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commesso il fatto, e valutare il rilievo che in tale decisione hanno eventualmente avuto le dichiarazioni (o meglio i silenzi) di Mills. Si tratta delle pagine da 184 a 189 della sentenza.

Vi si afferma che il concorso morale di Silvio Berlusconi nella illecita dazione di danaro non era provato perché Nanocchio non aveva formulato alcuna accusa diretta o indiretta nei suoi confronti, perché a suo carico non vi erano elementi documentali né indiziari, reggendosi la sentenza di primo grado su mere presunzioni, perché in particolare era “indimostrato” il presupposto della fittizia intestazione delle quote societarie di Telepiù, mentre era ipotizzabile in capo ad altri soci di Telepiù l’interesse ad impedire più approfondite indagini della Guardia di Finanza. Comunque, speciale rilievo assumono nella motivazione le valutazioni giuridiche operate – difformemente dalla sentenza di primo grado – in relazione alla rilevanza probatoria degli indizi e degli asseriti moventi.

Nella medesima linea si muoveva la Corte di Cassazione, che anzi, portando a conseguenze ulteriori la critica al “ragionamento sillogistico” del Tribunale e della Corte d’Appello (basato sulla attribuzione al vertice proprietario di Fininvest della competenza in materia di corruzione della Guardia di Finanza), non solo confermava l’assoluzione di Silvio Berlusconi in relazione alla vicenda Telepiù, ma annullava altresì la pronuncia di estinzione per prescrizione resa dalla Corte d’Appello in relazione alle vicende Videotime, Mediolanum e Mondadori.


Da tutto quanto fin qui scritto emerge allora evidente la rilevanza delle reticenze di Mills.

In relazione alla galassia di società da lui stesso create per conto di Fininvest all’estero, egli, pur fornendo importanti prove della loro esistenza e della loro riconducibilità appunto alla società italiana, non ha indicato alcun elemento idoneo a fondare un giudizio di responsabilità personale di alcuno, e in particolare di Silvio Berlusconi, per il semplice fatto che non ha comunicato i nomi degli effettivi soci delle varie società del c.d. Gruppo Fininvest B, al di là dei prestanome che già comparivano. Nomi che invece gli erano noti, dato che egli stesso aveva posto in essere il complicato meccanismo sopra descritto, destinato a tenere nascosta l’effettiva proprietà di Telepiù.

David Mills ha detto solo tutto quello che non poteva non dire, alla luce anche delle dichiarazioni rese dagli altri testimoni e della documentazione già acquisita, senza ricondurre a Silvio Berlusconi ed alla sua famiglia l’interesse diretto al capitale di All Iberian e la proprietà del medesimo. Qui stavano appunto i “tricky corners” di cui Mills stesso avrebbe poi scritto a Bob Drennan nel 2004.

Gli elementi da cui si trae contezza del fatto che Mills abbia tenuto nascoste circostanze che erano a sua conoscenza sono plurimi, anche indipendentemente dalla dichiarazione confessoria costituita da tale lettera e dal verbale di interrogatorio reso al P.M. il 18 luglio 2004, e si analizzeranno nel capitolo 2.