Sentenza Tribunale di Milano - Caso Mills/1.1

La deposizione resa da David Mills nel procedimento n.1612/96

../1 ../1.2 IncludiIntestazione 20 maggio 2009 75% diritto

La deposizione resa da David Mills nel procedimento n.1612/96
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[p. 42 modifica]Il procedimento n.1612/96 R.G. Trib. si svolgeva a carico di:

- Berlusconi Silvio (soggetto che di fatto controllava le attività delle società del Gruppo Fininvest)

- Berlusconi Paolo (presidente del consiglio di amministrazione della Mediolanum Vita s.p.a. – società del Gruppo Fininvest – e soggetto che cooperava con Berlusconi Silvio nel controllo delle attività del Gruppo)

- Sciascia Salvatore (direttore centrale affari fiscali del Gruppo Fininvest)

- Rizzi Marco (collaboratore di studio di Sciascia Salvatore)

- Zuccotti Alfredo (direttore centrale amministrazione Fininvest)

- Berruti Massimo Maria (legale del Gruppo Fininvest ed ex ufficiale della GdF)

- Cerciello Giuseppe (colonnello comandante del Nucleo regionale di P.T. della GdF di Milano)

- Tripodi Vincenzo (tenente colonnello presso il Nucleo regionale di P.T. della GdF di Milano)

- Arces Giovanni (brigadiere GdF)

- Capone Giuseppe (appartenente alla GdF)

- Nanocchio Francesco (appartenente alla GdF).

L’avv. David Mills era stato indicato dal P.M. nella lista datata 12 marzo 1997 come testimone in ordine al reato di cui al capo E) di imputazione, concernente la vicenda Telepiù.

In tale capo si contestava a Silvio Berlusconi, Sciascia, Capone e Nanocchio il reato di cui agli artt.81, 110, 319 e 321 c.p.perchè Sciascia Salvatore, responsabile del servizio centrale Fininvest, in concorso con Berlusconi Silvio, azionista di riferimento Fininvest e soggetto che di fatto controllava le attività delle società facenti parte del Gruppo Fininvest, ed altri in corso di identificazione, prima prometteva e poi versava a Capone Giuseppe, che in parte distribuiva ad altri, tra cui Nanocchio Francesco, somme di denaro perché Capone e Nanocchio, appartenenti alla Guardia di Finanza ed incaricati, nella loro qualità di pubblici ufficiali e nell’esercizio delle loro funzioni, di accertamenti in ordine alla compagine societaria ed all’attività economica della società Telepiù, disposti dalla Procura della Repubblica di Roma e dal Garante per l’editoria e la radiodiffusione, omettessero di compiere atti del loro ufficio, ovvero compissero atti contrari ai doveri del loro ufficio, evitando di evidenziare gli elementi successivamente emersi dalle indagini effettuate dalla Guardia di Finanza e di cui alle note n.5943/UG in data 12.10.1994 e n.7230/UG in data 15 novembre 1994”. [p. 43 modifica]Sentito all’udienza del 20 novembre 1997, Mills aveva spiegato di avere svolto la professione di avvocato a Londra, come responsabile dello studio CMM Limited, associato allo studio italiano Carnelutti, a partire dal 1978 fino al 1991; scopo della CMM era quello di costituire società sia in Inghilterra, che tramite agenti e fiduciari in altri Paesi, in particolare nei “paradisi fiscali”, ma tale attività era calata nel 1988, quando il governo inglese aveva permesso la creazione di società offshore solo per i successivi cinque anni (pagg.14-15). Nel 1994 Mills aveva ceduto la CMM alla società Edsaco, specialista nel settore, rimanendone amministratore sino al 1996 (pag.16).

Il rapporto con la Fininvest era iniziato nel 1981-82 in ordine a diritti cinematografici: Mills era stato contattato in un primo tempo dall’avv. Berruti, che gli aveva chiesto consulenze inerenti alla doppia tassazione per la commercializzazione di tali diritti, ma aveva successivamente esteso la propria attività alla creazione di varie società, in contatto con Candia Camaggi, Carlo Bernasconi, Giorgio Vanoni e Giovanni Romagnoni (pagg.16-17). Si trattava sia di società inglesi (soprattutto quelle che commercializzavano i diritti con la Francia, per ragioni fiscali di doppia imposizione), sia di società offshore, costituite prevalentemente nelle Isole del Canale e nelle Isole Vergini (pagg.18-19). Una volta costituite, tali società erano controllate da fiduciari, formalmente responsabili: ma spesso il loro ruolo era passivo, e costoro conferivano procura ad altri, che avevano contatti diretti con il cliente, “operavano direttamente con il cliente”; la proprietà era facilmente individuabile in caso di azioni registrate, mentre non lo era in caso di azioni al portatore (pagg.19-20).

In relazione alle azioni costituite per conto della Fininvest, le azioni al portatore erano state inizialmente nelle mani della CMM, poi erano state consegnate a Giorgio Vanoni, direttore della Silvio Berlusconi Finanziaria in Lussemburgo, o a Candia Camaggi, responsabile finanziaria (pagg.21-22). Quanto agli amministratori della Fininvest, Mills aveva conosciuto Livolsi, Romagnoni, Messina, Foscale e, “molto meno”, Silvio Berlusconi; non aveva conosciuto, invece, Paolo Berlusconi (pagg.22-23). In tutto, le società costituite per conto della Fininvest erano state tra le trenta e le cinquanta e nella contabilità della CMM erano state raggruppate insieme, in una lista A e in una lista B (pagg.23-24).

Tra queste società vi era All Iberian, costituita nel 1989 su richiesta di Candia Camaggi e destinata in origine alla commercializzazione di films, “però dopo la costituzione lei non l’ha usata, è restata lì”; la sede era stata individuata in Guernsey, e siccome per la legge di quel Paese non era sufficiente affermare che essa era stata formata su richiesta del Gruppo Fininvest, ma doveva essere indicato il nome dei proprietari (“per tenere fuori persone non desiderate”), come titolare era stato scelto Foscale, amministratore delegato di Fininvest, “una persona fisica simbolo della Fininvest” (pagg.24-25). Dopo alcuni mesi la società era stata ripresa da Vanoni, al fine di comperare azioni nella Borsa di Milano; alla domanda di Mills sul motivo per cui non era stato lo stesso Vanoni a [p. 44 modifica]comperare direttamente azioni, quest’ultimo gli aveva risposto che “siccome questa società non entra nel consolidato, è una società fuori Gruppo, possiamo comprare queste azioni senza raggrupparle con altre azioni in possesso della Fininvest” perché, aggiungeva Mills “ci sono credo in tutte le borse del mondo regole sulle concentrazioni” (pagg.25-27).

Successivamente All Iberian era divenuta “la tesoreria di un Gruppo di società offshore: la All Iberian riceveva soldi in prestito da una società che si chiama Principal Finance Limited, che era… questo è un po’ complicato perché era una sussidiaria credo anche indiretta della Silvio Berlusconi Finanziaria. Quindi Principal Finance Limited era diciamo la porta di entrata nel Gruppo Fininvest, del consolidato di Fininvest, e quella società erogava soldi alla All Iberian e la All Iberian a sua volta distribuiva questi soldi alle… faceva pagamenti per conto di varie altre società” (pag.26). All Iberian aveva un conto alla SBS (Société de banque swisse) di Lugano, sul quale agivano come procuratori due soggetti indicati dagli amministratori su richiesta di Vanoni, tali Ferrecchi e Cattaneo; un conto a Londra, su cui aveva la delega un soggetto di Edsaco, e un conto in Lussemburgo (pagg.27-29). Mills dichiarava di non aver mai avuto a che fare con la gestione concreta di All Iberian in Svizzera.

Quanto alla vicenda Telepiù, nel 1991 Mills aveva discusso con Vanoni, Messina, l’avvocato Acampora e l’avvocato Bonomo delle modalità volte ad evitare “l’effetto pesante della legge Mammì”, che stabiliva un tetto al possesso di reti televisive da parte di uno stesso soggetto (“era mirata a portare via tre reti televisive alla Fininvest”). Era stata così escogitata dagli avvocati di Fininvest, per evitare che si potesse sapere “chi erano i veri controllori”, l’ipotesi di creare in Lussemburgo una società quotata in borsa, che poteva detenere azioni senza essere colpita (secondo la legge Mammì infatti non doveva esser accertata l’effettiva proprietà di una società quotata in Borsa in un paese dell’Unione Europea); Mills non aveva discusso con gli avvocati la correttezza del progetto: “se i miei clienti dicono che la cosa va bene in Italia, va bene”.

Con una complicata costruzione hanno fatto creare una società quotata in borsa regolarmente in Lussemburgo che ha potuto detenere azioni che i proprietari hanno regolarmente trasmesso a questa struttura”; “la chiave era che ci sarebbe qualcuno a capo che non era del Gruppo Fininvest, che era il proprietario ultimo di questa struttura che creava la società in Lussemburgo, e mi sono messo d’accordo di essere quella persona io”. A capo di questa operazione si poneva la società Horizon, posseduta da Mills, che aveva costituito la società lussemburghese C.I.T. assieme ad altre società controllate dalla stessa Horizon; “gran parte della C.I.T. era azionista della Banca Internazionale del Lussemburgo, in cui Horizon metteva soldi”; “credo che tutti i soldi che sono andati a finire nella C.I.T. sono venuti dalla All Iberian alla Horizon e poi sparsi fra le varie società”; era Vanoni ad occuparsi dei flussi finanziari (pagg.29-34). [p. 45 modifica]Mills aggiungeva poi che All Iberian, benché non operativa, esisteva ancora, ed egli, che ne era l’amministratore unico, aveva mantenuto presso la banca CIM di Ginevra un conto di 50.000/60.000 sterline per le spese residue della liquidazione.

In seguito, l’avv. Acampora aveva informato Mills dell’esistenza di un’indagine svolta dal Garante dell’editoria, ma nessuno mai aveva convocato Mills per avere chiarimenti (pagg.39-40). Infine, nel 1995 l’intera C.I.T., compresa la partecipazione di Horizon, era stata ceduta al sudafricano Rupert; la plusvalenza di Horizon, pari a circa dieci miliardi di lire, era stata trattenuta da Mills in attesa di definire la situazione di tutte le società offshore: si era deciso, infatti, di regolarizzare tali società assoggettandole al fisco inglese con un bilancio consolidato dal 1991 al 1995. La somma rimanente dopo il versamento al fisco e la restituzione delle somme dovute alla società All Iberian – spiegava Mills – era pari a circa cinque miliardi di lire ed era stata posta “in una banca in deposito e resterà lì finché non si chiarisce la situazione… siccome ci sono processi in corso in Italia, sarebbe imprudente distribuire tutti questi soldi finché la situazione non si chiarisce… secondo i miei clienti e secondo me i soldi appartengono ai soci del mio vecchio studio” (pagg.35-38); “il netto, che erano cinque miliardi, è stato dichiarato come un dividendo ricevuto da me per conto dei soci, tassato e quello che resta dopo le tasse è lì a Londra” (pag.38).

Soltanto da Vanoni e da notizie di stampa Mills aveva appreso dell’indagine effettuata nel 1995 nei confronti della società All Iberian per un pagamento effettuato su un conto corrente riconducibile all’on. Craxi (pagg.40-41).

L’esame di Mills terminava – è opportuno qui ricordarlo – con la singolare richiesta da parte della difesa di Silvio Berlusconi che lo stesso Mills restasse in aula ad ascoltare sia l’enunciazione dei motivi per i quali la difesa non procedeva al controesame (e cioè per il mancato deposito dei verbali degli interrogatori da lui resi in altri procedimenti penali) sia la richiesta di inutilizzabilità dell’atto, perché Mills poteva esser imputato del reato di falso in bilancio già contestato ai vertici di Finivest.


Si deve in primo luogo valutare la rilevanza della deposizione nel procedimento in cui è stata resa, quale emerge dalla lettura delle sentenze di primo e secondo grado, e della Corte di Cassazione.

Va immediatamente ricordato che la sentenza di primo grado, pronunciata dalla VII sezione del Tribunale di Milano il 7 luglio 1998, condannava Silvio Berlusconi alla pena di anni due e mesi nove di reclusione per una serie di reati di corruzione nei confronti di appartenenti alla Guardia di Finanza (le c.d. vicende Mondadori, Videotime e Mediolanum), oltre che per quello relativo alla vicenda Telepiù qui in esame (capo E).

La II sezione della Corte d’Appello di Milano il 9 maggio 2000, dichiarati estinti per prescrizione in virtù della concessione delle attenuanti generiche gli altri reati di corruzione contestati a Silvio [p. 46 modifica]Berlusconi, lo assolveva ai sensi del secondo comma dell’art. 530 c.p.p. quanto alla vicenda Telepiù per non aver commesso il fatto.

La Corte di Cassazione con sentenza del 19 ottobre 2001 assolveva Silvio Berlusconi da tutti i reati ascrittigli per non aver commesso il fatto.

Dai connessi reati di falso in bilancio, a seguito di una complessa vicenda processuale minuziosamente descritta nella sentenza, Silvio Berlusconi veniva assolto il 26 settembre 2005 dalla II sezione del Tribunale di Milano perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, a seguito dell’entrata in vigore del D. L.vo 11 aprile 2002 n.61, che modificava gli artt. 2621 e 2622 c.c.

L’indagine che aveva dato origine al procedimento di cui qui si tratta concerneva una serie di dazioni di danaro ad appartenenti alla Guardia di Finanza da parte delle imprese nei confronti delle quali i pubblici ufficiali svolgevano i loro compiti istituzionali. In particolare le imputazioni concernevano le verifiche effettuate presso le società del Gruppo Fininvest Videotime, Mediolanum e Mondadori, oltre a Telepiù s.r.l.

Quanto a Telepiù, che qui interessa, le indagini della Finanza erano state richieste dalla Procura della Repubblica di Roma nel 1993, ed erano tese ad identificare le persone e/o società cui le quote azionarie erano state cedute da parte di Fininvest a seguito dell’entrata in vigore della Legge 6 agosto 1990 n. 223 (“Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”, la cosiddetta Legge Mammì), che all’art. 15 vietava “posizioni dominanti nell’ambito dei mezzi di comunicazione di massa”, con specifiche disposizioni che limitavano la titolarità di una concessione per radiodiffusione televisiva in ambito nazionale a chi esercitasse il controllo di imprese editrici di quotidiani.

Anche l’esercizio di impianti di radiodiffusione privata era disciplinato e limitato, all’art. 16; l’art. 17 disponeva in particolare: “Qualora i concessionari privati siano costituiti in forma di società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata, la maggioranza delle azioni aventi diritto di voto e delle quote devono essere intestate a persone fisiche o a società in nome collettivo o in accomandita semplice ovvero a società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata purché siano comunque individuabili le persone fisiche che detengono o controllano le azioni aventi diritto di voto”.

La violazione delle disposizioni di cui agli artt. 16 e 17 era penalmente sanzionata, così come l’omessa trasmissione al Garante dell’elenco dei soci da parte delle società concessionarie del servizio pubblico e degli impianti privati.

Era determinato il numero massimo di concessioni consentite per la radiodiffusione televisiva in ambito locale al medesimo soggetto (tre con riferimento a bacini di utenza diversa), era vietata la [p. 47 modifica]contemporanea concessione per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e locale, il controllo o collegamento fra società era equiparato alla titolarità (art. 19).

Le verifiche richieste dalla Procura di Roma erano motivate dalla necessità di accertare il rispetto formale delle norme anticoncentrazione ed erano state effettuate fra il 1993 e il 1994: secondo l’ipotesi accusatoria proprio in relazione a tali verifiche erano state corrisposte somme di danaro. In particolare per quanto concerne Telepiù, nella sentenza di primo grado si afferma in termini di certezza la dazione di una somma di 25 milioni di lire da parte di persone riconducibili a Fininvest, a seguito di autorizzazione al pagamento data dalla proprietà, vale a dire da Silvio Berlusconi, al maresciallo Francesco Nanocchio, affinchè non venisse usata “mano pesante” nel corso delle indagini.

Il fatto storico è ormai accertato con sentenza passata in giudicato, così come la sua qualificazione giuridica: infatti per esso sono stati condannati in primo grado, oltre a Silvio Berlusconi, anche Salvatore Sciascia, responsabile del servizio centrale fiscale della Fininvest, Giuseppe Capone e Francesco Nanocchio, entrambi appartenenti alla Guardia di Finanza. In grado d’appello la sentenza, quanto a Sciascia, Capone e Nanocchio ed al capo di imputazione di cui qui si tratta, è stata riformata solo in relazione all’entità della pena, e tale sentenza è divenuta irrevocabile a seguito della pronuncia in data 19 ottobre 2001 della Corte di Cassazione, che rigettava i ricorsi presentati.

Si tratta, come già accennato, della ricezione della somma di 25 milioni di lire da parte di Nanocchio, al quale la consegnava Capone, che a sua volta l’aveva ricevuta da Sciascia, in relazione ai controlli su Telepiù in corso nell’ambito degli accertamenti riguardanti le società del Gruppo Fininvest, somma consegnata e ricevuta affinché non venisse “usato il pugno di ferro” (come riferito dallo stesso Nanocchio da ultimo il 16 maggio 1995 al Pubblico Ministero).

Le plurime e particolareggiate dichiarazioni confessorie di Nanocchio erano utilizzabili nei confronti del solo Capone: costui aveva negato la propria responsabilità ma era stato ritenuto inattendibile sulla base di una serie di elementi, compiutamente descritti in sentenza (alle pagine da 22 a 30), che concludeva per la provenienza da Capone del denaro ricevuto da Nanocchio.

Salvatore Sciascia e Silvio Berlusconi non avevano invece prestato consenso all’utilizzazione delle dichiarazioni di Nanocchio. Ma il Tribunale riteneva la sussistenza di concordanti indizi gravi e precisi, comprovanti la provenienza dei 25 milioni di lire ricevuti da quest’ultimo da una maggior somma pagata per Telepiù, “nel quadro della già accertata – e non contestata – prassi dei pagamenti effettuati da Sciascia agli appartenenti alla GdF”.

Non è questa la sede per ripercorrere la vicenda nei suoi elementi oggettivi e descrivere partitamente i singoli indizi. [p. 48 modifica]Rileva invece qui ricordare che la responsabilità di Silvio Berlusconi veniva ritenuta – nella sentenza di primo grado, pagg. da 33 a 39 – sulla base del fatto che Sciascia non aveva un potere decisionale autonomo, e quindi il denaro che egli utilizzava per i pagamenti corruttivi gli veniva messo a disposizione da chi aveva il potere di decidere e di disporre. Nessun elemento consentiva di ritenere che le autorizzazioni ai pagamenti provenissero dai vertici delle singole società sottoposte a controllo dalla Guardia di Finanza, anzi sul punto Paolo Berlusconi (in data 27 agosto 1994, pag. 33 della sentenza) aveva dichiarato: “la struttura aziendale del Gruppo Fininvest, al di là delle singole cariche formali, ha dei suoi referenti di vertice precisi e cioè per ciò che riguarda l’aspetto tattico strategico me personalmente, e per ciò che riguarda la strategia globale dell’impresa Silvio Berlusconi … Io posso considerarmi il numero 2 del Gruppo mentre mio fratello Silvio il numero 1. Il Gruppo al di là della sua miriade di società operative ha come riferimenti me e mio fratello”.

Peraltro lo stesso Sciascia aveva dichiarato di non aver mai consegnato il danaro “di testa sua”, di aver sempre goduto della massima fiducia e stima “tanto di Silvio quanto di Paolo, i quali certamente mai avevano dubitato che lo stesso Sciascia potesse trattenere per sé le somme che chiedeva per fare fronte alle pretese della Guardia di Finanza”.

L’individuazione di colui che aveva autorizzato i pagamenti andava quindi operata fra le due sole persone di Silvio e Paolo Berlusconi (per quanto risultante dagli atti e dalle loro stesse dichiarazioni: pag. 34 della sentenza). In particolare, Paolo Berlusconi veniva ritenuto estraneo alla vicenda Telepiù dell’aprile 1994, di cui non era peraltro imputato, sulla base del fatto che all’epoca non aveva alcun ruolo all’interno del Gruppo Fininvest, non aveva svolto alcuna attività relativa a Telepiù e non se ne era neppure mai interessato.

Gli atti processuali confermavano invece che l’autorizzazione al pagamento proveniva da Silvio Berlusconi, che aveva “interesse ad un accertamento sommario da parte degli appartenenti alla Guardia di Finanza”: sul punto va riassuntivamente riportata, per la sua rilevanza in questa sede, la motivazione della sentenza di primo grado (pagg. da 35 a 39).

Infatti gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento consentivano “la ricostruzione storica delle problematiche nascenti dall’applicazione della L. 6-8-1990 n. 223 (cosiddetta Legge Mammì) e delle operazioni effettuate per realizzare il rispetto formale delle norme anticoncentrazione”. Risultava che le quote di Telepiù fossero state “formalmente acquistate da alcuni soggetti-imprenditori, per escludere, appunto, la concentrazione della proprietà. Le indagini della Procura di Roma erano dirette proprio ad accertare se questa intestazione fosse effettiva oppure se, essendo essa soltanto fittizia, la titolarità rimanesse sostanzialmente in capo all’unico soggetto Fininvest”, che non avrebbe potuto detenere azioni oltre la soglia del 10%. [p. 49 modifica]Nella sentenza si richiamano i verbali dei Comitati “Corporate” e di “Indirizzo Corporate” in cui venivano esaminate le trattative per la vendita delle partecipazioni azionarie di Telepiù, verbali di cui veniva data lettura alla riunione successiva a quella cui si riferivano, ed il cui contenuto non corrispondeva a quanto discusso effettivamente nelle riunioni. Si richiama altresì la posizione di Luigi Koelliker, cui nel 1991 Silvio Berlusconi aveva proposto l’intestazione di azioni di Telepiù (società costituita nell’ambito del Gruppo Fininvest per realizzare le TV a pagamento in Italia) per non incorrere nella violazione della Legge Mammì: proposta che Koelliker non aveva accettato perché avrebbe dovuto sborsare 14 miliardi di lire, somma di cui veniva promessa la restituzione in caso egli avesse deciso di non partecipare effettivamente all’operazione. Le modalità di svolgimento della prospettata operazione sono descritte in sentenza a pagina 37.

Le altre trattative condotte per la dismissione delle azioni a fronte di “sostegni economici” ai soci erano state ricostruite da Alfredo Messina, direttore generale dei servizi centrali di Gruppo. In particolare erano stati interessati BIL (Banca Internazionale del Lussemburgo) e gli imprenditori Kirch e Della Valle, i quali, “attesa l’incertezza sullo stato della legislazione italiana nel settore delle Pay-TV”, avevano chiesto di “essere finanziati” nell’operazione per il periodo 1991-1993. Dalle dichiarazioni rese da David Mills il 20 novembre 1997 e riportate all’inizio di questo capitolo, oltre che da quelle di Federico D’Andrea, Ruggero Magnoni, Giovanni Acampora, Oliver Novick, Carlo Gillet, Pietro Sormani, Sergio Brambilla Pisoni, Giovanni Romagnoni e Alfredo Messina risultava “l’intestazione fittizia delle quote ed il fatto che i vertici aziendali di Fininvest fossero in grado di indirizzare la politica commerciale di Telepiù” (pag.39).

Più precisamente emergeva quanto segue (pagg. 37 e 38):

“Principal Finance è una subholding lussemburghese della Silvio Berlusconi Finanziaria, posseduta al 100% da Fininvest” (dichiarazioni D’Andrea); “la società All Iberian è riconducibile a Fininvest, in quanto <beneficial owner> era, all’atto della costituzione, Giancarlo Foscale <persona fisica simbolo di Fininvest> (cfr. dichiarazioni di Mills, 20.11.1997, avvocato che ha costituito la società All Iberian su richiesta del Gruppo Fininvest) ed in quanto diverse decine di miliardi sono state erogate nel 1990-1991 e 1992 dalla tesoreria italiana di Fininvest ad All Iberian come finanziamenti su istruzioni di Giorgio Vanoni, coordinatore amministrativo delle società estere” (dichiarazioni di Romagnoni).

“Analoga situazione si è verificata in relazione alla società Catwell (il cui <beneficial owner> era Livio Gironi, dirigente del Gruppo Fininvest con la qualifica di direttore centrale Finanza) che ha sostituito nel tempo All Iberian”. [p. 50 modifica]“All Iberian ha ricevuto, soprattutto negli anni 1990-1991 e 1992, ingenti finanziamenti da Silvio Berlusconi Finanziaria e da Principal Finance (oltreché 80.000.000.000 da soggetti non identificati) (D’Andrea). In totale dal 1990 al 1994 gli accreditamenti sono ammontati a circa 671 miliardi”.

“A sua volta All Iberian ha finanziato la società Horizon (di Mills) e le sue controllate (Nantoc, Wincanton, Sopac), società costituite formalmente, su richiesta di Giorgio Vanoni (Fininvest), da Mills, allo scopo di consentire di evitare gli effetti della legge Mammì, anche attraverso l’acquisizione ed il controllo di una società quotata in borsa in Lussemburgo (CIT) che ha posseduto il 25% di Telepiù. Il 20% di CIT era posseduto da BIL (Banca Internazionale del Lussemburgo), a sua volta garantita e sostenuta da Horizon” (dichiarazioni di Gillet).

“In questa situazione, Oliver Novick, responsabile per le strategie e lo sviluppo del Gruppo Fininvest, è stato incaricato di vendere il 25% di Telepiù, formalmente posseduto da CIT, ma in realtà evidentemente controllato da Fininvest. Nantoc, a sua volta, è stata utilizzata per comperare un diritto d’opzione per l’acquisto delle quote di Telepiù di proprietà di Boroli, Mentasti e Koelliker, diritto d’opzione non esercitato da Nantoc. Le quote sono state poi acquistate dal Gruppo Kirch. Quest’ultimo ha ricevuto la somma di circa 200 miliardi provenienti da All Iberian e da Catwell, attraverso la società Taurus, ad esso riconducibile, in concomitanza con l’entrata in vigore della legge Mammì e la ripartizione dell’assetto societario di Telepiù”.

La sentenza evidenziava nel prosieguo i mancati controlli della Guardia di Finanza, in particolare quanto ai ruoli di CIT e Nantoc, fino a concludere:

“Pertanto: è Silvio Berlusconi che, secondo quanto risulta dai verbali dei Comitati Corporate e di Indirizzo Corporate e dalle testimonianze, ha gestito il problema della situazione e della vendita delle quote societarie; è lui che ha chiesto a Koelliker – e ad altri soci – di intestarsi quote di Telepiù al fine di evitare le sanzioni della legge Mammì, che riguardavano la sua televisione; è lui che ha tranquillizzato i sottoscrittori circa la successiva partecipazione agli aumenti di capitale; è lui che ha organizzato i sistemi per effettuare il cosiddetto <sostegno economico> agli amici formali sottoscrittori; è lui che ha incaricato uomini di sua fiducia (Vanoni, Messina, Foscale, Gironi) di gestire i rapporti con Mills, che, a sua volta, ha posto in essere le strutture necessarie, come lo stesso Messina gli aveva richiesto e spiegato (udienza 20-11-1997); suo era l’interesse ad evitare accertamenti approfonditi; suo era il vantaggio derivante dalla superficialità degli accertamenti. Non esiste pertanto una spiegazione alternativa a quella – accolta dal Tribunale – che sia stato Silvio Berlusconi ad autorizzare il relativo pagamento”.

Occorre a questo punto soffermarsi sulla sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, di assoluzione di Silvio Berlusconi ex art. 530 c. 2 c.p.p. in relazione alla vicenda Telepiù per non aver [p. 51 modifica]commesso il fatto, e valutare il rilievo che in tale decisione hanno eventualmente avuto le dichiarazioni (o meglio i silenzi) di Mills. Si tratta delle pagine da 184 a 189 della sentenza.

Vi si afferma che il concorso morale di Silvio Berlusconi nella illecita dazione di danaro non era provato perché Nanocchio non aveva formulato alcuna accusa diretta o indiretta nei suoi confronti, perché a suo carico non vi erano elementi documentali né indiziari, reggendosi la sentenza di primo grado su mere presunzioni, perché in particolare era “indimostrato” il presupposto della fittizia intestazione delle quote societarie di Telepiù, mentre era ipotizzabile in capo ad altri soci di Telepiù l’interesse ad impedire più approfondite indagini della Guardia di Finanza. Comunque, speciale rilievo assumono nella motivazione le valutazioni giuridiche operate – difformemente dalla sentenza di primo grado – in relazione alla rilevanza probatoria degli indizi e degli asseriti moventi.

Nella medesima linea si muoveva la Corte di Cassazione, che anzi, portando a conseguenze ulteriori la critica al “ragionamento sillogistico” del Tribunale e della Corte d’Appello (basato sulla attribuzione al vertice proprietario di Fininvest della competenza in materia di corruzione della Guardia di Finanza), non solo confermava l’assoluzione di Silvio Berlusconi in relazione alla vicenda Telepiù, ma annullava altresì la pronuncia di estinzione per prescrizione resa dalla Corte d’Appello in relazione alle vicende Videotime, Mediolanum e Mondadori.


Da tutto quanto fin qui scritto emerge allora evidente la rilevanza delle reticenze di Mills.

In relazione alla galassia di società da lui stesso create per conto di Fininvest all’estero, egli, pur fornendo importanti prove della loro esistenza e della loro riconducibilità appunto alla società italiana, non ha indicato alcun elemento idoneo a fondare un giudizio di responsabilità personale di alcuno, e in particolare di Silvio Berlusconi, per il semplice fatto che non ha comunicato i nomi degli effettivi soci delle varie società del c.d. Gruppo Fininvest B, al di là dei prestanome che già comparivano. Nomi che invece gli erano noti, dato che egli stesso aveva posto in essere il complicato meccanismo sopra descritto, destinato a tenere nascosta l’effettiva proprietà di Telepiù.

David Mills ha detto solo tutto quello che non poteva non dire, alla luce anche delle dichiarazioni rese dagli altri testimoni e della documentazione già acquisita, senza ricondurre a Silvio Berlusconi ed alla sua famiglia l’interesse diretto al capitale di All Iberian e la proprietà del medesimo. Qui stavano appunto i “tricky corners” di cui Mills stesso avrebbe poi scritto a Bob Drennan nel 2004.

Gli elementi da cui si trae contezza del fatto che Mills abbia tenuto nascoste circostanze che erano a sua conoscenza sono plurimi, anche indipendentemente dalla dichiarazione confessoria costituita da tale lettera e dal verbale di interrogatorio reso al P.M. il 18 luglio 2004, e si analizzeranno nel capitolo 2.