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IL PAPAVERO
Tu dunque ognor ai voti
D’Alfeo sarai ritrosa,
Bellissima Aretusa?
Nella paterna valle
5Tu la possente Dea
Delle selve invocasti,
E, da lei trasformata
In limpida sorgente,
Fuggendo discendesti
10Nel seno della terra,
Dove tra cavernosi
Abissi trepidante
Vagavi alla ventura
Sott’all’immenso mare,
15Sopra di te sentendo
Ognor lo spaventoso
Fragor dei flutti irosi,
Or spinti or risospinti
Da torbida procella.
20Alfine rivedesti
Dell’almo sole i rai
In questa, separata
Dall’abitato mondo,
Remota e ignota terra.
25Indovinando il tuo
Pensiero, anch’io lasciai
La grata luce e scesi
Nel tenebroso seno
Dell’atra orrenda notte,
30Per esserti compagno
Nel periglioso corso.
Dove credi, Aretusa,
Ch’adesso ci troviamo?
In terra, che dipende
35Dal terribile Pluto.
Invano invocherai
Qui la possente Dea
Delle foreste ombrose,
Se ‘l Re dell’atro Inferno,
40Dai vezzi tuoi sedotto,
A possederti aspira
E con irresistibile
Onnipossente mano,
Te non volendo seco
45All’orrido reame
Dell’ombre eterne mena.
Benchè da Giove amata,
La Diva delle messi
Difendere la cara
50Proserpina sua figlia
Dalle rapaci mani
Di Pluto non poteo:
Quando ne’ campi d’Enna,
In mezzo alle campagne
55Fra fanciulleschi giuochi
Ei videla, e con braccio
Audace trasportolla
Sul rapido suo carro
Al Tartaro tremendo....
60Tu tremi e brameresti
Tutti sapere i casi
D’avventura sì mesta?...
Cerere, madre eterna
De’ miseri mortali,
65Nel tempio antico d’Enna
Sollecita ascoltava
Del villanello i preghi,
Che fervido chiedea
Ricche abbondanti messi.
70Proserpina frattanto