mentre la maggior parte dei viaggiatori dormiva, ella, aperto il finestrino, contemplava le scintille che uscivano dalla locomotiva, le quali, respinte indietro dal vento, formavano una striscia luminosa, ed era da lei benedetta più della nube che guidò gli Ebrei alla Terra promessa. Quando apparve l’alba, le si spiegò dinanzi la bella vallata di Gratz, che illuminata dal sole nascente si specchiava nelle acque del fiume. A Lubiana udì i primi accenti del suo caro dialetto; e sull’alto del Prevalt le parve di sentire l’aura che veniva dal suo paese.... Oh la patria! la patria!... E il cuore le batteva rapido, le tremavano le ginocchia, e commossa d’infinito affetto lacrimò.
Ma giunta a Gorizia nel palazzo dello zio, dove tutto ricordava la Capitale e dove convenivano i primi signori del paese, i quali si tenevano ad onore di conservare di quella i costumi e la lingua, le parve d’essere tornata di nuovo straniera. Aggiungi, che in quei giorni era scoppiata la rivoluzione in Italia, e Gorizia era piena di militari austriaci che spesso venivano al palazzo del barone, e naturalmente la conversazione si aggirava sempre intorno a truci progetti di guerra e a tristi notizie di sangue, che a lei, malaticcia e delicata, facevano penosa impressione. Non già ch’ella scusasse i ribelli! Semplice giovanetta, nuova nel mondo e avvezza a rispettare l’autorità di chi credeva più istruito di lei, non le passava neanche per la mente di contrastare con le altrui opinioni, tanto più che sarebbe stato un opporsi allo zio, che tanto l’amava, e al quale la legavano la più viva gratitudine e il più tenero affetto. Ma il suo cuore sensibile le faceva sempre provar simpatia per quelli che pativano.