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contemporanea concessione per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e locale, il controllo o collegamento fra società era equiparato alla titolarità (art. 19).
Le verifiche richieste dalla Procura di Roma erano motivate dalla necessità di accertare il rispetto formale delle norme anticoncentrazione ed erano state effettuate fra il 1993 e il 1994: secondo l’ipotesi accusatoria proprio in relazione a tali verifiche erano state corrisposte somme di danaro. In particolare per quanto concerne Telepiù, nella sentenza di primo grado si afferma in termini di certezza la dazione di una somma di 25 milioni di lire da parte di persone riconducibili a Fininvest, a seguito di autorizzazione al pagamento data dalla proprietà, vale a dire da Silvio Berlusconi, al maresciallo Francesco Nanocchio, affinchè non venisse usata “mano pesante” nel corso delle indagini.
Il fatto storico è ormai accertato con sentenza passata in giudicato, così come la sua qualificazione giuridica: infatti per esso sono stati condannati in primo grado, oltre a Silvio Berlusconi, anche Salvatore Sciascia, responsabile del servizio centrale fiscale della Fininvest, Giuseppe Capone e Francesco Nanocchio, entrambi appartenenti alla Guardia di Finanza. In grado d’appello la sentenza, quanto a Sciascia, Capone e Nanocchio ed al capo di imputazione di cui qui si tratta, è stata riformata solo in relazione all’entità della pena, e tale sentenza è divenuta irrevocabile a seguito della pronuncia in data 19 ottobre 2001 della Corte di Cassazione, che rigettava i ricorsi presentati.
Si tratta, come già accennato, della ricezione della somma di 25 milioni di lire da parte di Nanocchio, al quale la consegnava Capone, che a sua volta l’aveva ricevuta da Sciascia, in relazione ai controlli su Telepiù in corso nell’ambito degli accertamenti riguardanti le società del Gruppo Fininvest, somma consegnata e ricevuta affinché non venisse “usato il pugno di ferro” (come riferito dallo stesso Nanocchio da ultimo il 16 maggio 1995 al Pubblico Ministero).
Le plurime e particolareggiate dichiarazioni confessorie di Nanocchio erano utilizzabili nei confronti del solo Capone: costui aveva negato la propria responsabilità ma era stato ritenuto inattendibile sulla base di una serie di elementi, compiutamente descritti in sentenza (alle pagine da 22 a 30), che concludeva per la provenienza da Capone del denaro ricevuto da Nanocchio.
Salvatore Sciascia e Silvio Berlusconi non avevano invece prestato consenso all’utilizzazione delle dichiarazioni di Nanocchio. Ma il Tribunale riteneva la sussistenza di concordanti indizi gravi e precisi, comprovanti la provenienza dei 25 milioni di lire ricevuti da quest’ultimo da una maggior somma pagata per Telepiù, “nel quadro della già accertata – e non contestata – prassi dei pagamenti effettuati da Sciascia agli appartenenti alla GdF”.
Non è questa la sede per ripercorrere la vicenda nei suoi elementi oggettivi e descrivere partitamente i singoli indizi.