Scelte opere di Ugo Foscolo/Brevi cenni su la vita, la persona, il carattere e le opere di Ugo Foscolo/III

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Brevi cenni su la vita, la persona, il carattere e le opere di Ugo Foscolo - II Brevi cenni su la vita, la persona, il carattere e le opere di Ugo Foscolo
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§ III Opere.


Il componimento con che il Foscolo richiamò prima a se gli occhi del pubblico fu il Tieste [p. xxviii modifica]tragedia che scritta e rappresentata in Venezia intorno il 1796, fu poi pubblicata nel Teatro applaudito. Considerata essa dalla parte drammatica non è da aversi in gran pregio: ma ove si guardi alla forza de’ concepimenti e de’ modi, congiunta ad un non comune impeto di affetti e di stile, si reputerà per fermo cosa osservabile, massime in un giovine che ancor non toccava i vent’anni. Fu esso il primo ad onorare così le severe e semplici forme delle tragedie dell’Alfieri in onta ai turgidi e romorosi drammi di G. Pindemonte e del Pepoli.

Due altre ne scrisse dipoi già maturo l’Ajace e la Ricciarda ammendue poste in sulla scena governandone i modi l’autore. Fu la prima rappresentata in Milano e pubblicata in Napoli nel 1828, e l’altra rappresentata in Bologna e poscia stampata in Londra nel 1820.

Trovano i critici scarso l’Ajace nell’effetto drammatico, sebbene il dialogo sia più vivo, la condotta meno sforzata, ed i caratteri più nobilmente sostenuti che nel Tieste, e pretendono che non vedesse la luce in Milano pel motivo che l’autore sotto il nome de’ suoi personaggi volle adombrarne altri di gran fama e potenza allora viventi. Colla Ricciarda poi [p. xxix modifica]mostrò egli che avrebbe potuto mietere una nobile palma anche in questo arringo, se si fosse con più ardente brama applicato alla drammatica poesia.

Intorno al 1800 furono divulgate le Ultime Lettere di Iacopo Ortis; lavoro che ben presto si trovò nelle mani e nella bocca di tutti. Molta analogia ha questo libro col notissimo di Göeth, il Werther, non però tale da muovere all’autore (come parve ad alcuni) denunzia di plagio. Imperocchè, salve poche situazioni e lo scioglimento, non si può nel fondo trovare fra que’ due lavori conformità veruna di cose1.

Nel 1802 convocati a Lione i così detti Comizi della Repubblica Cisalpina, fu addossato al Foscolo il carico d’indirizzare al primo console Bonaparte un’orazione toccante l’oggetto di quell’assemblea. Di che si alleggerì egli con franca ed onorabile maniera: e se le verità [p. xxx modifica]grandi e solenni ch’ei pronunciò si fossero osservate dal Potente cui erano indiritte, lo avrebbero per fermo renduto e più nobilmente chiaro e meno infelice. Non è la favella di quell’orazione del tutto pura, non senza mende lo stile. Ma, ancora com’è, onora l’animo egualmente che l’ingegno dell’autore.

A quest’epoca stessa il Foscolo diè in luce il volgarizzamento della Chioma di Berenice dedicata al suo degnissimo amico Gio. Batista Niccolini oggi il decoro della Melpomene italica. Quest’opera però, comecchè sparsa di filosofica critica e di molta dottrina, avendo in essa l’autore assai bene sviluppato (come osservò già il Monti, la ragione poetica di Callimaco, e le idee religiose dominanti in quel poema) è in generale poco lodata; e lo stesso Foscolo soleva scherzare sulle tante citazioni che vi si leggono, e colle quali intese di pigliarsi beffe de’ pedanti, sinceramente dichiarando di non aver avuto tempo di consultare e leggere tante opere.

In sul finire del 1808 nominato, come si disse professore d’eloquenza nell’università di Pavia, aprì il corso degli studi con un Discorso intorno l’Origine e l’ufficio della Letteratura, nel quale seguì i principii di Grozio, concludendo non altro essere in quella da aver [p. xxxi modifica]dinanzi che la natura ed il vero. Le pagine nelle quali l’autore esce dalla metafisica oscurità in cui a bello studio si avvolse è così risplendente d’immagini e d’idee, così calda di nobili affetti; così piena di sentimento, che si lascia di leggieri addietro qualunque altro lavoro di tal fatta2.

Ma l’operetta, dove il Foscolo raccolse come in uno i più gravi e liberi frutti de’ suoi studi e dello ingegno, fu il Carme de’ Sepolcri, che destò un grandissimo entusiasmo ne’ lettori. La bellezza, la gravità de’ concetti, la novità delle immagini ed altre tali prerogative ottennero a questo carme poco meno che l’onor del trionfo. Gli imitatori (anche della parte meno lodevole, quale l’ammanierata giacitura [p. xxxii modifica]de’ suoi versi) sursero in folla; ma il Carme del Foscolo non fu mai pareggiato3.

A fine poi di ravvivare lo spirito guerresco ne’ petti italiani pubblicò il Foscolo nel 1808 in Milano una splendidissima edizione del Montecuccoli, riempiendo le lagune riscontrate nell’edizione di Colonia del 1704 ed aggiungendovi non poche annotazioni sue proprie, le une spettanti all’arte militare presso gli antichi, le altre alla maniera tenuta nelle armi da Federigo II e da Bonaparte ch’ei chiama il maggior guerriero dell’età moderna4. [p. xxxiii modifica]

Essendo nel 1812 in Toscana, intese a tradurre il Viaggio sentimentale di Sterne: versione accurata e fedele tra quante se n’hanno di quel romanzo satirico. Essa è dettata in uno stile limpido, candido, elegantissimo; perciò merita d’essere riguardato, come scrisse uno de’ suoi biografi, sì per la bella e forbita lingua italiana, e sì per esservi ritratta la finezza e lo spirito dello scrittore originale, come una delle migliori e più compiute cose che egli abbia fatte. Assai curiosa n’è poi l’Appendice rivolta principalmente a far conoscere le qualità e le opinioni di Didimo Chierico (sono le sue proprie) sotto il cui nome si consigliò di dar fuora un simil lavoro.

Nel breve suo soggiorno in Svizzera5 divulgò colle stampe lo scritto intitolato — Didymi Clerici Prophetae Minimi Hipercalipseos — operetta stesa a foggia di salmo di un bel pregio se si guardi alla parte letteraria, ma illiberale ove si consideri l’epoca in cui fu [p. xxxiv modifica]pubblicata e lo scopo a cui tende, imperocchè non fa in essa l’autore che mordere or questo, or quello per lo più de’ lombardi, i quali ebbero segnalato nome ed ufficio nel già regno italico, non perdonando neppure al medesimo capo; e perchè i personaggi ivi percossi erano allora tutti nella sventura.

In Inghilterra poi ripigliò il suo volgarizzamento dell’Iliade, del quale avea, come si disse già dato molti anni prima un saggio6, e di cui avea poscia tradotti dodici libri, nove de’ quali già limati e ridotti alla perfezione cui mirava costantemente in ogni suo lavoro. Ignoriamo se gli altri sieno stati per esso renduti degni del pubblico; ma sappiam con certezza che i dotti d’Italia meritamente applaudirono a quel tanto che di essa è da noi conosciuto.

Oltre alle opere già ricordate voglionsi notare alcuni altri libri colà dettati intorno ai padri delle italiche lettere: vogliam dire Dante, [p. xxxv modifica]Petrarca e Boccaccio; ne’ quali appare molta dirittura di mente e di critica, e tali che chi vorrà in appresso scrivere intorno ai primi fondatori della nostra favella ed alle opere loro, gran materia e gran lume potrà derivare da quelle scritture.

Nè taceremo di altri poetici lavori che aveva il Foscolo divisato di scrivere in vari tempi sotto il nome di Inni: tra questi è notabile l’Alceo, in cui liricamente esponeva la storia filosofica e politica della letteratura italiana dalla caduta dell’impero d’Oriente a’ dì nostri; quello intitolato l’Oceano in cui proponevasi di presentare in una serie di pitture il sistema del globo terraqueo, e le vicissitudini delle nazioni prodotte dalla navigazione e dal commercio; quello Alla Dea Sventura, che riguardardava, per dirlo colle parole stesse del Foscolo, l’utilità dell’avversa fortuna, e la celeste virtù della compassione, unica virtù disinteressata nei petti mortali; e quello intitolato a Pindaro che trattava della divinità della poesia lirica e delle virtù e de’ vizi de’ poeti che la maneggiarono; e finalmente il Carme alle Grazie unico di tutti questi che ci sia rimasto in parte e che avendo per oggetto le arti belle, fu perciò diretto al Canova. E in vero che questo poeta sappia sacrificare anche alle grazie, ne sono prova, [p. xxxvi modifica]come giustamente nota Federico Borgno nella sua dotta Dissertazione sui Sepolcri e sulla Lirica Poesia, le due sopraccitate Odi, l’una a Luigia Pallavicini, l’altra all’Amica risanata, scritte da lui in Genova, le quali sono per una certa grazia e vivacità greca pregevolissime, e perciò universalmente ammirate e lodate.



Note

  1. Fra le tante edizioni di questo romanzo la XV eseguita in Svizzera colla data di Londra 1814 sotto la personale assistenza dell’autore è la migliore per aver egli, rispetto allo stile, qua e là corretto alcuni modi che suonavano male, com’egli dice, al suo orecchio toscaneggiante e perchè ha in essa ridotto l’intera lezione al testo della prima edizione rarissima, e la sola attendibile — Vedi la lettera d’Hottingen 20 aprile 1816, nel vol. ii di questa edizione.
  2. Una cosa notabile in questo discorso è la semplicità dello stile, che spesso forma contrasto coll’avvolgimento delle idee; e perciò se per le artificiali oscurità metafisiche l’autore spiacque insignemente a Scioli, a quella parte del pubblico la quale più intende perchè più sente, piacque smisuratamente: e più che d’ogni altro lavoro, di questo compiaceasi molto l’autore medesimo, il quale di esso lasciò così scritto. — «La prima mia colpa presso a’ letterati fu l’Orazione dell’Origine e dell’Ufficio della Letteratura... che non pertanto è profondamente, nuovamente, e caldamente pensata; e per quanto a me pare è la prosa da me scritta il meglio che potessi allora, e che potrò fare per l’avvenire».
  3. Dai pochi cenni sul Galileo, sul Dante, sul Machiavelli, e dalla rapida pittura del fiero e taciturno Alfieri si scorge il magistero del poeta nel pennelleggiare con pochi tratti un quadro. E le apostrofi al Pindemonte, a Firenze, alla Musa del Parini; i portenti veduti fra i notturni silenzi da chi veleggiava lungo i campi di Maratona; il vaticinio di Cassandra, e la descrizione del cieco Omero che brancolando penetra negli avelli e abbraccia l’urne, e le interroga, sono, come osserva il Maffei (Stor. della lett. Ital. t. 3, p. 85), tutti parti d’una mente sublime, immaginosa, e di un cuore profondamente penetrato dal soggetto. — E di questo carme scriveva già all’autore sino dal 1807 il cav. Ippolito Pindemonte — «Ove trovaste quella melanconia sublime, quelle immagini, que’ suoni, quel misto di soave e di forte, quella dolcezza e quell’ira? È cosa tutta vostra che star vuole da se, e non si può a verun’altra paragonare» —.
  4. Il sig. Giuseppe Grassi veduto però che il Foscolo aveva emendato il testo sulla fede di un manoscritto mutilato e scorretto, pensò ad una nuova edizione del Montecuccoli che eseguì sulla fede di ottimi manoscritti, e secondo le varianti desunte dall’autografo che si conserva in Vienna colle note dell’autore debitamente riscontrate sui testi citati, e la pubblicò a Torino in due volumi nel 1812.
  5. Foscolo abbandonò l’Italia e passò in Svizzera il 30 marzo del 1815, e partì di quà ed arrivò in Inghilterra li 11 ottobre del 1816.
  6. Questo saggio contemporaneo alla pubblicazione dei sepolcri, e, come ognuno sa, consistente nel volgarizzamento del primo canto, vide la luce, come si è già detto, in Brescia nel 1807, giacchè sebbene il Foscolo fosse sempre addetto all’esercito italiano, pure da quest’epoca in poi era, in omaggio de’ suoi letterari talenti, tenuto esente, (V. il § I di questi cenni) da ogni militare dovere, e poter liberamente vivere ed occuparsi come e dove più a lui talentava.