Ma fugge l’ora, e inutile
E tardo il pianto fia.» 405Asceso, frettolosa,
Il veloce suo caro,
Ver l’Etna ardente spinge
Gli ubbidïenti draghi,
Ivi accende due faci, 410Tutta scorre la terra
Dal tramontar del sole
Fino alla pigra Aurora;
Dal mattutino canto
D’ardita lodoletta 415Ch’oltre le nubi innalzasi,
Fino al notturno canto
Dell’usignuol che geme,
Ella con gli occhi sempre
Di lacrime bagnati 420Cerca tra monti e valli,
Ne’ campi, nelle selve,
Nel muto seno d’ogni
Misterïosa grotta
Invan la figlia: incerta 425Al più lieve sospiro
Di Zeffiro vagante,
Al muover d’una fronda,
Ella porge l’orecchio
E pronta il volo arresta 430De’ rapidi draconi:
Dovunque mira, e sempre
Fatta è misero giuoco
Di speranza e d’orrore.
Ben sette giorni invano 435Cercò la figlia: alfine
All’alba ottava, quando
L’antica luna perde
Lo splendore non suo,
E che ridente Aurora 440Precede il carro aurato
Dell’irradiante Febo,
Cerere allor pervenne
Di Chiana al queto lago.
Di Nettuno la figlia 445Da lungi riconobbe
La sfortunata madre.
Tosto che giunse al lago,
Sì le disse la Ninfa:
«Invan m’adoprerei 450Onde il vero celarti.
Non v’ha più cosa, il veggo,
Che spaventar ti possa.
Forse ti fia sollievo
A tanto duolo, il pegno 455Che pietosa ti porgo.»
(Sì dicendo il cestello
In man le dava). «Stassi
Or ella nell’oscuro
Regno di Pluto: Pluto 460Te la rapia, e fra queste
Onde ritrose, il varco
A viva forza aprissi.»
Come talvolta il cielo
Per negre nubi oscuro, 465Improvviso sorride,
Se inaspettato un raggio
Dell’aureo sol penetra
Tra mezzo all’atro nembo,
Così nel mesto volto 470Dell’infelice Dea
Per quel cestello apparve
Un baleno di gioia.
Il prende e tutta lacrime
Il bacia e il bacia ancora, 475Poi lo vagheggia e il mira
Con prolungato sguardo
Teneramente mesto.
Al cor lo appressa, grazie
Rende alla Ninfa, e indrizza 480Inver l’Olimpo il corso.
Il regnator del cielo
Che, dagli Dei disgiunto
In solitaria parte
Del vasto Olimpo siede,