reverenza, peccatori, e divozione in tale avvocata chente è la Vergine Maria, la quale ciò che domanda, senza fallo riceve, e non lascia perire coloro c’hanno confidanza in lei.

Note

  1. L'edizione del 1725, non iscarsa di durezze siffatte: ad addomandare.
  2. La stampa del primo secolo: andò et disperossi et impiccossi per la gola.
  3. Così e, al creder nostro, assai bene la stampa del primo secolo.
  4. Il Manoscritto aggiunge qui, forse invano: e essalditi.
  5. Il nostro Codice: traccurati; e concorde nel senso, la stampa del 95: traschurati. Stranamente però quella dell'85: tracatati.
  6. Ediz. 95: che se gli.
  7. Il Manoscritto, nè solo in questo luogo: utolitade.
  8. Ediz. 95: gridò ad alta voce e disse.
  9. Il nostro Codice, per troppo facile scambio: è uno giudicio.
  10. Ediz. 95: con tutta sua compagnia.
  11. La stessa: udendo.
  12. Cosi l'edizione antica, e il Salviati. Quella del 25: gli deliberra; e il nostro testo: gli ha liberati.
  13. Lezione diversa ma non migliore, del Manoscritto, e quando noi resuscitamo dalle sue ec.
  14. Più alla moderna la stampa più antica: lassatemegli.
  15. Ediz. 95 e 85: Vedi, guarda che non mi toccassi.
  16. Così tutte le stampe; e solo il Codice, come pare, scambiando: agli orfani.
  17. Ediz. 95: della quale.
  18. Il nostro Testo omette queste tre ultime parole, che noi togliamo dall'edizione del 400 e da quella del Salviati. Non bene scegliendo i filologi del 1725: il Paradiso apri a' contriti savi.
  19. Nel nostro è scritto, secondo la plateale pronunzia: risusciti.
  20. Così la stampa del 95; e il nostro Manoscritto: ingiurato.
  21. L'edizione del 95 omette ch'è ed offreci farlo, che il Salviati conferma e noi pure abbiamo adottato.
  22. La stampa del 95: la confirmazione del nuovo Ordine. E il Salviati, ma con numero un po' troppo accademico: la confermazion dell'ordine.
  23. Desumiamo la conferma di quest'ottima lezione anche dell'errore del nostro Testo, che ha: roviare.
  24. Ediz. 95: ridirizzerallo a via di salute.
  25. Nel Manoscritto: ella rispose e prese.
  26. La stampa antica e il Salviati: imponendo.
  27. La lezione adottata dagli edittori del 1725, dov'era la Vergine Maria dipinta, ha sensibile ripugnanza colle seguenti parole, di legname scolpita.
  28. Il Manoscritto nostro: duramente.
  29. Aggiunge la stampa antica: il Figliuolo e disse.
  30. L'edizione del primo secolo, con senso e forma assai plausibile: ciò che in verso di voi è stato facto e decto.
  31. Benchè nel Manoscritto nostro leggasi: perfetto. Le stampe hanno, concordamente: il giovane.