Sciotel/Parte Seconda/Capitolo Secondo

Parte Seconda - Capitolo Secondo

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Capitolo Secondo


Sommario. — 1. Nel 1876 ritorno in Napoli, e pubblico una memoria, nella quale parlo di Sciotel. — 2. Giudizio che ne dava il Corriere del Mattino. — 3. Ottimi effetti prodotti dalla memoria, e mia gita a Roma. — 4. Richiamato il de Martino dall’Egitto, vien rinviato con promozione di grado; protesto pubblicamente. — 5. Pratiche fatte con Menotti Garibaldi, e con Scialoia. — 6. Pratiche fatte a Genova col Rubattino, e a Caprera col Generale. — 7. Nuove pratiche fatte a Roma, e a Reggio di Calabria. Il fiasco del Congresso di Berlino mi spinge a ritornare all’Estero.

1. Tutti i nostri eminenti personaggi, che venivano al Cairo, erano da me, e da pochi altri, informati dello stato infelice, miserando in cui versava la nostra colonia, per la mancanza di forte appoggio da parte delle nostre autorità; ed io, in prova, citava principalmente le insistenti ed infruttuose pratiche e la sorte toccata al mio progetto.

Tutti quei signori, debbo pur riconoscerlo, convinti della verità dei fatti da noi esposti si adoperavano e facevano di tutto per migliorare le sorti della colonia, e, non ultimo fra loro, fu certamente il chiarissimo e compianto Scialoia.

Egli, conoscendo quanto io aveva fatto e quale dispendio aveva sostenuto per poter presentare l’anzidetto progetto, si mostrava con me cortesissimo e compiacentissimo. Ogni volta che andava a visitarlo, di buon [p. 68 modifica]grado s’intratteneva con me dello stato misero in cui si trovava la colonia, e mi diceva che si sarebbe reputato felicissimo, se riusciva a rialzarne in alcun modo il perduto prestigio.

Egli si adoperava per farmi ottenere la concessione di una forte industria, per la privativa della quale io offriva al Governo egiziano centomila franchi; e ci sarebbe riuscito se non glielo avesse impedito il continuo aggravarsi della crisi finanziaria.

Aggravandosi adunque di giorno in giorno lo stato della nostra colonia, ed un male ad un altro aggiungendosi, io, vedendo che ivi nulla poteva fare di bene, deliberai di venire in Italia, affin di tenere informati tutti, popolo e Governo, di ciò che si dovea temere, di ciò che si dovea da noi sperare in Egitto.

Sbarcato in Napoli il 12 Giugno del 1876, pubblicai e distribuii largamente una mia memoria sulla colonia italiana in Egitto; nella quale, essendo oramai assolutamente libero da qualunque impegno, parlai, per la prima volta pubblicamente, di rivendicare Sciotel, e mi misi in diretta corrispondenza epistolare col Bonichi, che era in Egitto.

Quella memoria non è certamente un fiore di ottimo stile e di forbita eleganza, ma non pertanto, mi si conceda dirlo, ha il pregio non comune di essere schietta, robusta, vibrata. [p. 69 modifica]

2. Di essa così ne parla il Corriere del Mattino di quel tempo:

«Gl’italiani in Egitto — Abbiamo sott’occhio una memoria circa l’attuale posizione della Colonia Italiana in Egitto, dell’egregio Architetto Signor Francesco De Lorenzo.

L’argomento, essendo oltremodo interessante, ed assumendo esso una non lieve importanza nell’andamento delle vicende sociali, noi crediamo opportuno di estenderci alquanto sui punti più salienti dell’opuscolo in quistione — L’autore comincia per notare che i nostri connazionali i quali godevano per lo passato un certo prestigio nel Vice-Reame d’Egitto, oggi si trovano nella dura necessità di ricorrere a mezzi estremi per riuscire in qualche loro intento. A chi la colpa? — egli soggiunge — Chi è la cagione di un tale mutamento subitaneo quanto deplorevole, di questo cataclisma, che sprofonda le basi delle nostre istituzioni, del nostro credito in Egitto? Alla quale inchiesta l’autore medesimo risponde col silenzio, lasciando alla Colonia italiana intera di pronunziarsi su tale proposito, per tema di dar campo ai suoi proprii risentimenti, al suo personale rammarico, di dare insomma uno sfogo all’animo suo.

Egli asserisce in seguito che le risorse maggiori in Egitto, furono quelle offerte dall’agricoltura, dal commercio e dall’ingegne[p. 70 modifica]ria. Ma che da più anni in qua quest’ultima predominò nella capitale; ove le colonie estere esercitandovi la loro influenza si morale che materiale, lucrarono delle ingenti somme nelle diverse intraprese loro affidate.

I nostri connazionali, osserva l’egregio De Lorenzo, benchè si fossero adoperati in diverse occasioni ad offrire al governo Egiziano le loro facoltà intellettuali, le loro cognizioni, non riuscirono a farsi valere, per mancanza d’energia da parte di chi trovasi incaricato di rappresentare la nostra nazione.

Più oltre il Signor De Lorenzo, per far rilevare l’inerzia di quell’autorità consolare italiana, e mettere in evidenza il suo patriottismo, porta a nostra cognizione che nove anni or sono, in Abissinia e precisamente nel territorio di Sciotel, i nostri connazionali ottenevano un’estensione di terreno della superficie di 30 leghe quadrate per fondarvi una colonia agricola, ma che i componenti della prima spedizione giunsero sempre nei terreni di loro pertinenza depredati di ogni sostanza, estenuati di forze morali e materiali, nell’impossibilità di effettuare i loro disegni.

L’autore, deplorando un simile stato di cose, fa delle grandiose proposte al nostro governo tendente al bene dei suoi connazionali in Egitto, che noi, non crediamo di portare a conoscenza dei lettori, sia per non [p. 71 modifica]dilungarci di troppo, sia perchè non intendiamo di emettere una nostra ponderata opinione, trattandosi di materia estranea alla nostra competenza.

Non possiamo però astenerci dall’esporre il vivo desiderio di vedere benignamente accolta la proposta dell’egregio Architetto, e messo in esecuzione il suo patriottico progetto.

Tocca all’attuale ministero prestare il suo valevole appoggio ad un vero Italiano, bersagliato sin’oggi dalla fortuna, malgrado la sua intelligenza ed il suo preclaro ingegno; e far riacquistare alla nostra colonia in Egitto quello antico lustro, che formava il suo orgoglio, e la sua gloria» 1.

3. La pubblicazione e la diffusione della suddetta memoria, produsse gran rumore, e destò un certo entusiasmo nella opinione pubblica e nella stampa. Riceveva perciò di continuo numerose lettere, e biglietti da visita in segno di simpatia e di approvazione. Tra gli altri nomi mi pregio rammentare quelli del Comm: Peiroleri, direttore generale dei consolati, del Magliani allora consigliere alla Corte dei Conti, degli onorevoli de Cesare Carlo, Prof: Pellegrino, Floriano del Zio, Menotti Garibaldi, Ascanio Branca Segretario Generale del Ministero di Agri[p. 72 modifica]coltura, del colonnello Primerano, Segretario Generale del Ministero della Guerra ecc. ecc.

Vedendo dunque l’ottimo effetto prodotto dalla memoria, il 19 novembre del 1876 mi portai in Roma, allo scopo di trarre profitto del movimento favorevole manifestatosi nella opinione pubblica, e, come sembrava, anche nel Governo nostro, e fare in modo che il Governo nostro s’impegnasse a sostenere, contro il Governo egiziano, la rivendicazione di Sciotel.

A Roma vidi ed ebbi parere con moltissimi Deputati, i quali proposero di formare una commissione per presentarmi al Ministero; ma siccome si vide che, per i moltissimi affari che c’erano negli uffici, non era il momento opportuno, si rimandò la presentazione a tempo migliore.

Venuto intanto per poco in Napoli, mi disponeva a ritornare a Roma, quando, saputo il richiamo dallo Egitto del Console Generale De Martino, credetti utile attendere ancora per vedere chi sarebbe stato mandato al posto del De Martino, che tanto male avea curato gli interessi italiani.

4. Stavamo perciò tutti ansiosi aspettando le decisioni del Governo quando, con nostra grandissima maraviglia ed immenso dolore, sapemmo dai giornali che il de Martino era rinviato in Egitto, e promosso di grado!

A tale notizia arsi di tanto sdegno che, senza punto riflettere a ciò che stava per [p. 73 modifica]fare, era sul punto di partire per Roma e chiedere conto al Ministero degli Esteri delle ragioni che aveano consigliato quelle autorità a non tener presente le giuste doglianze della Colonia italiana di Egitto, e a conculcarne i suoi più santi diritti. Ma i miei amici e cointeressati, convinti che non avrei ricavato nulla di bene, e che forse avrei potuto aggravare il nostro misero stato, fecero di tutto per sconsigliarmi di dare quel passo.

Laonde, costretto ad arrendermi alle loro ragioni, mi contentai di pubblicare la seguente lettera di protesta, che inviai al Corriere del Mattino, sicuro di rendermi con essa interpetre dei sentimenti di tutta la nostra colonia di Egitto.

«Di nuovo sulla nostra rappresentanza in Egitto — Dall’Ingegnere signor De Lorenzo riceviamo la seguente che di buon grado pubblichiamo:

Stimatissimo signor Direttore,

Nel numero 33 del suo tanto accreditato giornale, io lessi alcune linee riguardanti il ritorno del signor de Martino in Egitto. Ella, con nobiltà di sentimento ed avendo esclusivamente in vista la compassionevole posizione degli italiani di quella contrada, si augurava che il signor de Martino non an[p. 74 modifica]dasse colà che per proprie faccende, e non per rappresentare la nostra nazione.

Avendo io pubblicato, non è guari, una piccola memoria relativamente all’attuale posizione della Colonia italiana in Egitto, e dimostrato coi fatti come gl’interessi di essa trovinsi malamente tutelati, mi era riservato, in seguito alle notizie di qualche giornale, di protestare energicamente circa la riconferma del signor de Martino al posto di Console Generale.

Mi fo dunque a sperare con lei, stimatissimo signor Direttore, che il de Martino non vada in Egitto che per più presto ritornarsene. E questa speranza non può non andare condivisa da ogni animo patriottico capace di comprendere quanta difficile si renderebbe in Egitto la situazione d’una numerosa colonia, abbandonata di bel nuovo all’alta protezione di un prototipo Console, tutelare dei suoi più sani interessi.

Nelle attuali circostanze fa mestieri di mezzi radicali, poichè il transigere, su non lievi mancanze, sarebbe deprimere il credito delle nostre istituzioni in Egitto, sarebbe un irridersi, da parte del nostro governo, delle vigenti leggi costituzionali.

Ringraziandola dell’ospitalità concessami, la prego di aggradire l’espressione della mia più alta stima

Francesco De Lorenzo.»

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5. La improvvisa ed inaspettata risoluzione di rinviare in Egitto il de Martino, e, più che ogni altra cosa, la sua promozione, dicevano chiaro che il nostro Governo, approvando pienamente la politica del de Martino ed abbandonando così a se stessa la pericolante e già fiorentissima colonia di Egitto, non avrebbe speso nè un centesimo del suo bilancio, nè una briciola della sua autorità, per incoraggiare la fondazione di colonie in altri siti.

Per questa ragione io rimasi per un certo tempo perplesso, irresoluto e non sapeva a qual partito appigliarmi. Poscia, poco curando l’opera governativa, deliberai di fare in modo che il Comitato promotore, sorgesse ed avesse vita unicamente per iniziativa privata. All’uopo diressi una lunga lettera all’onorevole Menotti Garibaldi; nella quale dopo avergli esposto per sommi capi il mio progetto di colonizzazione, lo pregava d’iniziare lui la costituzione del Comitato suddetto. Egli, forse per le ragioni politiche innanzi dette, non se ne curò gran fatto; però io, senza perdermi d’animo, affrettai le pratiche, già bene avviate con lo Scialoia e con lui certamente ci sarei riuscito se la cruda morte non ce lo avesse rapito anzi tempo.

Nella breve dimora che egli avea fatto in Egitto avea avuto campo di conoscere me e le mie grandiose idee; ed io, da parte [p. 76 modifica]mia, avea potuto persuadermi che, la visita in Egitto, gli avea maggiormente raffermato il convincimento della assoluta necessità che noi avevamo d’imprendere e sostenere una politica coloniale più energica, più risoluta.

Dopo il suo ritorno dallo Egitto io andava spesso a visitarlo a Procida, ed egli di buon grado s’intratteneva con me intorno alla formazione della Società per la Colonia di Sciotel. Entusiasmato per questo fatto, ch’egli vedea prossimo ad avverarsi, si proponeva di mettere in opera tutta la sua autorità, affine di ottenere dal Governo efficace protezione.

Quando andai a visitarlo l’ultima volta, quel chiarissimo e gentilissimo uomo, si alzò da letto per venire ad intrattenersi con ne; ma, con mio grandissimo dolore, mi accorsi che era così male andato in salute, che a mala pena poteva parlare.

Di fatto pochi giorni scorrevano e l’Italia perdeva uno dei suoi più grandi economisti; e la colonia di Sciotel perdeva uno dei suoi più ardenti fautori.

6. Il silenzio di Menotti Garibaldi, la morte di Scialoia, e le molte pratiche fatte qui in Napoli e riuscite infruttuose, perchè tutti pensavano che nulla si potea fare senza l’appoggio del Governo, mi consigliarono di lasciare Napoli, e così il 12 dicembre del 1877 mi imbarcai per Genova.

Ivi giunto mi recai immantinenti agli uffi[p. 77 modifica]ci del Rubattino, e chiesi di essergli presentato, ma mi si rispose ch’era ammalato. Consegnai perciò al Sig. Ofer, suo segretario, il mio progetto manoscritto e la memoria più volte citata, pregandolo di consegnarli al Rubattino medesimo e di tenerlo informato del mio piano.

Presentatomi di nuovo dopo tre giorni, il Sig. Ofer mi disse che il Rubattino si avea fatto leggere da lui, Ofer, i miei scritti sino all’ultima parola; avea trovato belle e grandiose le mie idee, ma che, per il gran lavoro e le gravi cure che gli cagionavano i cinquanta legni che avea in mare, non potea per allora occuparsi di altro. Insistei ancora per vedere personalmente il Rubattino, ma mi fu risposto che non era possibile, poichè era ancora seriamente ammalato.

Non appagandomi però le asserzioni del Segretario, e sospettando che la malattia potesse essere un pretesto per non farmi vedere il Rubattino, il giorno appresso mi presentai proprio al domicilio di lui. Fattomi annunziare, attendeva di essere introdotto alla sua presenza, ma invece ecco di nuovo il Sig. Ofer, il quale insiste su ciò che mi avea detto il giorno innanzi e sull’impossibilità di vedere il Rubattino, almeno per il momento.

Persuaso che, anche da quella parte, avrei perduto il tempo, lasciai Genova e partii per Caprera, dove arrivai il Capodanno del 1878. [p. 78 modifica]

Garibaldi, tormentato dai dolori artitrici, non potette ricevermi; e mi fece dire di andare alla Maddalena, e di là fargli sapere per iscritto lo scopo della mia visita, ed attendere sua risposta. Ma, siccome avea fretta di tornare sul continente, ed avea in particolar modo desiderio di parlare col Generale a viva voce, ritirai i miei scritti prima che da lui fossero letti, e cercai profittare del Vapore che era pronto a partire. Non avendo però fatto in tempo, fui costretto restare altri otto giorni in quella spelonca; ed aspettava ansiosamente il prossimo Vapore, quando il telegrafo ci dava colà la più desolante notizia; quella cioè della morte di Vittorio Emmanuele!

7. Partii subito per Roma, dove, finite le esequie e scemato alquanto il dolore per la irreparabile perdita del Gran Re, mi presentai al de Sanctis, il quale, a sua volta, m’indirizzò ad un alto personaggio, allora molto potente. Costui, dopo aversi tenuto i miei scritti per più di quindici giorni, me li restituì con una risposta freddissima; non nascondendomi che, dovendo impiegare la sua influenza, l’avrebbe di preferenza fatto le mille volte per Tunisi, anzi che per l’Abissinia.

Come si siano tutti occupati per Tunisi si vide poi al Congresso di Berlino ed anche meglio al 1882; quando gli astronomi francesi fecero la maravigliosa e non mai prevista scoperta dei Krumiri! [p. 79 modifica]

Stando alla Capitale non tralasciai di parlare con molti eminenti e facoltosi personaggi, ma tutti si limitavano a darmi delle belle e lusinghiere speranze; sicchè, visto riuscire ivi infruttuoso ogni mio sforzo, il 16 Marzo del 1878 partii per Reggio di Calabria.

Anche in quella piccola ma oltremodo patriottica città, cercai adoperarmi per fare alcun che di bene; però abbandonai ogni pratica avviata, e pensai di lasciare l’Italia, quando si sparse la voce dello enorme fiasco da noi fatto al Congresso di Berlino!

Note

  1. Corriere del Mattino del 28 novembre 1876 N. 324.