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Rileva invece qui ricordare che la responsabilità di Silvio Berlusconi veniva ritenuta – nella sentenza di primo grado, pagg. da 33 a 39 – sulla base del fatto che Sciascia non aveva un potere decisionale autonomo, e quindi il denaro che egli utilizzava per i pagamenti corruttivi gli veniva messo a disposizione da chi aveva il potere di decidere e di disporre. Nessun elemento consentiva di ritenere che le autorizzazioni ai pagamenti provenissero dai vertici delle singole società sottoposte a controllo dalla Guardia di Finanza, anzi sul punto Paolo Berlusconi (in data 27 agosto 1994, pag. 33 della sentenza) aveva dichiarato: “la struttura aziendale del Gruppo Fininvest, al di là delle singole cariche formali, ha dei suoi referenti di vertice precisi e cioè per ciò che riguarda l’aspetto tattico strategico me personalmente, e per ciò che riguarda la strategia globale dell’impresa Silvio Berlusconi … Io posso considerarmi il numero 2 del Gruppo mentre mio fratello Silvio il numero 1. Il Gruppo al di là della sua miriade di società operative ha come riferimenti me e mio fratello”.

Peraltro lo stesso Sciascia aveva dichiarato di non aver mai consegnato il danaro “di testa sua”, di aver sempre goduto della massima fiducia e stima “tanto di Silvio quanto di Paolo, i quali certamente mai avevano dubitato che lo stesso Sciascia potesse trattenere per sé le somme che chiedeva per fare fronte alle pretese della Guardia di Finanza”.

L’individuazione di colui che aveva autorizzato i pagamenti andava quindi operata fra le due sole persone di Silvio e Paolo Berlusconi (per quanto risultante dagli atti e dalle loro stesse dichiarazioni: pag. 34 della sentenza). In particolare, Paolo Berlusconi veniva ritenuto estraneo alla vicenda Telepiù dell’aprile 1994, di cui non era peraltro imputato, sulla base del fatto che all’epoca non aveva alcun ruolo all’interno del Gruppo Fininvest, non aveva svolto alcuna attività relativa a Telepiù e non se ne era neppure mai interessato.

Gli atti processuali confermavano invece che l’autorizzazione al pagamento proveniva da Silvio Berlusconi, che aveva “interesse ad un accertamento sommario da parte degli appartenenti alla Guardia di Finanza”: sul punto va riassuntivamente riportata, per la sua rilevanza in questa sede, la motivazione della sentenza di primo grado (pagg. da 35 a 39).

Infatti gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento consentivano “la ricostruzione storica delle problematiche nascenti dall’applicazione della L. 6-8-1990 n. 223 (cosiddetta Legge Mammì) e delle operazioni effettuate per realizzare il rispetto formale delle norme anticoncentrazione”. Risultava che le quote di Telepiù fossero state “formalmente acquistate da alcuni soggetti-imprenditori, per escludere, appunto, la concentrazione della proprietà. Le indagini della Procura di Roma erano dirette proprio ad accertare se questa intestazione fosse effettiva oppure se, essendo essa soltanto fittizia, la titolarità rimanesse sostanzialmente in capo all’unico soggetto Fininvest”, che non avrebbe potuto detenere azioni oltre la soglia del 10%.