Sciotel/Parte Seconda/Capitolo Terzo
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Capitolo Terzo
1. Vedendo adunque che, almeno per allora, nulla poteva fare in Italia per la colonia di Sciotel, mi risolvei di ritornare alle mie imprese private, attendendo tempi migliori.
Credetti prudente di non ritornare in Egitto, non perchè in quel tempo non offriva lavoro alcuno, ma pel timore di non andare incontro alle olimpiche ire di de Martino; e me ne andai a Malta, dove ottenni di fare parte della spedizione dei quaranta Ingegneri ed Agrimensori, che il Governo inglese mandava a Cipro per farne il Catasto.
Mentre attendevamo l’ordine di partire si sparse in città la notizia circa lo scopo del mio viaggio in Italia, e dei numerosi ma inutili tentativi da me fatti per ridare vita alla colonia italiana di Sciotel.
Gli Inglesi, che sono eminentemente pratici ed avvezzi più ad operare che a discutere, mi furono subito attorno sollecitandomi a metter fuori il mio progetto; incoraggiati anche, in ciò fare, dalla stampa locale.
2. In prova di quanto ho detto riporto qui in parte un articolo intitolato Emigrazione, che allora apparve sul Risorgimento del giorno 11 ottobre 1878. In esso, dopo aver parlato di me, del mio progetto, della mia memoria del 1876, e delle infruttuose pratiche da me fatte col nostro Governo, lo scrittore seguita così:
«Comprendiamo che la colonia italiana non riuscì in Abissinia perchè la politica del Governo italiano è contraria a qualunque incoraggiamento di emigrazione d’italiani specialmente della classe degli Agricoltori di cui ha molto bisogno l’Italia, specie le provincie meridionali. Ma la politica del Governo Inglese è opposta — ed è interesse tanto del Governo Imperiale quanto locale d’incoraggiare la emigrazione maltese per qualunque punto del globo ove potesse riuscire e prosperare. Cogliamo pertanto l’occasione, ed approfittiamoci di ciò che il Governo italiano lasciò cadere dalle mani dei suoi sudditi, per fondare una colonia in quel paradiso terrestre, il quale, ben diverso della terra ingrata e del clima micidiale di Cipro, per la sua posizione, vicinanza e topografia, potrebbe riuscire uno sbocco produttivissimo ed importantissimo per la eccedente popolazione di Malta e Gozo.
Che il nostro Governo studii il soggetto anche dal lato politico, oltre allo economico, e se creda valerne la pena, che intavoli trattative sia col Re di Abissinia, per una nuova concessione di terre per una colonia Maltese, o col Governo Egiziano per la retrocessione del territorio acquistato dalla colonia italiana, della quale parla il Signor De Lorenzo.
Lo stesso signor De Lorenzo ha un progetto di colonizzazione stupendo.
Non avendo, per le ragioni suddette, trovato appoggio e buona accoglienza dal Governo italiano, lo ha tuttavia in tasca.
Crediamo che non sarebbe da disprezzarsi un’occasione simile. Per cui Governo nostro nulla perderebbe se scandagliasse il Signor De Lorenzo onde vedere cosa di bene si potrebbe fare, sia col suo progetto, o colle trattative col Re di Abissinia, per uno sfogo produttivo a questa traboccante popolazione.»
3. Credo superfluo avvertire che, quantunque l’affare si presentasse così lusinghiero e sembrasse quasi fatta la spedizione dei coloni inglesi, non mi sono curato un gran che. E, ripeto, benchè ricevessi continue ed insistenti profferte di capitalisti inglesi, io non faceva altro che tenerli a bada perchè era e sono fermamente risoluto a non accettare se non il concorso de’ capitali italiani.
A niun costo accetterei la protezione di qualsiasi Potenza estera, poichè desidero ardentemente che su Sciotel sventoli gloriosa e civilizzatrice la sola bandiera italiana.
Per queste ragioni senza nulla conchiudere, senza attendere alle convenientissime profferte dei capitalisti inglesi, dopo pochi giorni della pubblicazione dello articolo suddetto, partii per Cipro.
Dalla seconda metà del 1878 sino alla primavera del 1882, poco o nulla feci per la Colonia di Sciotel; o, per dir meglio, questo lungo tratto di tempo, quasi quattro anni, lo trascorsi in un continuo ed ostinato lavoro di preparazione per poter fare novelle e più proficue pratiche. I miei tre viaggi in Italia, ed in particolar modo, la lunga e fortunosa permanenza di quasi tre anni, mi avevano arrecato tale spesa, che io mi accorsi che la mia borsa richiedeva urgente e pronto ristoro.
Perciò, ripeto, andai vagando quasi quattro anni in cerca sempre di lavori; acciocchè, rinsanguate le mie finanze, potessi ritornare alla carica pel conseguimento del mio ideale.
Fui a Malta, a Cipro, in Siria, ritornando poscia in Egitto. La più lunga dimora la feci a Beirut, dove, da Rustem Pascià governatore del Libano, venni incaricato del progetto e della esecuzione di un grandissimo edifizio, nel villaggio di Bet-Edin (sul Monte Libano), che al pianterreno dovea servire come prigione, e il primo piano da caserma. Anche a Beirut fui per undici mesi Capo ingegnere Municipale, dando un vigoroso impulso alle opere pubbliche di quella città.
4. Caduto gravemente ammalato di pleurite pensai, non appena mi ristabilii, di ritornare in Egitto; da dove, nel 1882, di accordo col mio amico Messedaglia Bey, mandammo al nostro Governo il mio progetto per Sciotel, ed un altro per Assab.
La proposta da noi indirizzata al Governo venne pubblicata dal giornale La Trombetta di Alessandria il 10 marzo del 1882, in un articolo che credo utile di qui riprodurre.
L’Italia in Africa
Richiamiamo l’attenzione dei nostri concittadini sopra i seguenti importanti documenti.
Alle LL. EE. il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro per gli Affari Esteri ed il Ministro delle Finanze.
Roma
- Eccellenze!
Nell’estate scorsa ho avuto l’onore di presentare a S. E. il Ministro per gli Affari Esteri una proposta relativa alla colonizzazione della Baia di Assab e suoi dintorni, assumendomi la responsabilità della riuscita in un periodo dato di tempo.
Oggi la condizione delle diverse Colonie in Egitto ha subito una certa e tale modificazione che, se le circostanze d’allora ci autorizzavano a stabilirci sulle Coste del Mar Rosso, occupando ciò che è incontestabilmente nostro, oggi urge ed è assolutamente indispensabile di raggiungere questo scopo.
Dopo gli avvenimenti politici, svoltisi in questi ultimi tempi in Egitto, credo superfluo di menzionare le cause di questa necessità, com’anche di rammemorare gli sforzi fatti da diversi Sodalizi geografici e commerciali, nonchè da taluni esimii esploratori per l’attuazione di questo stesso intento, consci del benessere che il nostro paese ne risentirebbe politicamente ed economicamente.
Anche molto prima di me l’egregio Architetto Francesco De Lorenzo s’è occupato in Italia di questa sana e sentita necessità ed a viemmeglio chiarirne il bisogno, ha publicato nell’Ottobre 1876, una memoria sulla situazione della Colonia italiana in Egitto, della quale ebbero copia le LL. EE. i Ministri tutti.
In questa relazione, che ebbe plauso non solo dai Ministri di Stato, ma ben’anco dai Senatori, Deputati, dal giornalismo tutto e da quanti hanno a cuore il benessere e la dignità della patria, il Signor De Lorenzo spiega in modo sommario il metodo, che crede più efficace per la riabilitazione morale della Colonia e si estende sulla necessità di rivendicare una proprietà italiana in Abissinia.
In seguito, incoraggiato dai risultati ottenuti, ha redatto un progetto di massima che concorda in gran parte colle idee che ha in diverse opportunità manifestate e che per conseguenza riassumerò, lasciando al Signor De Lorenzo tutto il merito che si è acquistato colla redazione del progetto in parola.
De Lorenzo tratta distesamente la quistione della colonizzazione all’estero; tocca i fatti storici, che sono a conoscenza di tutti per dimostrare praticamente la necessità di stabilirci in Africa, e precisamente, dice, nel suo progetto, di colonizzare una proprietà sita sul territorio di Sciotel (Abissinia) che l’Abate Stella di Asti ebbe in concessione dal Principe Ailù della famiglia Reale di Abissinia ad esplicita condizione di stabilirvi una colonia italiana.
Per l’effettuazione del suo progetto il Signor De Lorenzo si è adoperato con amore indefesso; ha trattato con eminenti persone a Roma e con qualcuna di esse, previo accordo, ha stabilite le basi d’un progetto definitivo ed ha fin’anco trovati i capitali necessarii da capitalisti non italiani; finalmente, costretto da circostanze indipendenti dalla sua volontà, ha dovuto sospendere le pratiche per far ritorno all’estero.
Oggi le forze sono riunite e quanto ho l’onore di esporre alle EE. VV. non è solo l’espressione del signor De Lorenzo e mia, ma ben’anco della colonia tutta, che ha accettate le idee succintamente espresse nella presente e con noi si sottoscrive. Fidiamo quindi che, considerati la necessità da un lato e dall’altro i risultati che potremmo ottenere il R. Governo darà evasione alla nostra domanda.
De Lorenzo dice:
Se lo stato economico dell’Italia ha lasciato insino ad oggi non poco a desiderare, una delle principali cause è senza forse quella che le sue risorse sono circoscritte nella cerchia della penisola, che manca di alcune derrate di prima necessità.
In eguali condizioni trovavansi l’Inghilterra sino al 16.º secolo e la Francia sino al 18.º
Entrambe inceppate dallo sbilancio finanziario trovarono aita mediante un sano sistema di riforme ed ottennero in breve il conseguimento dei loro colossali progetti mercè l’emigrazione e la colonizzazione all’estero, per cui divennero le prime potenze industriali e commerciali.
È assioma conosciutissimo, che col migliorarsi dell’agricoltura, collo sviluppo dell’industria e del commercio, nell’istessa proporzione aumentano anche i bisogni dei cittadini. Con lieto animo osserviamo da poco in qua le salutari riforme che le EE. VV. si affaticano d’introdurre sia per le nostre relazioni all’estero che pel maggior sviluppo di benessere generale all’interno, ma per quanto efficaci e salutari sieno, queste riforme e queste nuove leggi, certamente non potranno dare al nostro paese ciò che non ha, nè ciò che non può produrre.
Le classi che esuberano in Italia sono le universitarie, sono gli operai in genere, gli artisti, scritturali, computisti ecc. ed il nostro paese, è inutile illuderci, manca di lavoro per tutte queste classi, mentre in Africa e precisamente là sulle Coste del Mar Rosso, esse necessitano perchè sono le sole che sapranno comprendere le cause, le derivazioni ed i malsani effetti della barbarie e con retti intendimenti sapranno estirparla.
Se esaminiamo le statistiche dello Stato, noi vedremo lo sviluppo positivo della civilizzazione, e scorgeremo contemporaneamente che l’Italia paga annualmente all’estero e a negozianti non italiani, l’ingente somma di 190 milioni di franchi per tabacco, caffè, cotone, indaco, zucchero ecc. Queste derrate che in Italia mancano, noi le otterremo dalla nostra Colonia di Assab e dintorni. Di questi ricchi prodotti ci occuperemo indefessamente e quasi esclusivamente e dei quali se uno ci farà perdere qualche anno per giungere a maturazione, quale per esempio il caffè, ciò non ci deve sgomentare; perchè anche Luigi XIV Re di Francia, quando spedì alla Martinicca l’unica pianta di quel genere, che con tanto amore faceva custodire nel suo giardino, non aveva per certo dimenticato nè il tempo nè i sacrificii che sarebbe costata prima di svilupparsi e dare i semi per quelle vaste piantagioni, che tanti milioni riportano annualmente alla Francia.
E qui giunge opportuno di premettere che se le condizioni di Assab propriamente dette, non sono tali da promettere grandi speranze ad una Colonia Agricola, è però indubitabile per quanti conoscono Assab e questa è anche l’opinione dell’attuale Commissario Signor Branchi e dell’attuale Console italiano di Aden Signor Bienenfeld, che con un po’ di capitale e molta buona volontà si potrà riuscire a formare di Assab una Massaua ed una Hodeida. Ed io sono di parere che conseguiremo ambodue gli scopi mediante le relazioni, che stabiliremo coi nostri vicini, e le proprietà che in luoghi opportuni acquisteremo. In qualsivoglia modo però, se noi consideriamo che i proventi di Hodeida e di Massaua sono assorbiti da una quantità d’industriali di tutte le nazioni, mentre ad Assab saremo noi soli italiani, sembrami non possa sorgere il menomo dubbio di successo.
Coll’impianto della Colonia nella Baia di Assab e dintorni, noi otterremo i risultati che le altre nazioni han saputo raggiungere, e formeremo in Africa quell’emporio di ricche mercanzie, che oggi ci manca.
Così noi ci occuperemo ad allargare la cerchia dei nostri possedimenti coll’acquistare nei dintorni quelle proprietà private od altre che ci verranno offerte; ci daremo alla ricerca ed allo studio di tutto ciò che il paese produce; le nostre manifatture andranno nei locali mercati, e riceveranno in cambio i loro ricchi prodotti grezzi. Apriremo strade mulattiere, carrozzabili e ferrate; ridurremo ad un sistema abitabile le case; apriremo dei mercati franchi e famigliarizzeremo gli indigeni coi nostri costumi, cosa alla quale sono oltremodo inclinati.
A questo punto credo necessario di richiamare l’attenzione delle EE. VV. su quanto ha ripetutamente detto l’esimio e coscienzioso viaggiatore Gustavo Bianchi, che nelle sue appassionate esplorazioni ebbe campo di conoscere e studiare il popolo etiopico che abita l’Abissinia, che coll’impianto della nostra Colonia ad Assab diventerà nostro vicino.
Gustavo Bianchi dice che dalle relazioni, che potremo stringere con quel popolo e il suo Sovrano, ritrarremo abbondanti vantaggi sotto qualsivoglia punto di vista.
E certamente noi ci daremo, come si suol dire, a tutt’uomo, a stabilire e stringere queste relazioni, e coi sistemi che introdurremo, coll’esemplare condotta e l’amicizia leale cui saremo prodighi, otterremo senza forse il complemento del successo.
Ad ottenere ciò è indubitabile che avremo ad incontrare serie difficoltà, ma qual’è l’impresa per lieve che essa sia, che non ne presenti? L’Inghilterra, la Francia, l’Olanda, il Belgio, la Spagna, ed il Portogallo sono pervenuti ad avere delle ricche e potenti Colonie in Africa, nel continente Americano e nelle Indie, mediante sacrifizi enormi e difficoltà serie.
Il lavoro e la perseveranza sono i fattori primi della prosperità, e quando ad essi si unisce il capitale non puossi a meno di riuscire felicemente.
Riassumo quindi brevemente gli scopi che otterremo coll’occupazione definitiva di Assab, e sono:
Di avere una Colonia prospera e potente che da Bab-el-Mandeb si estenderà nell’interno.
Di togliere dal nostro paese quelle classi che consumano e non producono per mancanza di lavoro.
Di ritenere in paese quei capitali, o parte di essi, che oggi si spendono all’Estero per quelle derrate che la nostra amata Penisola non produce.
Credo dunque favorevolissimo il momento di fare appello alla Nazione ed al Governo, per richiamare l’attenzione di tutti su quanto ho avuto l’onore di esporre, ch’è d’importanza assolutamente vitale per l’incremento economico e industriale del nostro Paese.
Se queste idee vengono accettate, il progetto che deve attuarle sembraci facilissimo, perchè non richiede da parte del R. Governo nessun sacrifizio che possa gravare le Finanze dello Stato.
L’amor nazionale lo spirito di associazione, l’interesse industriale e commerciale sono i fattori sui quali facciamo il più grande assegnamento.
Per quanto riguarda il Governo, noi chiediamo solamente che assicuri all’industria privata, mediante i mezzi che sono a sua disposizione, la sicurezza del possedimento territoriale e ci coadiuvi presso il Governo di Abissinia per accattivarci l’amicizia di quel Popolo e suo Sovrano.
La sicurezza può essere in egual modo raggiunta somministrando ai coloni abili le armi necessarie, a condizione bene inteso di non compromettere con imprese avventate gl’interessi della Nazione.
Il Governo infine per stabilire i rapporti Commerciali della Colonia nascente dovrebbe disporre un sistema di franchigie i di cui risultati, secondo i saggi principii economici, torneranno a vantaggio della Nazione medesima.
Queste sarebbero per sommi Capi le basi del progetto coloniale di cui si è parlato in questa memoria.
Se al R. Governo domandiamo un valido appoggio quale si addice alla serietà dell’impresa, sotto gli auspicii del glorioso Nostro Vessillo, alla Nazione noi domandiamo quello spirito ardito d’iniziativa, quel concorso di capitali e di buon volere che hanno fatto dell’Oriente, e che faranno dell’Africa centrale un vasto campo di gloriose tradizioni italiane, che in altre epoche hanno fatto rifluire verso la Nostra Madre Patria le ricchezze del Commercio di queste Contrade.
- Cairo 5 Dicembre 1881
- Delle EE. VV. devotissimi
- G. Batt. Messedaglia
- F. De Lorenzo
- Delle EE. VV. devotissimi
- Cairo 5 Dicembre 1881
5. Ecco la lettera di presentazione dell’anzidetto progetto.
Alle L.L. EE. il Presidente del Consiglio de’ Ministri, il Ministro per gli affari Esteri ed il Ministro delle finanze
ROMA
- Eccellenze!
Nella memoria relativa alla colonizzazione della Baia d’Assab e suoi dintorni che ho l’onore di trasmettere alle EE. VV. ho toccato la quistione agricola, che a parere di molti si dovrebbe escludere in quella località, perchè, asseriscono, il terreno non è atto all’agricoltura e perchè i due piccoli corsi d’acqua, che hanno sorgente nelle montagne site all’Ovest e Nord-Ovest, non sono tali da offerire ai coloni l’acqua necessaria per i semplici bisogni domestici.
Anzitutto non è mio intendimento di occuparmi per l’Agricoltura dei terreni aridi della spiaggia, ma a questo scopo utilizzare pel momento quelli sottostanti alle montagne.
In quanto poi alla quistione idrografica in quel versante e nella latitudine della Baia, essa è stata sufficientemente studiata da persone competentissime ed in proposito potrei citare parecchie prove compiutesi negli anni 73, 74, 75, 76, 77, e 78, per cura di commissioni speciali inviate dallo stato maggiore Egiziano.
Citerò invece un solo fatto che per la sua semplicità e chiarezza da solo, spero, basterà per distruggere qualunque dubbio in proposito. L’altitudine media dell’Atbara è di 200 m. circa dal livello del mare, per conseguenza tutti gli affluenti di questo fiume avranno un’altitudine superiore ad esso.
Il versante di Assab e suoi dintorni appartiene al sistema complicatissimo degli affluenti dell’Atbara e l’altitudine massima dei terreni adiacenti alla Baia, non essendo superiore ai 125 m., ne risulta che il livello massimo delle infiltrazioni di quei corsi d’acqua sarà inferiore sempre all’altitudine massima dei terreni, e superiore a quello del mare; per cui necessiterà solamente costruire una data quantità di pozzi, ai quali si applicherà un sistema di macchine (pompe aspiranti economiche) che somministreranno l’acqua necessaria anche per l’irrigazione dei terreni.
Questa quistione, che all’opportunità tratterò più distesamente, ho creduto doverla accennare per maggior intelligenza di quanto è detto nella memoria.
È anche provato che il suolo Africano tutto è fertilissimo — Coperto da un fitto strato di sabbia, sembra qualche volta ribelle; ma diansi a quel terreno leggero e compatto gli elementi di cui manca, l’aria e l’acqua, e diventerà fertilissimo.
Se alle EE. VV. piacerà di prendere in considerazione la memoria unita alla presente e di ordinarmi la compilazione di un progetto definitivo, allora tratterò tutte le quistioni separatamente e stabilirò le basi di tutto l’organamento coloniale.
- Cairo li 25 Febbraio 1882.
- Delle EE. V. V. devotissimo
- G. B. Messedaglia.
- Delle EE. V. V. devotissimo
- Cairo li 25 Febbraio 1882.
Non credo fuor di proposito, benchè forse non sarebbe necessario, avvertire come noi per dintorni di Assab non intendevamo proprio le adiacenze di quella colonia, ma guardavamo un poco più là.
Avevamo di mira il golfo di Tagiura (su cui il nostro Governo, a quel che si dice, pare abbia dei diritti) dal quale avremmo cercato estenderci verso le fertilissime terre dell’Harar, dello Scioa ecc. ecc.
6. Debbo anche aggiungere che la nostra proposta era stata accolta con entusiasmo da tutti i nostri connazionali, ed era accompagnata dai voti di tutta la colonia italiana di Egitto, come si potrà rilevare tra l’altro dai seguenti documenti che furono anche pubblicati, nello anzidetto numero della Trombetta.
«Estratto dal Processo verbale della seduta generale della Società italiana dei Reduci delle Patrie Battaglie, costituita in Cairo. Seduta del 12 Dicembre 1881.
Il Socio Giacomo Messedaglia ha la parola e legge un progetto da presentarsi al Real Governo Italiano per la colonizzazione della Baia d’Assab.
L’assemblea con un voto unanime applaude alla relazione letta dal socio Messedaglia ed esprime la sua piena fiducia che la effettuazione del progetto darà nuova gloria ed onore alla Nostra Madre Patria, e col tempo, col lavoro, coll’abnegazione degli onesti cittadini che vi concorreranno, una fonte di risorse finanziarie di cui l’Italia tanto abbisogna.
L’assemblea all’unanimità delibera quindi di dare la sua piena adesione alla relazione suddetta, e fa caldi voti onde il Patrio Governo voglia rivolgere la sua attenzione riconoscendone l’urgenza e l’importanza e provveda alla effettuazione della colonizzazione della Baia di Assab.
- Cairo, 17 Dicembre 1881.
- Il Presidente
- Fir.— C. Boccara
- Il Segretario
- Cairo, 17 Dicembre 1881.
- Fir.— Pugnaletto.
La società operaia del Cairo, nell’Assemblea generale tenuta domenica 15 Gennaio 1882, con voto unanime deliberava di approvare il patriottico progetto per la colonizzazione della Baia di Assab, presentato dallo egregio cittadino Giacomo Messadaglia, del quale fu data lettura nell’antecedente assemblea generale dell’11 dicembre u. s.
- Cairo, 16 Gennaio 1882.
- Il Presidente Fir.— G. Berti
- Il Segretario
- Cairo, 16 Gennaio 1882.
- Fir.— Mario Lunel.
- Cairo 11 Aprile 1882.
Il sottoscritto ha incarico dal Real Ministero degli Affari Esteri d’informare il Signor Messedaglia di aver ricevuto la memoria direttagli, nonchè al Presidente del Consiglio e al Ministero delle Finanze, relativa ad un progetto colonizzazione in Assab e dintorni; e di rispondergli che il Governo del Re ha sempre considerata e vista con simpatia l’impresa di cui si tratta; che qualora si mandasse ad effetto, il Governo saprebbe garentire la sicurezza dei Coloni in Assab, e ciò senza restrizione alcuna. Che però prima d’intraprendere il divisato tentativo di colonizzazione agricola parrebbe prudente che qualche persona pratica si recasse sul luogo a sperimentare la possibilità della coltivazione, non sembrando sufficienti i dati puramente indicativi contenuti nella memoria.
L’agente e Console Generale
Firmato De Martino.
7. Alla risposta, che avemmo dal Governo, si replicò per mezzo di una lettera che fu pubblicata dalla Riforma, e riprodotta dal Messaggiero Egiziano di Alessandria del 27 Aprile 1882.
Riproduco qui anche l’articolo del Messaggiero per dare conoscenza della lettera suddetta e delle osservazioni fattele: Non credo però necessario avvertire che, tutto quello che è detto intorno alle nostre probabili relazioni col Negus, se era conveniente al 1882, oggi, se non è impossibile, è certamente indecoroso, e nessuno dovrebbe, non dico consigliarlo, ma neppure pensarlo. Tranne il caso che, il nostro Parlamento, per consigli, tanto autorevoli da sembrare ordini, gentilmente e spontaneamente favoritici da qualche Potenza di noi svisceratissima e che ha a cuore più i nostri che i suoi propri interessi, il nostro Parlamento non creda necessario spedire in Abissinia una sua rappresentanza, la quale, con la pietra al collo, sottoponga la nobile italica cervice al dolce e nero pondo del regio piede, come fece il buon re Menelik!
Ecco la nostra risposta al Governo:
LA COLONIZZAZIONE D’ASSAB
La seguente importantissima lettera al giornale La Riforma non potrebbe venire più a proposito che in questo momento, in cui è partito alla volta di Assab l’ing. Dionisio, coll’incarico di condurre a termine gli studii necessarii per una prima sistemazione di quel possesso.
La lettera, dice il citato giornale non potrebbe essere più lusinghiera per l’on. Mancini, epperò speriamo che egli s’indurrà a leggerla, e terrà nel debito conto le giuste osservazioni in essa contenute.
Ecco la lettera, datata dal Cairo, 13 aprile:
Da parte degli interessati vi ringrazio, tanto e poi tanto dell’accoglienza gentile che faceste alla memoria di Messedaglia e De Lorenzo sulla Baia di Assab. Il Ministro degli Affari Esteri ha fatto rispondere a mezzo del R. Agente e Console Generale del Re in Egitto che: «il Governo di S. M. ha sempre considerato e visto con simpatia l’intrapresa di colonizzazione di Assab; che qualora si mandasse ad effetto, il Governo saprebbe garentire la sicurezza dei coloni in Assab, e ciò senza restrizione alcuna: che però, prima di intraprendere il divisato tentativo di colonizzazione agricola, parrebbe prudente che qualche persona pratica si recasse sul luogo a sperimentare la possibilità della coltivazione, non sembrando sufficienti i dati puramente induttivi contenuti nella memoria».
Autorizzato dagli interessati e nella qualità, se non di persona pratica, almeno di persona ch’è stata sul luogo ed ha veduto, mi permetto fare quelle osservazioni che ritengo ragionevolissime.
Anzi tutto, un bravo di cuore all’on. Mancini per la deliberazione presa di occupare definitivamente e seriamente la Baia, e per aver saputo indurre l’Inghilterra a riconoscere i nostri incontrastabili diritti. Ed ora eccomi alle osservazioni.
Se colla frase «parrebbe prudente che qualche persona pratica» ecc. l’onorevole Ministro per gli affari Esteri intende di avere dei dati precisi sulle diverse quistioni che possono occuparci ad Assab, tali da indurre i capitalisti a concorrere alla formazione della Colonia, non sarà possibile certamente di ciò ottenere. La persona o le persone pratiche potranno recarsi sul luogo per fare gli esperimenti, completare studii, fissare qualche dato; tutto ciò sarà sempre relativo, o, per esprimermi col R. Console Generale, induttivo. Gli esperimenti se devonsi compiere, è necessario sieno serii e completi; a ciò deve pensare la Nazione, la Camera deve votare un credito per es. da 60000 ad 80000 franchi da impiegarsi negli esperimenti tutti, negli studii di progetti indispensabili, in una parola, all’avvenire di Assab. Quando le cose saran fatte in simil modo, non dubiti l’on. Mancini che il capitale privato concorrerà immantinente; ma se a noi si vuol addossare il peso e la responsabilità di tutto, ripeto, egli è inutile insistere per la ragione molto semplice che nessuno, fra le persone pratiche di mia conoscenza, ha la fortuna di possedere il capitale necessario pei lavori preparatorii. L’opera loro la daranno di buon grado e senza retribuzione, ma il capitale, santi numi, non lo hanno.
Nel progetto Messedaglia-De Lorenzo, che conosco benissimo, è detto anzi tutto che a Buia prima d’ogni altra cosa è necessario un piccolo porto per l’approdo delle barche pescareccie, senza di che l’impulso effettivo è impossibile. Infatti, durante otto mesi dell’anno, i pescatori delle madreperle sono continuamente in quei paraggi, e a Buia non possono approdare per tema di rimanere arrenati; sono quindi obbligati di ricoverarsi nei porti Egiziani, e pagare le ingenti imposte che gravano quest’articolo.
Nell’ora detto progetto sono menzionati anche i lavori tutti preparatorii e gli studii necessarii per lo stabilimento della Colonia. Ci pensi adunque l’onorevole Mancini, e se effettivamente vuole che la storia aggiunga una gloriosa pagina a quelle già ben note della sua vita, completi l’opera; qualche piccolo sacrificio è indispensabile, ed il Parlamento aderirà alle sue proposte, ne sono certo.
Se poi le informazioni degli esploratori ponno bastare, il Governo non ha che a leggere la lettera del Conte Antonelli a Cecchi, e troverà rapporto agli esperimenti agricoli:
«Il punto di partenza bisogna prenderlo da Margable, distante da Buia due ore di cammino, e ciò perchè in questo villaggio si trova un abbondantissimo pascolo». E più sotto i camelli vi troverebbero acqua eccellente, data dal torrente Arseli. Questa stazione è una vera ricchezza per le caravane che venissero dallo Scioa» ecc. ecc.
Nel territorio di Margable dunque l’agricoltura prospera; chi lo ha detto è persona pratica e intelligente.
Inoltre l’egregio signor A. Cecchi in una sua lettera al direttore dell’Opinione dice che l’imperatore Giovanni II di Abissinia, allorchè gli fu presentato dopo la sua liberazione da Ghera, gli ha detto: «Sento che il vostro Governo vuol occupare un porto sulla costa Africana del Mar Rosso; ne godo, poichè è mio desiderio di allearmi coll’Italia cristiana, piuttosto di aver rapporti coll’Egitto Musulmano. Che il vostro Re faccia sicuro il porto, io aprirò le vie di terra per l’interno».
Il porto dunque è reclamato da tutto e da tutti — Il Governo nomini una Commissione che stabilirà dal luogo il preventivo pei lavori di prima necessità, approfitti della lunga esperienza dei viaggiatori A. Cecchi, G. Bianchi, P. Antonelli, che hanno logorata parte della loro esistenza in quei paesi, nomini anche quegli altri viaggiatori che crederà utili allo scopo; così ed in nessun altro modo potrà avere quei dati positivi che domanda; così e non altrimenti riescirà ad avere esatta conoscenza di tutto il territorio italiano in quelle località.
Per quanto poi può concernere i rapporti dell’Italia coll’Imperatore Giovanni II, l’onorevole Mancini faccia fare le ricerche volute negli Archivi del R. Ministero, e troverà senza dubbio un voluminoso incartamento che data da oltre 20 anni, cioè dal Ministero Cavour.
Esso è un trattato d’alleanza fra il Principe del Tigrè (l’attuale Giovanni II, allora vassallo di Teodoro) e l’Italia.
Quel trattato è stato conchiuso per ordine dello stesso Cavour da un Siciliano, del quale non rammento il nome, e porta le firme di Johannes Principe Reale del Tigrè e del R. Ministro per gli affari Esteri.
Si riprendano le trattative con quelle modificazioni reclamate dai tempi, e il resto verrà da sè».
8. Come si può vedere agevolmente da quanto innanzi è detto, il mio ideale parea vicinissimo ad avverarsi.
La Colonia italiana di Egitto era, senza eccezione alcuna, entusiasmata del progetto di Messedaglia e mio; ed il Governo da parte sua dichiarava essere dispostissimo a nostro favore.
Eravamo adunque intenti a prendere gli opportuni accordi e i necessarî provvedimenti per tenerci pronti alla partenza, quando la malaugurata rivoluzione capitanata d’Araby scombussolò ogni nostro progetto, costringendoci a rifugiarci in Italia, per evitare le micidiali persecuzioni di quei forsennati.
I danni grandissimi che quella rivoluzione arrecò a tutti, e per conseguenza anche a me, non mi impedirono, tornato in Italia, di occuparmi alacremente nelle pratiche per il mio progetto.
Diressi due lettere al Ministro Mancini, che allora era alla villeggiatura a Capodimonte, inviandogli ancora copia della memoria stampata, il progetto manoscritto, ed un altro manoscritto, in cui era diffusamente trattata la quistione del petrolio; che nella memoria è accennata di volo.
Le miniere del petrolio appartenevano, in virtù di regolare concessione, ad alcuni nostri connazionali, ma furono costretti cederle per il meschino compenso di 60,000 franchi. In questo fatto (come sempre) il Vicerè di Egitto fu potentemente aiutato dal nostro Console Generale; il quale minacciò, i proprietari delle sorgenti, di abbandonarli al capriccio del Kedivé, che li avrebbe sfrattati anche con la forza.
I nostri perciò, non solo abbandonati ma anche minacciati da chi avea il dovere di proteggerli, furono costretti cedere alla forza ed accettare lo irrisorio compenso offerto. Ognuno può immaginare con quale animo avessero ciò fatto; ed io mi proponeva di intercedere a loro favore presso il nostro Ministro; ma non ebbi l’onore di essere ammesso alla sua presenza; ed oggi le sorgenti del petrolio sono sfruttate, con vistosissimo profitto, dal Governo egiziano.
Dopo alquanti giorni, trascorsi in inutili pratiche per ottenere un’udienza dal Ministro Mancini, seppi che in questa città si era formato un Comitato, con a capo l’onorevole Luigi Petriccione, allo scopo di costituire una Società commerciale colonizzatrice in Assab.
Mi recai immantinenti a S. Giovanni per presentare, e sottoporre al giudizio dell’onor. Petriccione, il mio progetto di colonizzazione, e tutti gli stampati e scritti che lo riguardavano. Dopo alquanti giorni ritornai da lui per avere il suo avviso, ed egli, mi rispose con entusiasmo di aver trovato bello, patriottico e grandioso il mio progetto; ma che, a motivo delle momentanee complicazioni politiche, era prudente rimandare ogni cosa a tempi migliori.
Gli altri Signori del comitato, da me opportunamente interrogati, mi dettero su per giù la medesima risposta del loro Presidente. Da loro però seppi che l’onor. Petriccione non cessava di fare incessanti premure al Ministro Mancini, affine d’interessare il nostro Governo a favore della Società dal Petriccione stesso propugnata e presieduta.
Ma vedendo che per allora nulla poteva conchiudere in Napoli, e che era necessario attendere gli eventi, lasciai Napoli e l’Italia e ritornai in Egitto, dove mi trattenni dal Novembre 1882 al Settembre 1886. In questo tratto di tempo più volte venni invitato dai miei amici, di ritornare in Italia, per riprendere le interrotte trattative; e ciò accadeva quando a noi, che seguivamo attentissimamente tutti i movimenti della nostra politica estera, pervenivano delle notizie che accennavano ad una politica coloniale più energica, più risoluta. Ma le mie finanze, fortemente scosse dalla rivoluzione del 1882, non mi permisero di ritornare subito in Italia; e le insistenze degli amici servirono solo a farmi dare ad un lavoro continuo, accanito, affine di procurarmi i mezzi necessarî a poter lasciare l’Egitto.