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Quando cominciarono le ostilità, ella vide con spavento tutte quelle orde di soldati avviarsi alla distruzione del suo paese; e i cannoni e le bombe e i mortai e gli altri innumerevoli strumenti che seco trascinavano la facevano raccapricciare. Inorridì al primo rimbombo delle artiglierie, alla vista dei villaggi incendiati. Tutta la notte stette alla finestra a guardare il fuoco, che come se uscisse da tante bocche d’inferno, divampava sempre, sempre più distruggendo il suo amato paese. Oh! s’ella avesse potuto salvarlo!... Piangeva e pregava desolata. Il dì seguente, più morta che viva, la condussero in carrozza incontro alle schiere che tornavano vittoriose.

Gorizia era tutta in delirio. Le vie, le piazze piene di gente, echeggiavano dei più lieti evviva. Affacciate alle finestre, parate a festa, donne eleganti inghirlandate di fiori, sventolavano i fazzoletti. La musica annunziò che gli Austriaci erano giunti alle porte della città. Ella, bianca come una statua e col sangue agghiacciato, guardava quei soldati ancora ubriachi della fatta carneficina e che pure venivano accolti con tanti applausi. Essi passavano, passavano, e in mezzo a loro conducevano una ventina di prigionieri, alcuni mutilati, sanguinosi, e che facevano marciare a colpi di calcio di fucile e a piattonate.... Oh, lo sghignazzare del popolaccio! Oh le beffe e i sarcasmi che piovevano su quegli infelici! Gettavano loro addosso ogni sorta d’immondizie; e vi fu una signora che dall’alto della sua carrozza sputò in faccia a uno di essi.

La signorina, a quell’atto orribilmente inumano, si coperse il volto, e si sentì morire di vergogna. Ella non potè mai più togliersi dalla mente l’immagine di quel giovane italiano, che aveva veduto così in-