Sotto il velame/La mirabile visione/V

V. Beatrice Beata

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V.


BEATRICE BEATA


La fonte dice distintamente il suo nome nel mistero. È la donna che Giacobbe ama, la donna per cui egli è servo di Laban. E serve sette anni, e invece di lei ha Lia; e serve altri sette anni, e allora acquista Rachele. I primi sette anni sono stati l’esercizio delle quattro virtù, che si assommano nella giustizia, per vincere i sette peccati; i secondi sette anni sono stati la purificazione dalle macchie lasciate da quelli, sette cicatrici di sette piaghe, e la promessa di sette premi che avrà in cielo il viatore. Dopo due settennati la vita attiva di questo è disposta nella visione. Dante è passato attraverso le fiamme che mondano il cuore e l’occhio. Vedrà. Cioè, Lia si specchia; cioè, Matelda sa e vede. Cioè, Giacobbe possiede Rachele; cioè, Dante rivede Beatrice. I simboli si fondono e s’intrecciano perchè sono come predicati d’un solo soggetto. Dante studia, si fa forte contro ogni ostacolo, acquista la virtù e l’arte, diventa [p. 477 modifica]atto alla visione: vede. Questo è il senso della mirabile favola: Dante segue Virgilio, Enea gli apre le porte di Dite, si trova con Catone, incontra Matelda, è avanti Beatrice. A mano a mano i simboli si scindono, e d’uno si fanno due. Matelda, se ragioniamo è Beatrice; perchè ella significa Dante che, con l’esercizio della vita attiva, si è fatto veggente. Ma il suo essersi fatto veggente è Matelda; l’essere veggente è Beatrice. E Virgilio è, in certo modo, l’una e l’altra. Egli dice d’aver tratto Dante, là dove vedrà prima Matelda e poi Beatrice, “con ingegno e con arte„. Ebbene, lo studio che è studio e amore, riguarda l’ingegno e l’arte, Beatrice e Matelda; è l’amor dell’intelletto o ingegno o meglio di ciò che è adombrato in Beatrice; e lo studio dell’arte: è l’arte e l’ingegno stesso.

Quale è dunque il nome mistico di Beatrice? È “la speranza della contemplazione di Dio, speranza che ha certa e dilettevole intelligenza di verità„. Ognuno che è “piamente studioso„ l’ama. Dante invero è guidato a lei da uno “studio che comincia dalla fede„. Ma quel nome è troppo lungo. Vediamo ancora. Ogni “utile servo di Dio, messo sotto la grazia dello sbianchimento de’ suoi peccati cioè l’“utile (non bisogna dimenticare questa parola) fedele di Lucia„, che altro nella sua conversione (Dante si era straniato da Beatrice) meditò, che altro portò nel cuore, di che altro fu innamorato (quid aliud adamavit), se non “la dottrina di sapienza„? La “dottrina di sapienza„, dunque; o “la desiderata e sperata bellissima dilettazione della dottrina„, o “la bella e perfetta sapienza„, o “la translucida verità,„ di cui alcuno s’innamora ardentemente, o [p. 478 modifica]“la luminosa sapienza„. “Sapientia„, dunque, diciamo. E così Virgilio sarà studium artis e studium sapientiae: studio dell’arte e amor della sapienza. Ma chi ama, è s’intende, Dante: Virgilio è un suo predicato.

Ciò si riscontra perfettamente nel Convivio.1 “È uno studio il quale mena l’uomo all’abito dell’arte e della scienzia„. Scienzia è qui, come vuole il contesto, sapienza.2 Infatti “Filosofia è quando l’anima e la sapienza sono fatte amiche„. Diciamo subito che nè Beatrice nè Virgilio sono di per sè Filosofia; ma che, se l’uno è studio o amore, e l’altra è sapienza, filosofia risulta dal tender dell’uno all’altra: dal tendervi nell’anima di Dante. E poichè Virgilio conduce Dante anche a Matelda, anzi prima a questa che a Beatrice, e Matelda è l’arte, così che cosa risulta dal tendere di Virgilio a Matelda? Filosofia è l’amor della sapienza; lo studio dell’arte, che è? Vediamo: due alunni ha Virgilio e tutti e due conduce a Matelda: l’uno è del mondo, per così dire, pagano o mondo antico o latino; l’altro dell’evo cristiano o nuovo o volgare. Ebbene Virgilio, come studio in genere e come studio dell’opere Virgiliane in ispecie, condusse Stazio anche alla sapienza: oltre che all’arte, anche alla sapienza. Ciò significa Stazio stesso dicendo:3

                              fui, per te cristiano.

Invero Dante dice che “le Intelligenzie che sono in [p. 479 modifica]esilio della superna patria... filosofare non possono„.4 Ciò dice delle Intelligenzie separate, ma si deve intendere delle menti anche unite al corpo, ma non illuminate dalla fede. In esse può essere desiderio e amore di sapienza; ma la sapienza non si fa amica della loro anima, per quanto questa si sia studiata e si studii. Or dunque il primo e necessario passo a filosofia è, per Dante, l’aver battesimo e fede. Ebbene Stazio l’ebbe per lo studio che faceva di Virgilio, il battesimo e la fede; l’ebbe, la luce, da quel lume che Virgilio portava dietro sè; l’ebbe, l’ispirazione, dalle parole con cui Virgilio profetava il Messia. Dunque a sapienza fu condotto Stazio da Virgilio; ossia fu, per lui, cristiano e filosofo. Ora è ben ragionevole credere che le parole che cominciano quel verso riportato più su,

                                   Per te poeta fui,

esprimano l’esser condotto da Virgilio a quell’altro abito, a quel dell’arte, a Matelda. E il secondo e maggior alunno di Virgilio, non dice, in verità:5

                    Tu se’ solo colui da cui io tolsi
                    lo bello stile che m’ha fatto onore?

Ora se tutti e due gli alunni possono dire d’essere stati poeti per lui, per lui possono dire d’essere stati cristiani? Stazio, certo. E Dante? Anche Dante. Noi abbiamo veduto, e il cuore ci s’innonda di gioia nel riconoscere che abbiamo veduto giusto, che Virgilio trae con sè Dante, mentre rovina verso la selva [p. 480 modifica]oscura, dove manca il libero arbitrio, come se battesimo o fede non fosse nell’uomo che v’erra; lo trae con sè oltre la porta aperta dal Redentore, lo trae con sè al fiume, cui passare è acquistare il lume che s’infonde col battesimo, ed è, insomma, diventare cristiani. E si intende che se Virgilio per Stazio, quanto allo acquisto della fede, equivale a “studio dell’opere di Virgilio„, per Dante, a quel riguardo e forse all’altro, esprime unicamente “lo studio e l’amore„.

Ma già son piene le carte. Il velame si è levato quanto basta a contemplare la visione di Dante. Narrarla non posso qui; sì, in altro libro che comincia di là dove questo finisce. E ciò che ora verrò soggiungendo, è solo “un prendere lo pane apposito, e quello purgare da ogni macola„.6 Dirò dunque che la divina Comedia è tutto un amoroso uso d’arte e di sapienza: un poetare, cioè, e un filosofare. Ora del filosofare nel Convivio Dante ci dichiarò le due parti componenti: l’amore e la sapienza. L’amore nella Comedia scinde in certo modo da sè, e raffigura in Virgilio. Notevole mi sembra che nel Convivio volendo dar prova di questo amore cita Democrito e Platone e Aristotele e Zeno e Socrate e Seneca; come nella Comedia sceglie, a impersonarlo, Virgilio: tutti pagani.7 Ciò perchè “l’oggetto eterno (di questo amore) improporzionalmente gli altri oggetti vince e soperchia„; ma specialmente li vince e soperchia in quelli che raggiungerlo non possono. Chi vuole esprimere e descrivere un amore appassionato, fervido, indomabile — l’amore — , non lo [p. 481 modifica]dipingerà mai soddisfatto: lo narrerà implorante in faccia alla ripulsa e ribellante in presenza della morte. Invero dei tre momenti dell’anima, amore, desire e quiete, narrerebbe, chi figurasse l’amor soddisfatto e beato, narrerebbe non quel primo, ma l’ultimo: non l’amore, dunque. E così bene Dante ha adombrato l’amor della sapienza in tale che vive in un desio senza speranza. Ora questi, come vuole la natura sua, dimora sì avanti Matelda, l’arte, ma sparisce avanti Beatrice, la sapienza; e senza lui Dante sale all’Empireo. Nel fatto, quando l’amatore è con l’amata, non c’è bisogno d’un simbolo per figurare il loro amore. L’essere insieme e il guardarsi negli occhi è questo simbolo.

Eppure anche lassù esso ha luogo; quando Beatrice riprende il suo seggio nella candida rosa, allontanandosi da Dante: nell’empireo: nel vero paradiso. Allora un “sene„ si trova presso l’amatore, che è lontano lontanissimo dall’amata. Esso è il Virgilio di lassù: lo studio e l’amore dell’ineffabile verità. Ma quest’altro Virgilio è con altra donna che Beatrice, nella relazione in cui il primo è con essa. Il primo appena chiamato dalla donna beata e bella, la richiede di comandare, e udito il suo prego, dice che il suo comandamento gli aggrada e che vuol subito ubbidire.8 È donna essa, cioè signora, e comanda; e Virgilio le ubbidisce: dunque è suo “fedele„, come Dante è fedele, cioè servo, di Lucia; come, in fine, Bernardo è fedele di Maria, della Donna Gentile. Egli è, com’esso dice, “il suo fedel Bernardo„.9 Ora ognun vede come a questa [p. 482 modifica]Donna Gentile, vergine e madre, e figlia di suo figlio, possano convenire le parole: “sposa dell’imperadore del cielo... e non solamente sposa, ma suora e figlia dilettissima„.10 Chè, parlando grossamente, s’intende non solo come sia sposa e figlia di Dio la vergine Nazarena, ma anche come sia sorella di Dio, chi è figlia di lui come di lui è figlio Gesù. E non importa aggiungere che codesta sposa e suora e figlia è detta nel Convivio “donna gentile„.

Ora ella è pur Filosofia, cioè “amoroso uso di sapienzia: il quale massimamente è in Dio, perocchè in lui è somma sapienzia e sommo amore e sommo atto, che non può essere altrove, se non in quanto da esso procede„.11 Dunque Maria simboleggia nell’Empireo ciò che l’unione di Dante e Beatrice, cioè la filosofia; e Bernardo ciò che Virgilio in essa unione: lo studio e l’amore, che è come il servo che a quell’unione conduce. Ma la Vergine Madre è la Filosofia di Dio, e l’unione di Dante e Beatrice è la Filosofia degli uomini. La quale pur essendo debole avanti quella di Dio, non è per altro essenzialmente diversa, poichè da quella deriva.12

Non ha qui luogo la distinzione di teologia e filosofia: filosofia è termine sintetico. Chè ell’è dunque, amore di sapienza. Ora scindendo il concetto nelle sue parti componenti, l’amore si rappresenta dal Poeta della Visione e dallo imbanditor del Convivio come insaziato; chè altrimenti sarebbe non amore, ma quiete e gioia; e la sapienza è nel Convivio raffigurata come nel Poema, tale quale. Leggiamo. “Nella faccia di costei appaiono cose che [p. 483 modifica]mostrano de’ piaceri di Paradiso... ciò appare... negli occhi e nel riso„. Il fatto di Beatrice. “E qui si conviene sapere che gli occhi della sapienza sono le sue dimostrazioni, colle quali si vede la verità certissimamente; e il suo riso sono le sue persuasioni, nelle quali si dimostra la luce interiore della sapienza sotto alcuno velamento: e in queste due si sente quel piacere altissimo di beatitudine, il quale è massimo bene in Paradiso„.13 Il fatto di Beatrice. O che si è favolato di apostasia?

Ma sì: dicono. “Dico e affermo che la donna di cui io innamorai appresso lo primo amore (di Beatrice) fu la bellissima e onestissima figlia dello Imperadore dell’Universo, alla quale Pittagora pose nome filosofia„.14 Leggono: “Dico che, come per me fu perduto il primo diletto della mia anima, della quale fatto è menzione di sopra, io rimasi di tanta tristizia punto, che alcuno conforto non mi valea. Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente, che s’argomentava di sanare, provvide (poichè nè il mio nè l’altrui consolare valea) ritornare al modo che alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi. E siccome essere suole, che l’uomo va cercando argento, e fuori della intenzione trova oro...; io, che cercava di consolare me, trovai non solamente alle mie lagrime rimedio, ma vocaboli d’autori e di scienze e di libri; li quali considerando, giudicava bene, che la Filosofia, che era donna di questi autori, di queste scienze e di questi libri, fosse somma cosa. E immaginava lei fatta come una donna gentile: e non [p. 484 modifica]la potea immaginare in atto alcuno, se non misericordioso...„.15 Ebbene? Leggiamo ancora: “appresso lo trapassamento di quella Beatrice beata, che vive in cielo con gli Angeli e in terra colla mia anima... quella gentil donna, di cui feci menzione nella fine della Vita Nuova, apparve primamente accompagnata d’Amore agli occhi miei, e prese alcuno luogo nella mia mente. E siccom’è ragionato per me nello allegato libello, più da sua gentilezza che da mia elezione, venne ch’io ad essere suo consentissi; chè passionata di tanta misericordia si dimostrava sopra la mia vedova vita, che gli spiriti degli occhi miei a lei si fero massimamente amici; e così fatti dentro lei, poi fero tale, che ’l mio beneplacito fu contento a disposarsi a quella immagine. Ma... convenne, prima che questo nuovo amore fosse perfetto, molta battaglia intra ’l pensiero del suo nutrimento e quello che gli era contrario, il quale per quella gloriosa Beatrice tenea ancor la rocca della mia mente„.16 Ebbene? ebbene?

È indubitabile che Dante modifica accortamente il racconto della donna gentile, quale è nella Vita Nuova, trasfigurando quella donna gentile compassionevole nella sposa e suora e figlia dell’Imperatore del cielo. Egli, accortamente, insiste sulla sua “misericordia„, e batte su quel generarsi dell’amore “più per gentilezza di lei che per elezione di lui„. Le quali due particolarità spero che faranno consentire i più in ciò che la donna gentile del Convivio sia “immagine„ di Maria, come raffigura la Filosofia. In vero in Maria è misericordia per [p. 485 modifica]eccellenza. Maria nella Comedia si volge alla Grazia, che “vien dalla Misericordia„ ed è lei che la manda a Beatrice. E, sopra tutto,17

               la sua benignità non pur soccorre
               a chi domanda, ma molte fiate
               liberamente al dimandar precorre.

Sì che ella adopera, la Donna Gentile della Comedia, esattamente come la donna gentile del Convivio, più per sua gentilezza che per altrui elezione.

Dunque Dante ha modificato quell’episodio. Certo. Ma qual contradizione è del Convivio con la Comedia? Anche nella Comedia, Beatrice nell’Empireo torna al suo posto, e Dante si volge alla Donna Gentile. Ma Beatrice non ha punto a dolersi dell’amator suo, che rimane fido a lei, anche volgendosi a Maria; la quale, nel suo senso simbolico, comprende Beatrice, come la Filosofia ossia l’amor della sapienza, comprende la sapienza; o come la Filosofia di Dio comprende quella degli uomini. Pur non tanto all’essenza mistica di Beatrice è fido l’amatore, quanto alla sua verace anima umana: fido nella Vita Nuova, fido nel Convivio, fido nel Poema Sacro. Solo una volta si straniò da lei, nella sua vita, il Poeta: alquanto tempo dopo la morte di lei: e questa infedeltà volle cancellare, studiandosi di dare a intendere che la donna gentile per la quale lasciò, poco tempo, il suo lagrimare per lei, fosse la sposa e suora e figlia di Dio.

Ma questo pio artifizio di Dante è la prova inconcussa che la Beatrice della Vita Nuova era una [p. 486 modifica]creatura reale, e non un simbolo. Era una casta fanciulla, che rendeva buono l’amatore. E morì; e allora l’umile fanciulla che vedeva Dio, diventò più sapiente d’ogni sapiente di quaggiù: la sapienza stessa. Ella, che mandò Virgilio a Dante, cioè il consiglio di studiare, cioè lo studio, incarnava per Dante la fede, da cui muove il buono studio; la fede senza la quale Dante non l’avrebbe veduta più mai.

Un’umile donna Fiorentina la sapienza, dunque? E sì. O non era un’umil donna Nazarena quella che vide negli abissi del pensiero di Dio?

Umili tutte e due, e perciò alta l’una e l’altra; e la Fiorentina, devota della Nazarena e sua imitatrice,18 inspira umiltà con la sua umiltà. Quand’ella apparisce, il viso di Dante si veste d’umiltà; e “ogni pensiero umile nasce nel cuore„, se parla; ed ella sen va, “benignamente d’umiltà vestuta„, quando si sente “laudare„.19

Note

  1. Conv. III 12.
  2. Prima dice: «lo studio che suole precedere la generazione dell’amistà».
  3. Purg. XXII 73.
  4. Conv. III 13.
  5. Inf. I 86 seg.
  6. Conv. I 2.
  7. Conv. III 14.
  8. Inf. II 54 segg.
  9. Par. XXXI 102.
  10. Conv. III 12.
  11. ib.
  12. ib. e 13 e passim.
  13. Conv. III 15.
  14. Conv. II 16. Filosofia, perchè accompagnata da amore. Vedi pag. seg.
  15. Conv. II 13.
  16. Conv. II 2.
  17. Par. XXXIII 16 segg.
  18. V. N. 10: «quella gentilissima, la quale fu distruggitrice di tutti i vizii e regina delle virtù».
  19. V. N. 5, 29, 11, 21 (Sonetto v. 9 seg. cfr. v. 7), 26 (Sonetto v. 6).