Sopra le virtù morali

Graziolo Bambaglioli

XIV secolo Indice:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu Letteratura Sopra le virtù morali Intestazione 30 agosto 2021 100% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV


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SOPRA LE VIRTÙ MORALI

Amore


I


     Amor che movi ’l ciel per tua virtute,
E con effetti di superni lumi
Muti li tempi, muti li costumi.
Muti condizïoni e volgi i regni,
Per gli abusi malegni,5
Di stato in stato e d’una in altra gente;
Intendi per pietà, onnipotente,
E degna di spirarmi, o santo e pio,
Ch’i’ possa dimostrar, com’i’ desìo.
Delle virtudi del moral subietto10
E dell’umano affetto,
A tua etema lode, alto signore;
Poi che felice effetto
Mai non si trova senza ’l tuo valore.



II

Dell’operazioni della vera amistà.


     Uomini singolar, città, comuni
E principi e baroni
Amor al ben comun dispone e liga:
Onde cessa la briga

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E stanno aperti i cammini e le strade.5
Per te, buona Amistade,
Il mondo ha pace e ’l ciel ha venustade.



III

Degli effetti della vera amistà.


     Le cose basse e di poca potenza
Amor le fa possenti, amor l’esalta;
Quanto ’l baron ha dignità più alta,
Senza verace amor, più basso scende;
Perchè senza unità5
Regno diviso mai non si difende.
O nobil carità
Sol di ragione amica,
Virtù e onestà sol ti notrica.



IV

Degli altri effetti dell’amistà.


     Amor, tu dài dolce e sicura vita,
Tu dai fortezza unita,
Tu dai prosperitade,
Tu empi il mondo di suavitade;
E tanto è l’uom gentile ed ha valore,
Quant’el possede del piacer d’amore.



V

Della virtù della chiara beneficenzia, che è atto di carità.


     Lo presto e ’l bel piacer raddoppia il bene,
E dal tardar avviene
Che renda il dono amaro
E mostra il suo fattor vile et avaro.


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VI

Che per altrui viltà e ingratitudine l’uomo virtuoso non dè’ mancare di sua virtù.


     Saggio è il bifolco che per tempestade
O per fertilitade
Non sta di seminar com’ si conviene;
Chè uno val per quattro, se va bene.



VII

Della verace pace, la quale è effetto della caritativa amistà.


     O dolce frutto di sicura pace,
Tu sola madre se’ delle buon’arti;
Affondi guerra e le misere parti
Per che si strugge il mondo;
E in te giace sicuro il dolce stato:5
Tu sola se’ che fai l’uomo beato.



PRUDENZA


VIII

Dello ’ntelletto ch’è parte della prudenzia.


     Beato è quel c’ha discreto intelletto
Che in virtute si notrica e posa:
Ella eccede ogni mondan diletto
E val sopra ogni pietra prezïosa.


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IX

Quale dè’ essere lo virtuoso rettore al governo della sua città.


     Non regga alcun signore a volontade,
Ma con pura ragione
Ami li suoi subbietti in unïone
Intento al ben della comunitade;
5Viva discreto affabile e piacente,
E farà a sè d’amore ogni uom servente.



X

Della virtù del ben comune.


     Quant’è perfetto il ben, tanto più vale,
Quant’egli è più comun e generale;
Perchè ciascun contenta e satisface,
E nascene unïone e dolce pace.



XI

Del reggimento virtuoso della sua famiglia.


     Tenga il signor famiglia di bontade,
Accorta d’onestade;
E sia ciascuno al suo fine ordinato:
E s’alcun fosse folle o vero ingrato
5No ’l tardi far lontano;
Perchè ne guasta mille un non ben sano.


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XII

Dell’escusabile ignoranzia che non si lascia conducere per malizia de’ lusinghieri.


     Quell’è ’l signor di natural bontade
Degno d’onore e d’imperial grandezza
Che non crede a dolcezza di coloro,
Che sormontando van con l’arte loro:
5Furan l’onor di valorosi e degni:
E questo è quello onde nascon gli sdegni,
Per che si perde l’opre trïunfali,
E regge ’l corbo e sì fatti animali.



XIII

Della virtù dell’eloquenzia.


     O grazïoso e singolar diletto
Del bel parlar che con ragion procede!
Per lui si mostra e vede
Quanto conosce l’umano intelletto.



XIV

Degli effetti dell’eloquenzia.


     Del bel parlar s’acquista eccelso onore,
Ed alto frutto nasce
Che con diletto l’uom consola e pasce;
E tant’è dilettoso il suo valere,
5Che ciascun tragge al suo dolce piacere.


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XV

Degli effetti della buona eloquenzia e contraria


     Uomo che parla con dolce sermone
Acquista grazïosa benvoglienza,
E così d’aspra et altiera eloquenza
Nasce disdegno e grave questïone.



XVI

Della virtù del tacere ragionevolmente.


     Mal sa parlare chi tacer non cura
E fa contra natura,
Che due orecchi et una lingua diede:
Però si mostra e vede
Ch’è più dell’uom udir che ragionare.



XVII

Degli effetti del ragionevol tacere.


     Ciascun del suo parlar talor si pente,
Ma non del suo tacere;
Però non si convien seguir volere,
Ma pensar le persone, tempo e loco;
E ’l mezzo è ’l bel tacer tra ’l troppo e ’l poco.


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GIUSTIZIA


XVIII

Esemplo di certi antichi Romani valorosi e virtuosi nella giustizia.


     O Cato, o Scipïone, o buon Traiano,
O gran re Giustiniano,
Or si conosce il tuo alto valore
Ch’è vostro eterno onore.
5Ma i miseri mortai del cieco mondo
Non veggono che al fondo
Leggier diletto e vil voglia li mena,
Di che conviene usar gravosa pena.



XIX

Che il giusto calonniato non tema ma speri nella divina bontà.


     Non tema il giusto ch’è calonniato
Nè d’essere infamato,
Perch’egli è mondo nel divin cospetto.
In lui metta speranza, in lui affetto,
5Il qual rivela ciascuna empietade,
Confonde falsitade,
E salva il giusto e la sua veritade.



XX

Dell’operazione del giudizio e della opinione.


     Perchè vera sentenza
Non è nell’apparenza,
Per vista e per parer non giudicare.
Perchè tu puoi fallare:
5Tal frutto par matur ch’è bene acerbo,
E tal si mostra umìle ch’è superbo.


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XXI

Che la verità non è nel pulito parlare, ma nell’operazione virtuosa.


     Non basta il bel parlar nè fa perfetto,
Ma il virtuoso effetto
Dell’opra bella rende l’uom felice.
Quell’è vera radice,
5Per lo cui frutto si conosce il bene
E quanto di valore ciascun tene.



XXII

Dell’operazione che si conviene all’uomo liberale.


     Quant’è maggior l'onor lo stato e ’l bene.
Tanto dè’ crescer più la caritade
In quelli a cui addiviene,
E mostrar opra di gentil valore.
5E questo è quel bel fiore,
Lo qual produce vera nobiltade.



XXIII

Che la virtù fa l’uom gentile e nobile.


     L’uom che di luogo vil è discendente
E in gran signor per sua virtude monta
Avanza quel che smonta,
Solo per sua viltà, d’alto parente.
5Chè tanto è grave l’onta
E anco maggior è ’l caso di costui,
Quanto per specchio o per esempio altrui
Avea via sicura
E gentile natura;
10La qual, con duro affan, per suo valore,
L’altro convien trovar, se vuol onore.


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XXIV

Che l’apparenza dell’ornamento non fa l’uomo virtuoso.


     In vanità non è gentil valore;
Nè adorna sella fa caval migliore,
Nè fren dorato tolle il suo difetto:
Così non fa valer pomposo aspetto
Uomo che si diletta in vista bella;
Però che ciò che luce non è stella,
E sotto fregi in vestimento vano
Giace il cuor vago di virtù lontano.



Fortezza


XXV


     Degno si fa di trïunfal corona
Uom di vera fortezza;
Però ch’ogni gravezza
Et ogni amara sorte
Con umiltà sostien fino alla morte.



XXVI


Della magnanimità, ch’è parte della fortezza.


     Impresa grave et alta con ragione
È magnanimitade,
La cui somma bontade
In dubbïosa via
Con subita follìa
Nè con tremor ma discreta discende;
A laude nè a lusinghe non attende,
Ad altrui con valor parlar non cura,
E fa soffrir la sua alta natura;
Ned è di cosa grande ammirativa,
E di mortal virtù è luce viva.


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XXVII

Della propria natura della magnanimità.


     Magnanimo è colui che con ragione
All’alte imprese attende.
Onor di campo o d’arme a lui s’arrende:
Per lui ben si dispone,
E tanto cresce a lui pregio et onore,
Che la sua chiara fama mai non more.



XXVIII

Dell’ardire e del timore che contrario alla fortezza.


     Nè timor nè ardire
Al saggio si convene;
Perchè ’l timido manca e perde spene,
L’ardito eccede e spiace;
Ma sicurtà verace
È pace della mente
Armata e forte contr’ogni accidente.



XXIX

Che niuna vendetta rimane che non si faccia.


     Speri ciascun offeso in basso stato
Veder, se ’l tempo aspetta,
Contro al possente altier giusta vendetta;
Perchè fortuna non tien fermo lato,
Ma tosto fa cader uomo esaltato.


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XXX

Come all’uomo che bisogna far vendetta, bisogna aver gran cautela.


     Somma allegrezza è a fare sua vendetta;
Perch’è lungi il dolore,
E muta in uomo onore.
Ma faccia sì ciascun, che ’l fare in fretta
5Per nuovo danno non gravi il suo stato;
Chè peggiorando è l’uom mal vendicato.



XXXI

Che alcuno non isforzi sua potenza contro a fortuna.


     Uomo passïonato da fortuna
Contro forza di tempo non si mova,
Perchè ratto nocchier fa mala prova
Contra potenze del turbato mare;
5Ma voglia con potenzia il mar passare,
’Ve si compie corona di virtute:
Però ch’è me’ soffrir un punto forte
Sperando aver salute,
Che tutto stato suo mettere a morte.



XXXII

Che ’l bene e ’l male addiviene per volontà umana e non per necessità d’influenzia di pianeta.


     Non da pianeta alcun necessitade
Ma solo ha volontade,
Alla qual sua natura l’uom dispone:
Però che d’appetito e di ragione
5E di libero arbitrio è possente.
Ciascuno moralmente
Elegge a suo piacere il male e ’l bene,
Ed è solo cagion di quel ch’avviene.


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XXXIII

Della temperanza.


     O Temperanza, donna dell'onore!
Tu reggi sempre di ragione il freno,
Tu tieni il mezzo ch’è tra ’l più e ’l meno;
Però si trova l’uom con più valore,
5El qual più t’ama; e chi segue ’l furore
Ed a disordinato esser s’accosta,
O quanto caro costa!
Ch’ogni nemico di cotal virtude
Con doglia e con sospir sua vita chiude.



XXXIV

Della lealtà del buono suggetto al suo signore.


     Discreto servo fa leale omaggio;
Perchè l’eterno raggio
Di fede e di virtù sempre si accende
Al bene et all’onore,
5Onde far possa grande il suo signore.



XXXV

Per lo ben comune non si deve temere nè fatica nè morte.


     A far lo ben comune
Non si dee temere
Nè fatica nè morte;
Chè al singolar ciascun è tanto forte,
5Quanto è il valor di sua comunitade;
Dêssi osservar sopra ogni utilitade.


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Vizii e Difetti


XXXVI

Della superbia.


     O mente folle del superbo altero
Ch’al cielo et alla terra è odïoso!
Ciascun superbo si tien valoroso;
Tanto soperchio ama la sua essenza,
5Che tien ferma credenza
Di mettersi sicuro ad ogni impresa;
Ond’egli ha spesso morte e grave offesa.



XXXVII

Della invidia e suoi effetti.


     O falsa Invidia, inimica di pace,
Trista del ben altrui, che non ti nuoce?
Tu porti dentro quell’ardente face
Che t’arde ’l petto, ed altrui metti ’n croce.



XXXVIII

Della naturale invidia.


     Uom di misero stato
Non è mai invidiato;
Ma sol chi ha del ben e tien virtute.
Dunque per prego d’eterna salute
5Rifreni cotal fera,
Che non istrugga e pêra
Per lo difetto suo l’altrui bontade.
Perchè non è maggiore gravitade,
Nè più grave dolor già non si sente,
10Che portar pena per esser valente.


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XXXIX

Della avarizia.


     O Avarizia, inimica di Dio,
Tu hai sì strutto ’l mondo e fatto rio,
Ch’a mal tôrre e tener sol hai rispetto.
Ciò mostra ’l tuo effetto:
5Chè per cupidità d’esser signore
O d’acquistare onore
Città castello o terra,
L’un strugge l’altro d’onde nasce guerra,
La qual danna e diserta ogni valore.



XL

Qui si riprendono gli innamorati per lussuria.


     O folli innamorati
Da dolce amaro alla morte guidati
Per un carnal desìo,
Lo vostro sommo ben è solo Iddio.
5Una dipinta immagine di terra
Vile vi lega e serra,
Che gentilezza nè virtù v’accende,
Ma solo a vizi et a viltà attende.



XLI

Del vizio dell’ira.


     Ira, che da virtù sempre è divisa,
È sì folle e perversa,
Che ’n sè non vede mai nulla ragione:
E per tal passïone
5Giudizio in se riversa,
Che ’n vecchio e ’n giovin falla ogni stagione.


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XLII

Che ’l signor non dè’ essere furioso ma temperato.


     Non si convien furare
Al discreto signore.
Lo saggio marinar ad un sol segno
Sa governar suo legno
5In tempo oscuro ed in serena luce;
Perchè virtù e ordine il conduce.



XLIII

Dell’accidia e della pigrizia.


     O pigra Accidia e vile Negligenza,
Tu tien l’anima nostra grave e trista.
Per te mai non s’acquista
Nome nè loda nè verace onore,
5Però che questo nasce di valore:
La qual miseria fugge,
Arte disdegna, e la natura strugge.



XLIV

Della malizia della parzialità.


     Non s’attien fede nè a comun nè a parte;
Chè Guelfo o Ghibellino
Veggio andar pellegrino,
E dal principe suo esser diserto.
5Misera Italia, tu l’hai bene esperto;
Chè ’n te non è Latino
Che non strugga il vicino
Quando per forza e quando per mal’arte.


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XLV

Che ciascuno attende alla propria utilità.


     A far lo ben comun son corte carte,
Perchè ciascuno al suo mulino attende;
E quel che più s’accende
E che nel suo comun più alto regna
5Volgerà tosto insegna,
Pur che l’offerta manchi.
Questo si mostra chiaro,
Chè non non c’è parte nè comune armato
Se non quando l’uom conserva suo stato.


(Dalle Rime di M. Francesco Petrarca, estratte da un suo originale, ecc., per F. Ubaldini; Roma, Grignani, 1662.)