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LORENZO STERNE


― 18291


Natura il fece, e poi ruppe la stampa.


Dall’amore dell’arti liberali emerge la vaghezza d’intendere i casi dell’ingegno felice, che a noi rese visibili queste figlie di un pensiere divino: ma perchè Lorenzo Sterne stette nel creato più che altro a sembianza di spirito, nè degli eventi suoi tu potresti narrare, che il nascimento, la vita, e la morte, e perchè di questi a qualunque vento ti volga vedi composta la massa degli uomini, nè l’umiltà delle doti comuni vuol diritto di storia, – però noi convertiremo l’animo a più degno subbietto, favellando con breve discorso della Mente di Sterne.

Se la mollezza del cielo italiano, e la melodia dei suoni, e l’esultanza del paese gentile, che in ogni sua forma svela il concetto del sorriso, sono maravigliose e principali espressioni della bellezza; se i figli d’Italia sortivano tempre armonizzate al solenne linguaggio, qual di noi non vorrà di lieve consentire espressione della Bellezza le opere tutte di Sterne? E l’Irlandese le creava così belle alla nostra maniera, che tu immaginando diresti il suo pensiere educato nell’aure dei nostri sereni, e che al sangue gli corresse mista una fiamma dell’italico Sole. E [p. 150 modifica]le. E l’anime che vivono all’anelito di quanto è ispirazione d’una idea immortale, fra quelli scritti segnatamente piegano il desio al Viaggio sentimentale, ai Sermoni, e alla Vita ed Opinioni di Tristano Shandy gentiluomo. Ugo Foscolo, indegno singolare dei nostri tempi, e fresca memoria di pianto ai generosi, si piacque vestir di tal veste il Viaggio sentimentale, che rari sapranno arrivare a quel segno: – e perchè i Sermoni mirano a istituti e articoli di fede in parte diversi dai nostri, forse, traducendoli, non avrebbero convenienza universale. Rimane il Tristano Shandy, bellissimo libro, e più che altri a principio non crederebbe, – e fu meditato nella quiete d’un’anima intatta d’ambizione, di raggiro, d’invidia, e degli altri peccati soliti a visitare la gente di Lettere; per lo che riuscì specchio sincero delle nostre umanità, e traverso il riso, e le lacrime, mostra più lume di tanti, che in tutt’altro modo ritraggono la Natura. Gl’Italiani, per quanto io mi sappia, non hanno del libro bellissimo versione nè buona, nè cattiva. L’hanno i Francesi; – ma come? Chi non vuol credere, tocchi; – e lui infelice, se dipoi non si accuora dello strazio impudente. Sgradiranno gl’Italiani un lieve esperimento del libro bellissimo? E noi non vogliamo dar loro questo saggio2 a guisa di norma, o come pegno che un dì venga compita l’impresa, – ma perchè si levi uno spirito gentile, cui toccò in sorte profonda la sensazione dell’amore, della pietà, e del sorriso, e renda per quanto è dato immagine schietta del libro bellissimo. Nè io so dipartirmi da questo attributo, e le ragioni le ho tanto solcate nell’anima, che malamente tenterei manifestarle per via di favella; se non che l’arte impenetrabile, onde i valorosi d’ingegno sollevano il velo delle passioni agi[p. 151 modifica]tanti la vita, accoglie vigore siffatto, che, per quanto tu abbia l’animo restio, ti doma alla maraviglia; – e se tu hai viscere d’uomo, e leggi la storia di Le Fever, o di Maria, o la morte di Yorick, senza lasciarti andare al sospiro d’una mestissima voluttà, che giace misteriosa negli umani precordi, – ma a pochi sommi è dato di suscitare, – allora piangi della anima tua. La sacra scintilla aborrì la tua polvere, e si rimase nei cieli; – tu ereditavi più larga parte di affanni. Chi dirà l’angoscia ineffabile del cuore assiderato? L’alito delle belle passioni non vi sovverte, che sterili sabbie, incapaci a nutrire neppure il desio d’un affetto: – a che gli fu data la vita? come un freno da rodere. – Nè lo coglie un istante di sublime, onde spezzi quel freno; – e gli anni a lui numerati passano muti d’ogni vicenda, e solamente per piegarlo alla terra, che lo richiama: – il cuore assiderato è il silenzio di una solitudine, donde grida la verità della sentenza, che sopra tutti decretava infelice chi mai non cesse al pianto, e alla gioia. – Si levi adunque uno spirito gentile, che abbia il sentire a dovizia, e sufficiente ingegno, e sappia bene le lingue ambedue, – ma senza intervento di gramatica, – e tenti l’impresa, sperando, che le venture gli correranno propizie, e tutta Italia, e tutti i cortesi gli daranno plauso, e merito conveniente; ma dove questo effetto non séguiti, perchè sulle prime la malignità e l’ignoranza danno tre quarti dei voti nello squittino, allora tenti l’impresa per obbligo di coscienza, e chiuda l’adito a quei molti, i quali, sforniti di verecondia e di mente, ci fanno tal dono di traduzioni, che geme di grave offesa il sacro ufficio delle Lettere, e l’onor nostro, e quello dei forestieri. Sono le traduzioni, o per me credo che [p. 152 modifica]sieno, al corpo delle Lettere umori maligni; ma sia necessità naturale, o legge di costume, oggimai ne fanno elemento; e però sarà buon consiglio provvedere, che il male inevitabile ci venga da mani generose. Chiunque finora ha tradotto, e in qual modo tu voglia, ha presentato sempre un’immagine più o meno velata. I pensieri d’uno scrittore trapassando nell’anima nostra tengono assai del moto, e dei colori di quella, e diventano in certa maniera nostra essenza, perchè non si possono ritrarre se non come si concepiscono: – ora una legge arcana ha disposto, che ogni vivente concepisca in un modo, e per la forma, e per la idea, in varie parti diverso dagli altri. Ma gli scrittori originali in tutto il significato non si lasciano svolgere nè per forza, nè per amore. Quei concetti profondamente segnati dell’interna stampa dipendono troppo da chi li creava, e tolti da quella maniera d’esistenza, in che appena usciti della mente si giacquero eterni, non serbano più sembianza della prima natura. Voi tradurrete con qualche grado di agevolezza uno scrittore mediocre, perchè il mediocre è conseguenza piuttosto delle forme, che dello spirito, e le forme essendo una convenzione hanno moltissimi punti di contatto comune. Ma dov’è il magisterio, che vi presti il vigore da muover l’ala dell’anima immensa? – Quel vigore era la stessa anima immensa. – Dov’è il magisterio, che vi insegni a tradurre la soavità del fiore, il raggio del sole, l’afflato divino che distingue dalla morte la vita? Quella potenza d’intelletto indefinita, solitaria, indipendente, che si nomina Genio, è parte immobile del suo cielo natio, e a pochissimi prediletti è concesso fare a quel santuario pellegrinaggio di spirito. Dovranno i più rimanersi nel desiderio di [p. 153 modifica]tanta bellezza? Eterno dolore è il desiderio, – e se la sventura chiede la lacrima del mortale, siatene liberali a quei miseri su cui la sventura di soverchio si aggrava; – e pur troppo son tali gl’innumerevoli cui fu negata la facoltà di sentire, e cogliere un’aura di quanto spira di bello e di sublime nelle cose universe. Tuttavia la compassione non muterà d’un capello la legge onnipotente, che nel creato frammischiava la fiacchezza alla forza, la luce alle tenebre, il disordine all’armonia; – e se a te mancano i mezzi da conseguire la vista della Grandezza, non è mestieri che io ceda alla viltà del dispregio; – adora la memoria del Grande, e per sicurezza di giudizio affidati al testimonio dei secoli. Austero è il testimonio dei secoli, ma incorruttibile, nè giura sul nome d’altro Dio, che del Vero. Ma perchè, se tu sai, ne devi il merito alla tua buona o cattiva Fortuna, e, se non sai, non puoi sapere, così meglio di qualunque avvertimento conferisce al bene della traduzione la consonanza dell’indole, prima causa onde il Foscolo ebbe tanta felicità d’impresa; – e ci giovi convalidare lo asserto coll’esempio d’un altro illustre. Vittorio Alfieri dava all’idioma d’Italia, spontanea, e calda di vita, la storia severa di Sallustio romano, e al tempo stesso incrudiva la mollezza della poesia virgiliana, e oscurava que’ suoi vaghi colori, che forse non sono il minimo pregio del poeta latino. E il fatto avveniva, perchè l’Alfieri dappertutto spirava dall’anima quel suo fare da Michelangiolo, – e i casi, che posero vicino al suo niente la romana grandezza, e lo stile onde i casi vennero espressi, sono veracemente grandi, e terribili: ma Virgilio fu cortigiano, e l’indole avea temperata a subbietti, dirò quasi innocenti; – e la gente di Let[p. 154 modifica]tere ha giurato, che fu nelle Georgiche dove si mostrò potentissimo dell’ingegno.

Gli umani interessi ebbero sempre a lodarsi poco dell’esame troppo minuto; – ed hanno osservato, che grande elemento dell’obbietto, o buono, o bello, o felice, o di quanti altri mai ne somministri il creato a conforto dell’anima, sia la lontananza donde scorgi l’obbietto; – e più ti avvicini, e più si dirada il vapore, finchè in ultimo ti apparisce quell’aspetto aridissimo che per solito chiamano Verità, nudezza inamabile della cosa tanto, che il mortale di rado non ebbe ragione da maledire allo scambio. Altrimenti è di Sterne; – e più che a sviscerarlo ogni vigore dell’interno pensiere si adoperi, e più sempre ti balzano innanzi forme vive di novella leggiadria; – nè persona di cuor gentile vien mai che lasci di leggerlo, senza che nel profondo non le rimanga un desiderio come d’amore. Lorenzo Sterne scrisse singolarmente, e non a guisa di professione; e sebbene avesse consumato anch’egli la giovanezza alle scuole, e sapesse quant’altri mai delle opinioni stampate, perchè era sapiente non millantava dottrina, nè si faceva largo nel mondo, nè pretendeva titolo e riverenza di maestro, dando in cambio citazioni greche, e latine; – nè volle mai brighe di vanità, nè sappiamo, che venisse aggregato mai a nessun Convento della gente di Lettere. Ma perchè non temeva, nè sperava degli uomini, amò d’intemerata passione la Gloria, e la Verità; – e queste gli arrisero, – e, benchè persuaso di spender male la sua moneta, amò ben anche la specie cui la ventura lo volle annodato. E perchè il suo Genio lo piegava all’arti ingenue del pensiere, offerse loro culto di religione inviolata, nè mai le profanava, vestendosi il manto di tanta bel[p. 155 modifica]lezza per onestare le varie viltà, che invadono largo numero dei dottori di ogni popolo. Non fu mercatante della volontà, e dell’ingegno; ma spirito assoluto esplorava acremente le cose, nè sulla carta segnava altro moto, che quello dell’anima; e stimò meno di cosa che non sia il patrocinio, e le libidini del potente; – quindi nell’inviare che fece al Ministro Pitt il Tristano Shandy non gli chiedea nè favore, nè protezione, nè niente. ― Il libro deve proteggersi da sè, – gli dice in mezzo alla lettera, ― e ve lo mando come sollievo d’un momento agli affanni, e perchè vi faccia ridere, stimando che il sorriso aggiunga un filo alla trama brevissima della vita. – Ora se tu ami sapere qual grado ti assegnavano i fati sulla lunga scala degli animali, leggi Lorenzo Sterne, candido scrittore, e d’indole aperta, nè forse altrove esiste così verace storia dell’uomo come nell’opere sue. E se ti venisse fatto, o speri di temperar le tue grosse passioni, leggi quelle pagine di frequente. La morale di quei libri è drammatica, e sgorga diretta dalle situazioni dell’anima umana, immaginate con mirabile accordo dell’ingegno, e del vero: – è la morale del fatto, e d’ogni specie; e se gli atti di gloria, o d’altra bellezza, furono mai frutto d’insegnamento, certo fu sempre maestro l’esempio. Leggi Lorenzo Sterne, perchè con vario governo esercitando le leggi eterne del cuore non consente all’umano le superbie del sistema, ma sì lo stringe a piangere, e a ridere, destino solenne cui lo chiamò la Natura; e col motteggio, che sa molto d’amaro, ma d’amaro che medica, lo contiene nel cerchio delle sue umanità, perchè non cresca una ragione al severo, che veglia allo sprezzo della schiatta di Adamo. Ma la bellezza di Sterne sarà baleno agli oc[p. 156 modifica]chi di tutti? Dio faccia di sì, – da che la metà degli uomini nasceva per non vedere; – molta parte dei rimanenti non vuole. Simbolo di profondo consiglio era la nudità delle Grazie, e per me credo a quella immaginazione; – ma benchè nude, nè sdegnose dell’umano consorzio, rari è fama che le vedessero. E se nelle menti mortali da poco tempo il caso non operava qualche rivoluzione, di che non ci sia giunta novella, io vado convinto, che al grosso numero Lorenzo Sterne non piacerà; – e buon per lui, che le venture non lo portassero a scriver drammi, – così almeno andrà salvo dai fischi. E qui prego coloro che fanno professione di filantropia a non volersi attristare di troppo, se la nostra Natura pecchi di sconvenienza adoperando a manifestare un affetto la maniera testè mentovata: – io torrei pure a buon patto, per onor mio, e del prossimo, che quando l’uomo è commosso da una passione più turpe del solito si ristringesse a gittar via la parola, che lo distingue dai bruti, e fischiasse a sua possa, ma non andasse più oltre nell’usurpare le bestiali proprietà. Se adunque Sterne camperà dalla prefata disgrazia, a ogni modo verrà taglieggiato nei crocchi; – e perchè ci hanno detto, che l’umor della bestia si può bensì torcere più che mai, ma non dirizzare, per cortesia daremo luogo onde chi vuol correre abbia sgombro l’arringo, e tocchi la meta. Ma più che il grosso della plebe, la quale ha finalmente pro domo sua l’Ignoranza, che se monta in bigoncia sa recitare una lunga intemerata al pari di tutt’altro professore, diranno male di Sterne le loro Gravità Letterarie, quei sacerdoti d’idoli smessi, che si fanno ragione colla parrucca, e col fascio degli anni sul dosso, e colla tradizione delle opinioni passate. Io [p. 157 modifica]di buon grado lor farei riverenza, se la parrucca facesse parte della testa, e se non mi fossi accorto, che gli anni spossavano l’ingegno, dove era ingegno, e intristivano le belle passioni fremevano, nè altro effetto costante producevano sulla testa tranne i capelli bianchi. E quanto alle passate opinioni? Oh! se la faccia del Vero degnasse mostrarsi alla terra, la sua forma sarebbe unica, universale, perenne; – ma perchè inesorabile una sentenza lo vieta, ne tengono le opinioni la vece, le opinioni, che sono la sembianza scolpita d’un’epoca sociale. Spezzata l’arpa, cessano i suoni; – caduto il complesso delle razze destinate a significare un’epoca distinta di società, ogni efficacia delle sue opinioni si sperde; – quindi immediata necessità che la mente prediletta concordi le opere e gl’istituti al secolo, e alla razza che le fa corona. Quando cesserà il malignar dei pedanti, e l’insanire della plebe? quando la parola del Genio sarà scorta a chi peregrina la vita? quando spegneremo del tutto quell’avanzo della primitiva indole di fiera, che stette indomito contro la forza del tempo, e l’influsso delle più sante istituzioni? quando scioglieremo il voto eterno dell’anima di stringersi tutti in una famiglia di fratelli?

Fra coloro che si aggiudicavano esclusivamente la proprietà di filosofi e le chiavi del cuore, pende tuttavia la contesa se la razza meriti più il riso, o il compianto. Io, guardando al passato, le concedo la compassione, e gemo su quante generazioni disparvero, e sulle presenti; nè dissuado l’amore, supremo degli affetti, e bisogno dell’anime singolari, ma gemo, perchè l’amore fu sempre argomento gravissimo di cordoglio agli amanti. Qual saranno le future condizioni dell’uomo? Soffochiamo il presagio, e [p. 158 modifica]riposiamoci sulle lusinghe del tempo. Il tempo genera la vita e la morte, l’oltraggio e la vendetta, la schiavitù e l’ora solenne del riscatto..... Possa generare il vincolo dell’eterna concordia, possano le nostre ceneri risponder commosse al gioir dei nipoti lontani! Ma come adempievano i destini dell’esistenza le schiatte defunte? Tanto fervore di migliorarci di per sè stesso lo dice. Interroga i secoli e quell’antica sapienza di dolore risponderà. Noi mutammo da quando a quando l’impronta, ma la materia durò sempre la stessa. Tratto tratto un magnanimo imprendeva a tramutare in buona la nostra natura, e santificava l’impresa coll’amore colla sapienza, e col sangue; ma se l’ira, o lo sconforto, non mi traviano, mi è sembrato vedere gli sforzi generosi fin qui miseramente perdersi tutti nel vano; solo di tanta ruina avanzava l’ardore del desiderio, ma il desiderio non è che la profonda espressione della mancanza assoluta. Il magnanimo inquietato da uno spirito creatore gridava un grido di risorgimento ai giacenti; – spirava il vento, – non si moveva una fronda; – ineccitabile è il silenzio dell’anime create a tacere; e, per quanto lo scorra poderosa una voce, non odi ripetere un eco. E allora per lo spirito atterrito si commosse un sentimento, e parlava. – Forse l’onnipotenza dei fati segnò la razza d’un segno indelebile per la mano dell’uomo. Chi la curvò sulla polvere, quando gli piaccia, potrà sollevarla. – Cedeva il magnanimo uno spazio degli anni alla speranza, – chè la speranza è pure un affetto, – è il più gaio colore onde va lieto il fior della giovanezza, – ma il suo verde non è perenne, e il tempo vi soffia di un alito, che in fine gli è forza appassire. Chi è che giunto in fondo alla vita si levasse [p. 159 modifica]a dire: – io non piegai sotto il dolore del disinganno? – E però per le allegate ragioni, e per altre infinite, roderanno sempre i pedanti, perchè non sanno che rodere, e sempre spacceranno ricette le quali t’insegnano a fare, se tu sai fare da te, e ti profferiranno la misura di ciò che non ha misura, o almeno determinata, come sarebbe la potenza volubilissima della mente; e con mal piglio daranno lo sfratto ai concetti di Sterne, perchè non trovano posto tra i numeri delle aritmetiche loro. E però per le allegate ragioni, e per altre infinite, la plebe sempre maledirà: – e qui, dicendo plebe, io non intendo un insulto a quei miseri, cui le colpe degli avi non acquistavano censo, e fasto di nome, e che il senno della Fortuna costringe tutto giorno a sudarsi un alimento al dolore; – ma sì quel gregge immenso dell’anime, che non hanno in proprio fiato di volontà, e di potenza, – e giacerebbero inerti come la terra donde sporsero in fuori, se un impulso esterno non le movesse; – e, o così voglia l’affinità delle tempre, o altra cagione più ascosa, di rado avviene, che non accolgano unicamente il moto dei tristi; – quindi troverai plebe sotto qualunque panno, e in qualunque scompartimento si divida la radunanza sociale; – quindi le belle memorie, benchè liete d’un raggio del cielo, a quelle masse splendono tacite, e meste di luce funerea. Ma la Natura pensava un’ammenda agli oltraggi dell’ingegno felice, suscitando nel cuore dei generosi altri palpiti oltre quello della vita. E i generosi animati al piacere, e al dolore spirituale, nell’esultanza d’ogni bel sentimento salutano il Genio di Sterne, e desiano alla terra, che sovente si rallegri d’un’orma simiglievole alla sua, e serbano in petto la sua dolce memoria come segno di riposo [p. 160 modifica]allo spirito affannato dal viaggio mortale; perchè mente ebbe così benigna, che in essa non si levò pensiere che non fosse gentile, – e tanto ardore d’immaginazione, che nel deserto creò la fragranza della rosa, e durerà cara passione dell’anime elette finchè rimanga alla gioia un sorriso, un gemito alla pietà, un sospiro all’amore.

Note

  1. [p. 164 modifica]Dall’Indicatore Livornese, N.º 11.
  2. [p. 164 modifica]V. le Traduzioni nella Seconda Parte.