Santippe/II
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II.
Come io mi trovai alle prese con Santippe.
Dunque io presi Santippe, e pensai fra me: ci sei cascata finalmente, o progenitrice di tutte le mogli fastidiose, rossa Santippe! Noi ti faremo la vivisezione, e così vendicheremo quel povero e santo uomo di tuo marito e consoleremo tutti i mariti vivi ed anche tutti i mariti morti.
Però, esaminiamo le cose con saviezza e ponderazione.
Noi, ben è vero, sappiamo pochissimo intorno a Santippe; ma sappiamo di certo che essa fu la moglie di Socrate.
I discepoli e gli amici del grande filosofo ne parlarono anche, ma con un senso di raccapriccio e di paura, come si fosse trattato di un’orribile malattia attaccata a quell’uomo straordinario. Ma certamente, ripeto, Santippe fu la moglie di Socrate; perchè una cosa è certa, che Socrate, il più savio degli uomini, prese moglie; e questa moglie si chiamava Santippe.
E adesso vediamo quello che gli amici di Socrate tramandarono intorno a costei.
Senofonte scrive con chiarezza e brutalità che «Santippe fu la moglie più bisbetica e riottosa di quante furono, sono e saranno».
«Ma come fai, Socrate, — domandava il bellissimo Alcibiade, — a sopportare una donna così importuna e maldicente?»
«Ci sono abituato, — gli rispondeva Socrate. — Per me oramai è come sentir stridere la carrùcola del pozzo.»
Non era molto gentile, Socrate; ma non bisogna scandolezzarci: a quei tempi la cavalleria con le dame usava poco. In Omero, per esempio, si legge che fra i premi alle corse si metteva indifferentemente un tripode, una donna ed un bue.
«Come fai, Socrate, — insisteva Alcibiade, — a convivere con una donna che non ti può offrire oramai se non lo spettacolo di una stupidità permanente e clamorosa?»
«Scusa, Alcibiade, ma tu non sopporti le oche che strepitano e gridano continuamente?»
«Sì, ma le oche fanno le uova ed i pàperi.»
«Lo stesso, caro: Santippe fa i figliuoli.»
Socrate, come si vede, usava l’arma dell’ironia; e noi sappiamo di alcune donne che sopportarono anche le busse, anche di essere valutate meno di un tripode: ma non l’ironia.
Busse, anzi, Socrate non ne dava, come appare da quest’altro episodio.
Un giorno, Socrate tornava a casa insieme con gli amici, ed ecco venire incontro Santippe, che aveva fra mani il mantello di lui; e non appena lo vide, cominciò a dire:
«Eccolo, eccolo qua. E non è solo. Ha con sè tutta la compagnia, e anche quel suo bardasso di Fedone! È questo il momento buono per dirgli, ben alto e ben forte, quello che gli va detto: Di’, amorino, vieni tu ora dalle case di Aspasia, di Diotima, le svergognate femmine che maneggiarono più amori, che non lance Diomede? Ma alla moglie si consegnano gli stracci da rammendare! Ah, tu non rispondi?»
E con le unghie si accostò alle sporgenti pupille di Socrate.
Gli amici allora le dissero «vergogna», e colei inferocì e proferì le più laide parole che possano offendere la rispettabilità del nostro sesso.
Allora Alcibiade disse ridendo: «Socrate, la senti? Ecco il momento per darle una lezione a suon di busse».
Ma Socrate si rivolse agli amici e disse: «Sì, per far divertir la gente alle nostre spalle e sentir dire: To’ guarda Socrate! Guarda Santippe! Bravi tutti e due! sotto! dài! Oh, come si bastonano di gusto! Ma vi pare, amici, una cosa da farsi?»
Sembrerebbe anzi che fosse stata Santippe a picchiare.
Il silenzio filosofico del marito aveva la virtù di esasperare la buona donna sino al parossismo.
E Socrate, silenzioso. Silenzioso sì, ma meditante la fuga.
Ma Santippe si è accorta della fuga. Ha afferrato un vil vaso domestico; ha atteso al varco, cioè alla finestra. E quando Socrate è passato sotto la finestra, ha scaricato il vaso.
«Non dicevo io, — spiegò Socrate ai vicini che erano accorsi al diverbio, — che Santippe dopo aver tanto tuonato, stava per piovere?»
Questo episodio è così conosciuto che anche gli scolaretti lo sanno, perchè i professori lo fanno servire di esercizio per i loro innocenti latinucci. (Tutto serve ai maestri di scuola per i loro latinucci o le loro cosucce: i teschi degli uomini morti servono ai barbari per motivo architettonico).
Oh, non si creda per questo esempio che Socrate fosse uomo timido! Più volte fu anzi in guerra e vide intorno a sè il sangue rosseggiare. Ma anche nella battaglia è ricordato come uomo assorto e meditabondo.
Alla battaglia di Potidea, per esempio, i soldati, meravigliando, lo videro tutto un dì ed una notte ritto in piedi, con la faccia pensosa, sinchè non cominciò a rosseggiare l’aurora e non si fu levato il sole: e allora, fatta una preghiera al sole, se ne andò.
E così, serenamente assorto, egli era anche il dì della sua ultima battaglia, perchè si dice che il dì innanzi la morte, quando Critone tutto affannoso entrò nella carcere, che non era nè notte nè giorno, per indurlo a fuggire, Socrate, quasi destandosi alle cose esterne, gli domandò: «Critone, come è a quest’ora? è già mattutino?».
Ora in questo stato di assorbimento, sentire i lunghi discorsi di lei, tutti pieni di Idiòtes, màtaios (cretino, insensato, direbbe una nostra signora), io credo che dovesse far dispiacere a Socrate.
Sì, io credo che dovesse far dispiacere, non soltanto per le mani adunche di lei, ma perchè con quello strappo lo aveva tolto dalla mirabile primavera del suo pensiero e lo aveva richiamato ai sensi materiali, i quali secondo l’opinione di Santippe erano diventati ottusi. Anzi lei diceva: «Quest’uomo oramai non sente più niente».
*
Ma — si può chiedere, — delle altre cose, di quelle brutte cose che fanno le mogli ai mariti, nulla fece Santippe.
Non pare, o non fu tramandato. Parrebbe anzi che lei si dolesse che tutto il servizio domestico fosse un po’ in cattivo stato. Perchè un giorno Socrate disse a Santippe: «Senti, cara, domani verranno a casa alcuni amici miei ospiti, e tu preparerai da pranzo».
E lei disse: «Ma come mai hai il coraggio di invitare la gente a pranzo che mancano i piatti, che non vi sono tovaglioli, che c’è appena da mangiare per noi?».
Socrate così le rispose: «Sta di buon animo, Santippe. Se gli invitati saranno discreti e frugali, non rifiuteranno quello che c’è in tavola; se saranno indiscreti e senza rispetto, noi non ci cureremo di loro».
Qui, — diciamo il vero, — Santippe, come padrona di casa, non era in obbligo di gustare tutta la saviezza della risposta di Socrate.
Queste sono le cose che la Storia tramanda intorno a Santippe. Ed ora vediamo del «tipo Santippe».
*
Santippe, — la mal famata nei secoli, Santippe, — ha dato origine al tipo Santippe, alla cui formazione quelle tali brutte cose non sono proprio necessarie; ma anche senza di esse, la vita diventa intollerabile.
Oh! chi avrebbe mai supposto che quella creatura tutta bianca, tutta pavida, tutta docile che noi orgogliosamente conducemmo, in un dì beato, in carrozza, davanti al codice del signor sindaco, si sarebbe ammalata e sarebbe diventata Santippe?
Sì, è vero, si dice anche per celia, «la mia Santippe», per significare «la mia signora». Ma una signora non dirà mai: «Io sono la Santippe di mio marito». Potrà esclamare: «Te lo farò vedere io chi è Santippe». E può anche farglielo vedere! Perchè se lei dicesse ponderatamente: «Sì, io sono la Santippe di mio marito», rivelerebbe di possedere la coscienza, e in tale caso non sarebbe più Santippe.
Le varietà del tipo Santippe sono molte; e forse non è inutile, a beneficio di quelli che non conoscono le conseguenze del viaggio davanti al codice del signor sindaco, riferire qualche onesto esempio; benchè in questo, come in altre cose, la sagace natura ha provveduto alla propria salvezza facendo sì che l’uomo non potesse acquistar conoscenza se non dopo il fatto o experimentum, cioè una conoscenza che non serve nemmeno ad accender la pipa!
*
Un marito era incanutito precocemente: ma la signora non poteva soffrire quel bianco e versava premurosamente sulla testa del marito fini tinture. Considerazioni del marito: «Non era meglio, o donna, evitare che i miei capelli diventassero canuti così presto?».
Altro esempio:
Noi siamo giunti a casa, abbiamo mangiato un boccone. La stufa era accesa, il sofà ci invitava. Noi vi ci siamo distesi per obliare in un breve chiudersi della pupilla i fastidi e le cure della mattina e quelle che ci aspettano nel dopo pranzo.
Noi invochiamo una piccola dose di sonno, cioè una piccola dose di morte, dieci minuti, ecco, per immagazzinare l’energia indispensabile per l’altra metà del giorno. Già ci pare di chiudere gli occhi, il cuore ha dato un impercettibile tuffo, una specie di registrazione automatica con cui esso attenua le sue pulsazioni; la memoria ha distaccato già i suoi dolorosi corsieri....
«Ah, con quella testa unta sul sofà! con quei piedacci sul mio voltaire! L’ho stirato proprio questa mattina. E quella puzza nauseabonda di pipa! Un marito non ha più nessun riguardo. Ma chi ha creato i mariti?»
Chi parla così?
È una Santippe che parla così. Ella spalanca le finestre.
«Moglie mia — diceva un marito prudente che voleva andare a letto presto la sera, — che camicetta ti metterai tu per andare a teatro?» Oppure, quando voleva una minestrina leggera in brodo: «Moglie mia, perchè non fai quegli eccellenti gnocchi di patate?»
Altro esempio:
Un signore era diventato principe consorte. Non che egli avesse sposato una principessa di sangue reale; ma soltanto una principessa della penna. La signora sdegnava nominarsi e firmarsi col nome del suo ignoto marito. Questi non poteva invocare l’intervento del signor sindaco; è evidente! ma in lui era così a dismisura cresciuto il terrore per l’arte, per la penna, per la gloria letteraria che se per caso doveva subire qualche presentazione di signora, domandava in antecedenza: «scusi, la signora scrive?»
*
Da ciò avviene che qualche volta uomo e donna si dividano senza voltarsi indietro; ma ciò avviene più di rado del necessario, perchè la sagace natura ha provveduto in modo che le voci dei bimbi che dicono: «Babbo, mamma, perchè ci abbandonate?» abbiano tali vibrazioni che il cuore umano difficilmente vi regge.
Creda, il signor sindaco: questa è la forza maggiore del suo codice!
*
Come giunsi a questo punto delle mie piacevoli meditazioni, ecco che quello che sino allora mi era apparso quasi barbarico, mi si disegnò come cosa ideale: cioè la biografia della perfetta donna presso gli antichi Romani: Rimase in casa, filò la lana, parlò poco, visse casta.
E allora più ideale ancora l’educazione giapponese delle loro pulitissime donne! Dice un marito giapponese alla sua piccola musmè:
«Nessuna cosa, piccola musmè, è più dannosa alla pace domestica della vostra loquacità; e il non sapere cuocere il riso a puntino, è un giusto motivo per ripudiarvi!».
E la piccola musmè risponde con le manine in croce e gli occhioni abbassati:
«Onorevole marito, sì! Le vostre parole sono tutte onorevoli verità, e le vostre azioni sono tutte onorevoli azioni!».
*
A questo punto fu da me udito un crepitare di sibili e di metalli. Mio Dio, Santippe si destava, Santippe parlava. Non avevo io con me preso Santippe?
Gran Dio, a quanti pericoli si espongono i pacifici uomini di studio nei loro esperimenti!
Santippe parlava, e parlava appunto così:
«Infame razza prepotente, ipocrita, di uomini! rimasta tal quale! Ah, a voi torna comoda la donna, oca di Strasburgo e ingrassata pel vostro egoismo! A noi le gravi cure! Noi siamo uomini. — Tu torna, o donna, all’ago e al pennecchio infra le ancelle; e ti ricorda che niuna cosa rende più brutta la donna come la inverecondia. E poi le vanno a cercar fuori le donne con gli occhi cerchiati di inverecondi pallori! Sii massaia, o donna! E sono capaci di far soffrire la fame in casa per far baldoria con le baldracche!...»
«Oh buona donna, — io dissi, — se tu puoi parlare, parla. Ma di una cosa ti prego: non parlare così. Tempera la voce; fa pausa ogni tanto! Qualunque cosa tu dica, dilla con voce soave, senza irruenza. Tutto è tollerabile, forse, dalla donna quando avviene soavemente.».
Oimè, ella non poteva far pause, la sua voce si alimentava con la sua voce, ed io cominciai a sentirmi male, e mormorai con Cristo: Perdona a lei che ignora la sua spaventevole voce! Però che sistema nervoso straordinario e perfetto deve aver avuto Socrate!
«Maledette le vostre lusinghe, — proseguì la irritante voce di Santippe, che ci hanno ridotte a questo stato di servitù! Noi siamo state troppo buone, troppo generose di cuore, ed ecco la ricompensa! Noi siamo uguali a voi!
Sapete voi che in origine eravamo forti e pelose anche noi come voi? I figliuoli, si è vero, li facevamo noi; ma quando eravamo stanche di allattare i marmocchi, li davamo all’uomo, e dicevamo: «To’, allatta tu,» e andavamo fuori di casa a caccia dell’orso anche noi.
Poi, per compiacervi, siamo rimaste in casa; per compiacervi ci siamo profumate col paciulì, abbiamo fatto la voce di flauto, i piedini piccoli, e vi sono anche oggi delle donne che non stanno in piedi, se non sono appoggiate ad un maschio. Maledetto lo specchio di Venere! Oh, ma noi lo romperemo e allora vedremo chi vale di più! Che diritto, che diritto aveva il poeta Archiloco sopra le figlie di Licambe, che non ne volevano sapere di lui? E lui perseguitarle coi suoi versi, finchè le poverette, disperate, si impiccarono?»
Così parlò Santippe.
Or bene, prescindendo dalla voce che offendeva il mio sistema nervoso, non posso negare che nelle parole di lei v’era qualcosa che impressionava quel delicatissimo sentimento della giustizia che per mia sventura possiedo.
Io non so se la donna fosse nei tempi preistorici pelosa e guerriera: le più antiche memorie storiche risalirono ad Eva, la quale era bianca e la prima cosa che fece, dopo aver perso il pudore, fu una toilette con la pianta del fico: e quanto alle lusinghe ed al programma di creare una nuova morale frantumando lo specchio di Venere, io credo che sia impossibile. Ne è prova la signora Curie, la quale dopo essere diventata grande scienziata, dopo avere scoperto il radio, pur non essendo così giovane nè così bella come Eva, non potè sfuggire alle seduzioni di Venere e sedusse o si lasciò sedurre da un suo collaboratore di gabinetto.
Certo è che alcune delle osservazioni di Santippe erano impressionanti; e non si può affermare che l’uomo sia stato eccessivamente logico. Vediamo un po’:
Ha detto l’uomo:
«Amami, o donna, senza di te l’universo è vuoto, il sole è tenebra. Un bacio, un bacio, un bacio per carità!» E pareva che senza quel bacio non potessero addormentarsi, poveri uomini, non potessero neanche morire, come i bimbi che domandano il bacio della mamma. Ed ella fu compiacente e gentile: si attorcigliò la chioma, o se la lasciò cader giù sulle spalle, secondo i casi: imparò a dare i baci, a languire con gli occhi chiusi, come morta, e diceva all’uomo: «Va bene così? O devo prendere un’altra posizione?» Dopo avere imparato i baci, imparò a fare l’infermiera. Spesso l’uomo giungeva a casa ferito o ammalato, e allora quelle mani che gli si erano attorcigliate al collo al tempo dei baci, se le sentì posare come un balsamo su le sue ferite; e le pupille che si erano chiuse nel piacere dei baci, egli le sentì sopra di sè vigilanti e materne. Non basta; ma spesso il focolare dell’uomo era spento e lo ha ritrovato acceso; la sua casa era vuota, e la presenza di lei sola, la donna, bastò a renderla piena e consolata.
E poi dopo tutti questi benefici, hanno avuto il coraggio di dire alla donna: «Ah l’impudica! Torna all’ago e al pennecchio.».
E i dominatori del mondo? Noi li abbiamo visti troppo spesso ai piedi di lei.
E i santi della Chiesa non hanno fatto lo stesso come gli altri uomini? Un giorno hanno detto alla donna: «Tu sei Maria Vergine Santissima!»
Un altro giorno, stralunando gli occhi, hanno detto: «Tu sei il demonio in figura di Venere! Fuggite, fuggite la demoniaca, la insaziabile!» Ma in verità non fuggivano. Gridavano come i passeri attorno alla civetta.
Ed è altresì vero che tutto il lavoro del mondo se lo è preso lui, l’uomo: alla donna niente!
«Alla donna, con la scusa che non capiva, le si vietò persino di affacciarsi alla finestra e di contemplare il creato!» — gridò Santippe.
E i poeti? Sono poco illogici i poeti?
Essi hanno celebrato continuamente i denti, gli occhi, i capelli ed altre cose della donna.
«Mai la nostra intelligenza, mai il nostro cuore....».
«Sì, signora Santippe, qui posso convenire con lei! Francesco Petrarca impiegò tre lunghe canzoni per lodare gli occhi della sua donna....».
«Che dovevamo noi celebrare, la barba, i piedi dell’uomo?» gridò ancora Santippe.
«Sì, signora Santippe; ed io non escludo che la donna lusingata da tutto quel gorghèggio abbia avuto come una spinta ad ingrandire gli occhi, ad allungare i capelli, a cambiarli di biondi in bruni e viceversa, ad impicciolire i piedi, ad affusolare le mani, e specialmente a prendere quell’aria di bambolina, profumata di paciulì e con la voce di flauto, che costituisce, anche nei tempi nostri, la qualità che l’uomo stima di più nella donna. Ammetto tutto questo e convengo che Archiloco ebbe torto, signora, e fu un prepotente.
Potrei recare altro esempio di torti e di prepotenze in poeti posteriori, anche più grandi di Archiloco. Per esempio, Dante.
Una signora gli disse di no, e Dante che cantò l’universo, perdette la sua calma e chiamò quella donna, ladra, scherana, micidiale, insensibile pietra, e che la voleva pigliar per le trecce bionde, e darle una coltellata nel cuore; ed il Leopardi, un santo oltre che un filosofo, non perdette gran parte della sua filosofia quando una bella donna gli disse ridendo «Caro conte, no!»?
Così io parlai per amor di giustizia ed anche per acquetar Santippe, la quale nei ventitrè secoli da che era all’inferno, mi pareva che fosse diventata assai intelligente e saccente; quand’ecco, quei due nomi del Leopardi e di Dante, proferiti come a caso, mi spalancarono per così dire le porte del pensiero, e vidi una terribile visione. Allora non mi seppi più frenare, alzai anch’io la voce, e dissi:
«Sta però il fatto, signora, che voi, Santippe, siete stata la tormentatrice degli eroi, o almeno degli eroi metafisici; e specialmente degli eroi che presero moglie. È una schiera infinita; è una legge costante! Udite, udite, o Santippe:
Ercole ebbe una moglie chiamata Deianira che regalò a suo marito una camicia avvelenata. Deianira era Santippe; il saggio Minosse ebbe una moglie chiamata Pasifae che regalò a suo marito quel mostro chiamato Minotauro; Eschilo, il gran tragico, ebbe una moglie tremendamente Santippe, che gli mutò la dolce vita in tragedia; Marco Aurelio, il più savio degli imperatori, ebbe una moglie che non nominerò, ma Santippe certamente; Sady, gran poeta persiano, ebbe una moglie ricca, ma Santippe, che non gli lasciò aver bene un giorno solo della sua vita. Passando poi al nostro occidente e ai nostri tempi, io potrei compilare un elenco non meno lungo di eroi: da Martin Lutero a Leone Tolstoi, che ebbero mogli Santippe, cioè fecero un’orribile attraversata della vita. Fra gli eroi, che io ricordi, non ci fu che Cristo a salvarsi; Cristo ai cui piedi insanguinati Maria di Magdala versò tutto il nardo prezioso che possedeva, contro il parere di Giuda che voleva specularci sopra favorendo i pezzenti. Ma è pur vero, signora, che Cristo non sposò Maria di Magdala. Chi sa come sarebbero andate le cose, se Cristo la avesse sposata! Anzi Cristo fu un dio, e transitò come un sogno per la vita.
Ora, o signora Santippe, quando una legge è costante dai tempi di Minosse a Leone Tolstoi, dall’oriente all’occidente, essa deve pur avere un valore!».
Così io parlai. Ma un crepitare terribile e come compresso, come un mugghiare feroce mi arrestò. Ne uscì una voce sardonica:
«Gli eroi! Gente moscia che vale meno degli altri. Inutili gli eroi! Gli eroi metafisici, più che inutili!»
Strabiliai! Così aveva risposto Santippe.
«Ah, signora! Inutili gli eroi? Inutile vostro marito? Socrate inutile? il metafisico, il fondatore della filosofia morale? Anzi il creatore — io direi — della morale, perchè prima di lui non esisteva morale, ed il mondo è fondato sulla morale; così che possiamo ben affermare che il mondo gravita su quel grand’uomo di cui voi aveste l’onore di essere consorte!»
«E chi ti dice, idiotes, che sia necessaria la morale inventata da mio marito?»
Così villanamente sibilarono le parole di Santippe contro di me. Era diventata socialista costei in ventitrè secoli di abitazione all’inferno?
«Chi lo dice? Già, chi lo dice? Ma tutti lo dicono! Dai libri delle scuole elementari ai discorsi del trono e dei ministri voi trovate, o signora, la morale, cioè vostro marito....»
«Sì, l’etichetta buona per i calli!»
Nella mia qualità di uomo giusto e morale, confesso che strabiliai una seconda volta a queste parole di Santippe.
Credetti opportuno per la dignità di Socrate, della morale, ed un poco anche mia, di non replicare. Santippe, come donna, essendo fisica, non poteva forse penetrare dentro la metafisica.
Però dissi: «Ah, signora, adesso capisco per quale ragione quando Critone entrò nel carcere e disse: «Socrate, fuggi!», Socrate non volle fuggire e preferì la morte. Ah, signora, se le vostre labbra fossero state capaci di qualche parola gentile, se le vostre mani fossero state capaci di preparare un tranquillo desco con una bella zuppa di ceci con olio e rosmarino, se aveste conservato un poco di nardo per ungere la dolorante anima di vostro marito, egli sarebbe evaso dalla prigione: l’umanità avrebbe avuto un martire di meno, ma anche un infelice di meno!»
E già proferendo queste parole, io mi preparavo a proteggere il mio volto, quando con somma stupefazione non udii alcuna risposta.
Fissai Santippe. Le sue pallide labbra tremavano di un convulso tremore. Disse a pena, disdegnosamente: «Va, va un po’ anche a cercare chi era lui!».
*
Allora è come dicono i dizionari, quando si cerca «Santippe», che rimandano a «Santippe: vedi Socrate».
Oh, ma che orribile mostro, Santippe! Che non sia una donna?
Eppure, no! Lei era la donna, era la glabra, la mammifera, la contorta, la chiomata, dall’ampio grembo generatore, la portatrice dell’uomo!
Inutile però interrogarla di più!
Non rimaneva che seguire il suo consiglio, ed andare in cerca di Socrate.
Però, conveniamone, la scoperta di Santippe, di cui tanto mi ero rallegrato in principio, mi portava ad un viaggio piuttosto lungo e difficile.