Saggi poetici (Kulmann)/Parte prima/Il papavero
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IL PAPAVERO
Tu dunque ognor ai voti
D’Alfeo sarai ritrosa,
Bellissima Aretusa?
Nella paterna valle
5Tu la possente Dea
Delle selve invocasti,
E, da lei trasformata
In limpida sorgente,
Fuggendo discendesti
10Nel seno della terra,
Dove tra cavernosi
Abissi trepidante
Vagavi alla ventura
Sott’all’immenso mare,
15Sopra di te sentendo
Ognor lo spaventoso
Fragor dei flutti irosi,
Or spinti or risospinti
Da torbida procella.
20Alfine rivedesti
Dell’almo sole i rai
In questa, separata
Dall’abitato mondo,
Remota e ignota terra.
25Indovinando il tuo
Pensiero, anch’io lasciai
La grata luce e scesi
Nel tenebroso seno
Dell’atra orrenda notte,
30Per esserti compagno
Nel periglioso corso.
Dove credi, Aretusa,
Ch’adesso ci troviamo?
In terra, che dipende
35Dal terribile Pluto.
Invano invocherai
Qui la possente Dea
Delle foreste ombrose,
Se ‘l Re dell’atro Inferno,
40Dai vezzi tuoi sedotto,
A possederti aspira
E con irresistibile
Onnipossente mano,
Te non volendo seco
45All’orrido reame
Dell’ombre eterne mena.
Benchè da Giove amata,
La Diva delle messi
Difendere la cara
50Proserpina sua figlia
Dalle rapaci mani
Di Pluto non poteo:
Quando ne’ campi d’Enna,
In mezzo alle campagne
55Fra fanciulleschi giuochi
Ei videla, e con braccio
Audace trasportolla
Sul rapido suo carro
Al Tartaro tremendo....
60Tu tremi e brameresti
Tutti sapere i casi
D’avventura sì mesta?...
Cerere, madre eterna
De’ miseri mortali,
65Nel tempio antico d’Enna
Sollecita ascoltava
Del villanello i preghi,
Che fervido chiedea
Ricche abbondanti messi.
70Proserpina frattanto
Colle compagne sue
Dilettavasi al lido
D’un cheto e chiaro lago,
Che Pergo ha nome, e noto
75Per esser cuna e stanza
De’ più vezzosi cigni.
Attonite le vergini
Fissàr lo sguardo intente
A rimirar quel cielo
80Che non avea confine.
Qui, si scorgeva un gruppo
Di maestose nubi,
Quasi un monte cosperso
Di aurata neve il capo.
85Vedeasi sul pendio
Di quel monte nerissima
Spaziosa alta spelonca,
E il sol che in mezzo appare,
Sembra un ruscel che sgorghi
90Dal cupo sen di quella,
E tripartito scenda
In lucide cascate
Di liquido diamante.
Là, solitarie nubi
95Dipingono all’ardente
Giovenil fantasia
Leoni giganteschi,
Idre, Chimere e Sfingi,
Centauri ed Ippogrifi
100E quanti mostri narrano
Ai fanciulli stupiti
Le tenere nutrici.
All’improvviso levasi
Borea ne’ campi eterei,
105E rimosse le nubi
Sembran immense navi
Di poderosa armata,
Che alla stagion de’ fiori
Colle spiegate vele
110Entran nell’alto mare.
Ecco da un’isoletta,
Che ’n mezzo al lago siede,
Inghirlandata tutta
D’alto e fiorito giunco,
115Arriva verso ’l lido
Un baldanzoso stuolo
Di bianchissimi cigni,
Solcando lentamente
Le chiare e placid’onde.
120Mostran nuotando come
Godan segar quell’onde
Fra due cieli rivali
Di splendore fra loro.
Siegue la torma candida
125Maestosamente il duce,
Che al portamento altero
Nato sembra all’impero.
Schierati in mezzo cerchio
I bianchissimi cigni,
130Sembrano Cintia, quando
Timidetta si mostra
Appena all’orizzonte,
E dopo breve corso
Ascondesi di nuovo.
135Allo scherzar de’ cigni,
Diresti ch’essi godono
In veder le fanciulle
Attonite ammirarli.
Quando improvviso suona
140Un grido: «A me, sorelle!
Nostra sia quell’azzurra
Leggiadra farfalletta.» –
«Corriam,» tutte gridaro
E seguîr, tutte ignare
145Dove stesse la preda,
La veloce compagna.
Così leggero stuolo
Di giovani palombe
Seguono ratte ratte
150Il subitaneo volo
Di una loro compagna,
Che per caso ai confini
Della natia foresta
Ha scorto un solitario
155Corimbifero sorbo,
Carco sin alla cima
Di bei purpurei frutti.
L’instabile farfalla,
Che vede a lei venirne
160Le giovani donzelle,
Ratta lungi sen vola,
Ed a posarsi corre
Sovra leggiadro fiore.
Disordinate seguonla
165Le vergini gridando,
E fatte a lei d’appresso,
Movendo lente lente
Sulla punta dei piedi,
Credon averla colta,
170Caute stendon la mano,
Allor quando veggendo
La provvida farfalla
Le tese insidie, s’alza
Ratta di nuovo a volo
175E lunge lascia attonito
Lo stuol che la persegue:
Sicura del periglio,
Quasi per scherno siede
Sovr’altro fior dischiuso.
180Fatte più caute allora,
Schierate in cerchio riedono
All’impresa le vergini,
A poco a poco stringonsi
E, circondato il fiore,
185Tengon certa la preda:
Nascondono a gran stento
Del cor la gioja: è giunta
Della vittoria l’ora.
Ma che! sorprese e quasi
190Tocche da folgor state?
Ma così nuovo inganno
Chi preveder potea?
La rea farfalla, a scherno
Prende le insidie e vola
195Alto-salendo e riede
Per duplicati giri
Al primo fior, là dove
La sorpreser le vergini.
Alfin, pel correr lasse,
200Tutte sedero in cerchio
Sul florido pendio
Di vago monticello.
In vetta al poggio stassi
L’immagine sacrata
205Della divina Flora.
«Intrecciamo, o sorelle,
Vaga di fior corona
Onde ornarne la Dea,»
Sì disse una donzella:
210«E poi, noi stesse adorne
Di ghirlande, intoniamo
L’inno antico di Lino,
Ballando intorno all’alma
Effigie della Dea:
215Come l’aurore estive
Somigliano fra loro,
Per te tra lor somigliano
I secoli così.
Noi della terra figlie,
220Quali terrestri fiori,
Per sempre colla state
Perdiamo la beltà.
Non già chiediamo, o Diva,
A te beltade eterna,
225Ma sol che lieta scorra
La nostra gioventù.
Questo breve inno aveano
Già due volte cantato
E danzando sen stavano
230A ricantarlo intente,
Quando improvvisa scossesi
Con orrido fragore
Sotto a lor piè la terra.
Immobili s’arrestano
235Spaventate le vergini,
Quando seconda siegue
Più terribile scossa,
E tosto si disperde
La numerosa turba,
240Fuggendo alle paterne
Lor vicine capanne.
Come talor ne’ giorni
Dell’estate cocente
Un turbine improvviso
245Scende, ed intorno schianta
Le mezzo-aperte rose,
Cosperse dalle lacrime
Dell’aurora, che tremule
Innanzi al sol splendeano;
250Così ratto disperse
Di Proserpina furo
Le timide compagne:
Ma dessa confidando
Nel potere de’ Numi,
255Sola rimase e queta
Del monticello in vetta.
Ecco una terza volta
Orribilmente trema
Sotto a’ suoi piè la terra.
260La vergine smarrita
Abbraccia i sacri piedi
Della divina Flora.
Ma non v’ha speme: il Sire
Dell’implacabil Orco
265Con nerborute braccia
L’ha di già sollevata,
E rapido la porta
Al non lontano carro.
«O compagne, salvatemi!»
270Gridava ad alta voce
Di Cerere la figlia.
«E tu mi salva, o madre!»
Ma vana speme.... Dite,
Vedeste mai sul prato,
275De’ fanciulli trastullo,
Timida un’agnelletta
Pascer sicura, ornata
Di vaghi nastri e fiori:
E mentre stanchi posano
280Dal lungo giuoco i giovani,
Scender dall’alte nubi
Un’aquila, che ardita
Sull’agnellina piomba
E seco la solleva
285All’etereo suo nido,
Onde sfamar la prole
Di piume ancor sprovvista;
De’ fanciulli lo stuolo
Al suo venir tremante,
290Sbigottito sen fugge:
E tal Pluton strascina
La desïata tanto
E dolce preda al carro.
Sulla quadriglia asceso,
295Abbandonando il freno
Ai rapidi corsieri,
Li chiama a nome, e grida,
«Con celere sicuro
Infaticabil corso
300Al desir mio volate!»
Gli infernali destrieri
Ubbidïenti mossero
Al suon de’ detti usati.
Il corso non rallentano
305Per gli ineguali solchi
Di vasto campo appena
Sgombro di antica selva.
A frenarli non valgono
Le orrende e tenebrose
310Caverne, che diresti
Dell’inferno le porte.
S’inoltrano dovunque
I corridor feroci
Ratti così, che liberi
315D’ogni peso e fatica
Immobili li credi,
E de’ zeffiri a grado,
Qual tenebrosa fiamma,
Or s’innalza or s’abbassa
320Sovra le negre schiene
La lunghissima e sciolta
Lor rossiccia criniera.
D’un monte alle radici
Ecco il limpido lago
325Di Chiana: da lontano
La Ninfa riconosce
Di Cerere la figlia,
E al rapitor tentando
Chiuder il passo, grida
330Con imperiosa voce:
«Fermati, se pur vuoi
Toglierti all’ira ultrice
Del genitor Nettuno!»
Ma Pluto con furente
335Sicura e ratta mano
Scaglia lo scettro ferreo
In seno all’onde chiare
Dell’importuna Ninfa.
L’acque si apriro in cerchio,
340E riverenti al grido
Gl’intrepidi cavalli
A capo in giù, col carro
Lanciaronsi nell’onda,
Che l’ingoiò e sovr’essi
345Si chiuse immantinente,
E ritornâr qual pria,
Le mute onde, tranquille.
Solo galleggia il roseo
Cestello della vergine
350Sul limpidetto lago,
Che dal suo sen disgiunto
Fu dall’acque sol quando
Il tenebroso carro
Innabissò nel lago.
355Galleggiante sull’onde
Quel cestello parea
La vespertina stella,
Allorquando si mostra
Radiosa inver l’occaso,
360All’or che il sol discende
Nel fiammeggiante mare,
E quasi la diresti
Rinascente fenice,
Che dal suo cener sorge
365Nell’olezzante rogo,
Cui la vicina notte
A spegnere non tarda.
Ma Cerere frattanto
Ritornata all’antico
370E solito soggiorno,
Ode la figlia misera
Da ignota man rapita.
«Ahi! perchè, Fato avverso,»
Così dicea piangendo,
375«Perchè mai lacerare
Materno cor! Io vidi
Suoi fanciulleschi vezzi
E ne godeva: ahi lassa!
Adulta or me la togli.
380Di qual misfatto in pena
Tal castigo mertai?
Forse tu mi punisci
Perchè superba e lieta
Di tal prole n’andava?
385Che forse, cieca madre,
Trascurava i doveri
Che imponesti alla Dea?
Che forse a lei d’appresso
E d’ogni altro dimentica
390Ampie messi negai
All’estreme contrade
Del popolato mondo?
Il rapitor ben scelse
Il dì festivo, in ch’io
395Ad ascoltar nel tempio
Stommi del villanello
Le calde preci e i voti:
Qual uomo, anzi qual Dio
Osato avria rapirla
400A me vicin? difesa
Il mio petto l’avría
Contro l’Olimpo intero!...
Ma fugge l’ora, e inutile
E tardo il pianto fia.»
405Asceso, frettolosa,
Il veloce suo carro,
Ver l’Etna ardente spinge
Gli ubbidïenti draghi,
Ivi accende due faci,
410Tutta scorre la terra
Dal tramontar del sole
Fino alla pigra Aurora;
Dal mattutino canto
D’ardita lodoletta
415Ch’oltre le nubi innalzasi,
Fino al notturno canto
Dell’usignuol che geme,
Ella con gli occhi sempre
Di lacrime bagnati
420Cerca tra monti e valli,
Ne’ campi, nelle selve,
Nel muto seno d’ogni
Misterïosa grotta
Invan la figlia: incerta
425Al più lieve sospiro
Di Zeffiro vagante,
Al muover d’una fronda,
Ella porge l’orecchio
E pronta il volo arresta
430De’ rapidi draconi:
Dovunque mira, e sempre
Fatta è misero giuoco
Di speranza e d’orrore.
Ben sette giorni invano
435Cercò la figlia: alfine
All’alba ottava, quando
L’antica luna perde
Lo splendore non suo,
E che ridente Aurora
440Precede il carro aurato
Dell’irradiante Febo,
Cerere allor pervenne
Di Chiana al queto lago.
Di Nettuno la figlia
445Da lungi riconobbe
La sfortunata madre.
Tosto che giunse al lago,
Sì le disse la Ninfa:
«Invan m’adoprerei
450Onde il vero celarti.
Non v’ha più cosa, il veggo,
Che spaventar ti possa.
Forse ti fia sollievo
A tanto duolo, il pegno
455Che pietosa ti porgo.»
(Sì dicendo il cestello
In man le dava). «Stassi
Or ella nell’oscuro
Regno di Pluto: Pluto
460Te la rapia, e fra queste
Onde ritrose, il varco
A viva forza aprissi.»
Come talvolta il cielo
Per negre nubi oscuro,
465Improvviso sorride,
Se inaspettato un raggio
Dell’aureo sol penetra
Tra mezzo all’atro nembo,
Così nel mesto volto
470Dell’infelice Dea
Per quel cestello apparve
Un baleno di gioia.
Il prende e tutta lacrime
Il bacia e il bacia ancora,
475Poi lo vagheggia e il mira
Con prolungato sguardo
Teneramente mesto.
Al cor lo appressa, grazie
Rende alla Ninfa, e indrizza
480Inver l’Olimpo il corso.
Il regnator del cielo
Che, dagli Dei disgiunto
In solitaria parte
Del vasto Olimpo siede,
485Vede l’afflitta madre
Venirgli innanzi: e tosto
Che vicina se l’ebbe,
Con dolcezza le disse:
«Cerere! non chiamarmi
490Della diletta prole
Poco curante: il Fato,
De’ mortali non solo,
Ma degli stessi Numi.
Arbitro Sire, volle
495Che Proserpina fosse
Di Pluto sposa: pure.
A tuo sollievo volle,
Ch’ogni anno all’apparire
Della stagion novella,
500Rieda l’amata figlia
Alla diletta madre,
E seco lieta goda
La dolce primavera.
E la feconda state.
505Il Fato volle ancora,
Che sullo stesso altare
Con te agli onor divini
Partecipi la figlia:
In avvenir gli Dei
510Giureranno pel nome
Di Pluto e di Proserpina,
E fia tal giuramento
Il più sacro e tremendo.
Ed or fa cor: tu vedi
515Quai sommi onori il Fato
Alla figlia conceda.
E allor che fra le biade
Rosseggi il fior che gode
Nascer fra quelle, sappi
520Ch’egli t’annuncia il pronto
Ritorno della figlia.»
Così narrava Alfeo.
La Ninfa, spaventata,
Tese grata la mano
525Al generoso amico.
Questi col piè possente
Percuote e rompe l’argine
Che dividea fra loro
Sinora il corso, e tosto
530Timidetta si vide
Entrar la limpid’onda
D’Aretusa nel letto
Del fortunato Alfeo.
E qual talora lieve
535Diafana nuvoletta,
De’ Zeffiri trastullo,
Sola ne’ campi azzurri
Del cielo estivo spazia;
Così la scarsa e limpida
540Sorgente della Ninfa
Appare in mezzo all’onde
Larghissime d’Alfeo.
Lor onde si confondono
Tra loro solo quando
545ln più profondo letto
Corrono unite al mare.