Rivista di Cavalleria - Volume IX/V/Il nuovo I Tomo del regolamento d'esercizi/II

Pio Cesare Erba

Il nuovo I Tomo del regolamento d'esercizi
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Il nuovo I Tomo del regolamento d'esercizi
II. A proposito del nuovo regolamento d’equitazione.
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II.

A proposito del nuovo regolamento d’equitazione.

Nato in tempi del più puro classicismo in fatto di equitazione, educato, cioè, ad una scuola che se ha fatto il suo tempo non ha per questo meno diritto ad essere giudicata con maggiore equanimità da quella gioventù che tocca con mano ogni giorno come i non pochi superstiti, passati dall’uno all’altro sistema con serenità degna dei solidi principii avuti, sanno galoppare allegramente in testa ai loro reparti senza preoccuparsi affatto del terreno e tanto meno farsi rimorchiare o precedere, sia concesso anche a me di esprimere un umile parere intorno al nuovo regolamento ed approfittare dell’occasione per aggiungervi poche considerazioni in merito ad una critica apparsa sopra queste pagine.

Allorquando nel 1890 uscì quel regolamento che doveva portare, tra noi, una vera rivoluzione perchè con esso, e per la prima volta in Italia, veniva ufficialmente sancito il tanto discusso principio d’iniziativa, ricordo di aver pubblicato un articolo dal titolo: Difetti capitali, alludendo ai difetti che la comparsa del nuovo regolamento avrebbe dovuto far scomparire.

In quell’opuscolo, mentre richiamavo l’attenzione sul notevole avvenimento, che salutavo con gioia perchè destinato a segnare il punto di partenza di un vero progresso, mi chiedevo se un passaggio così repentino ad un sistema diametralmente opposto a quello fino allora seguito, non avrebbe avuto per conseguenza disparate ed erronee interpretazioni e, nel porre il dubbio che il terreno non fosse abbastanza preparato a ricevere e fecondare il prezioso seme che doveva far scomparire i difetti capitali consacrati dalla routine, così mi esprimevo:

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«la stella polare che deve servire di guida nella pratica applicazione, il faro destinato ad illuminare e togliere ogni dubbio sul giusto valore da darsi alle istruzioni varie, nonchè alla parte di responsabilità che spetta ad ognuno è la breve quanto aurea pagina di avvertenze posta a capo del I° Tomo. Sarà subito compresa nella sua vera essenza? Spariranno tanti difetti e le vecchie abitudini? Ecco il quesito! [p. 495 modifica]

«Se in tutte le epoche per la grande difficoltà di combattere pregiudizi di routine segnò sempre un momento di crisi l’inizio di un nuovo indirizzo distruzione e l’attuazione d’un nuovo regolamento, non sarò accusato di soverchio pessimismo se dirò che nel caso nostro la crisi sarà difficile a superarsi per il solo fatto che tutto il sistema è inperniato ad un principio, se non nuovo in teoria, certo, nuovissimo come prescrizione regolamentare quale è quello dell’iniziativa.

«È vano illudersi, ma questo principio che ebbe fin qui avversari ed infelici interpreti, può diventare un’arma pericolosa a doppio taglio qualora, fin dai primordi dell’attuazione del nuovo regolamento, non si pensi a preparare colla massima oculatezza un terreno atto ad essere fecondato dal nuovo seme.»

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Questo scrivevo non appena vide la luce quel regolamento il quale, fra i tanti meriti, doveva aver quello d’inaugurare il fatto nuovissimo, e per taluni strabiliante, di stanare dai maneggi e spingere all’aperto gli squadroni guidati dai loro capi naturali, sollevati, cioè, da quella, talora soverchia, tutela di nervosi tutori, causa prima di attriti, bene spesso d’inciampo alle istruzioni, e sempre dannosa alla disciplina1.

Ma oggi il problema si presenta sotto un aspetto ben diverso di quello che non fosse nel 1890.

Il terreno essendo fecondo non è più il caso di esprimere dubbi sopra il risultato che possono dare mutamenti contenuti nei limiti di una semplice evoluzione nel campo tecnico, per cui: data e concessa la necessità di studiare un nuovo regolamento, ma dato, però, e concesso anche il fatto che dal 1890 in qua nessun avvenimento importante è venuto a giustificare una seconda rivoluzione nei mezzi di preparazione della nostra arma, viene spontanea la domanda se per la compilazione del nuovo regolamento era necessario adoperare il martello, per abbattere il morituro, o semplicemente lavorare di lima per foggiarne uno che rappresentasse una semplice evoluzione rispondente, più che alle esigenze di nuovi metodi di guerra, ad esigenze di reclutamento. [p. 496 modifica]

La risposta più eloquente ce l’ha data la stessa Commissione incaricata di studiare il nuovo regolamento, Commissione la quale pur essendo composta di elementi non certo sospetti di soverchio amore all’antico, lavorò sapientemente di lima e non di martello, convinta che a così breve distanza dalla pubblicazione dell’ultimo, e senza avvenimenti che sieno venuti a gettare nuova luce sull’impiego della cavalleria, non fosse proprio il caso di introdurvi radicali riforme col disconoscere o scostarsi troppo da tutto ciò che è ancora tenuto in grande onore presso le migliori cavallerie d’Europa. Che cosa dimostra questo fatto?

Dimostra chiaramente che fra gli egregi membri chiamati dalla fiducia del nostro Ispettore a compiere il non facile lavoro non si dimenticò mai che il vero mandato non era quello di pubblicare un trattato d’equitazione con sviluppo più o meno sensibile di questa o quella branca a seconda delle simpatie o vedute personali di questo o quel membro, ma di compilare un regolamento il quale, pur contenendo tutto l’indispensabile, ma nulla più dell’indispensabile, riuscisse come una guida pratica per l’istruttore, breve, chiara, concisa.

Dimostra che la Commissione non dimenticò mai che un reglamento militare, perchè riesca tale, non deve avere per base i soli dettami dell’esperienza di chi eccelle in questo o quel sistema, o ramo d’un dato sistema, ma rappresentare la somma delle numerose esperienze fatte in armonia con tutte le branche dello scibile militare. (V. Ancora e sempre non esageriamo).

Dimostra, infine, che non dimenticò mai che in arte2 il vero progresso non è dato dai bruschi mutamenti, ma dal trasformarsi e perfezionarsi delle teorie basate sopra i principii immutabili che l’esperienza, lo studio e le opere dei maestri, che ci precedettero, hanno posto a base dell’arte che si vuol fare progredire coi tempi.

Fu certamente colla scorta di questi criteri che la Commissione studiò, lavorò e pubblicò il nuovo regolamento e quando si consideri che fra quei membri taluni, se non tutti, avevano in fatto d’equitazione idee e vedute speciali, giustificate, anche, da successi personali invidiabili, fu veramente gran merito il non essersi lasciata trascinare da ideali giustificati solo da parziali, per quanto ottimi, risultati che la massa non può raggiungere.

Ciò premesso, credo non andar errato esprimendo l’intima convinzione che il nuovo regolamento, salvo insignificanti dettagli [p. 497 modifica]ed un piccolo neo, del quale dirò più innanzi, è riuscito un regolamento che si può dire perfetto perchè risponde per forma e sostanza allo scopo che si voleva raggiungere, quello, cioè, di concentrare in brevi pagine quel tutto strettamente necessario a formare, in breve tempo, buoni cavalieri di campagna e buoni combattenti a cavallo.

Questo è il mio umile modo di vedere e nutro fiducia che l’esperimento in corso vorrà darmi ragione.

A giudicare però da una prima critica apparsa sopra questa Rivista bisogna arguire che il nuovo regolamento non incontrerà il favore di molti perchè il critico in parola avendo fatto scuola ed allievi parecchi, questi non vorranno sconfessare il maestro che vi ha scoperto lacune e difetti non pochi.

Infatti l’A., dopo aver detto che il vecchio regolamento passerà in dimenticanza come tutto ciò che ha fatto il suo tempo benchè sia degno di qualche rispetto3 e dopo aver fatto un breve elogio al neonato, seguito però subito da un poco lusinghiero giudizio intorno ai comandi che qualifica di nessuna utilità pratica, passa ad esaminarlo con dei se e dei ma, in tanta copia da far nascere il dubbio che il breve elogio debba intendersi dedicato a quella parte in cui la Commissione ha rispettate le sue vedute e più specialmente sia dedicato al § 241, il quale gli ha procurato il piacere di vedere adottato e sancito un suo principio.

E qui è necessario aprire una parentesi per chiedere di quale principio s’intenda parlare.

Il principio sul quale si basa tutto l’addestramento delle rimonte è uno solo quello, cioè, che per fare di un puledro un cavallo di guerra bisogna anzitutto mutargli il primitivo equilìbrio naturale. Lo muti con un sistema, lo muti con un altro, il principio rimane inalterato, non è affatto nuovo, anzi, è vecchio quanto è vecchio l’addestramento delle rimonte.

Infatti: che cosa diceva a pagina 216 il vecchio regolamento? [p. 498 modifica]

Diceva che si perviene a modificare l’equilibrio naturale esercitando gradatamente il puledro ad alleggerire l’anteriore, e si badi che diceva: gradatamente.

Che cosa dice il § 241 del nuovo regolamento?

Dice che l’equilibrio si muta col lavoro e coll’esercizio assecondando i movimenti del cavallo senza contrastarlo4.

Confrontando le due diciture risulta chiaro che il principio base di tutta l’educazione del puledro, di mutare, cioè, l’equilibrio naturale, è rispettato in entrambi i regolamenti.

Il nuovo lascia intendere che l’equilibrio si deve mutare col lavoro e l’esercizio, il vecchio invece specifica un dato lavoro e dati esercizi sempre allo stesso scopo di mutare equilibrio, quindi se non è zuppa è pan bagnato, tanto più che i susseguenti paragrafi 253, 254 e 255 del nuovo regolamento, molto opportunamente, prescrivono dati esercizi, che non sono certo destinati ad assecondare, in tutto, le tendenze naturali del puledro, specie se maremmano.

In conclusione: la differenza, molto minima, però, sta nei mezzi e non nel principio il quale è e sarà sempre quello che, per diventare cavallo di guerra, il puledro deve mutare il suo primo equilibrio.

Può darsi però che per principio suo, l’autore della critica abbia voluto intendere quello di procedere all’educazione del puledro coi mezzi da lui più volte proposti di assecondare, cioè, le tendenze naturali, senza contrastarle, abolendo per conseguenza tutto quanto nel vecchio regolamento tendeva ad obbligare il cavallo a piegarsi alla volontà del cavaliere e tutto quanto tendeva ad insegnare anche il più elementare degli spostamenti indispensabili ad apprendersi dal cavallo di guerra. Ma in questo caso avrebbe dovuto attendere per rallegrarsi di veder aboliti col regolamento definitivo i già citati paragrafi 253, 254 e 255, che, per fortuna, non militano in favore delle sue teorie o del suo principio, se così desidera chiamarlo.

Io non credo che il regolamento definitivo vorrà togliere quegli esercizi di indiscutibile necessità, ma se ciò accadesse consiglierei di radiare la parola addestramento, perchè il vocabolario insegna che addestrare è sinonimo di insegnare e siccome l’uomo insegna solo ciò che da natura non si apprende, è ovvio il dimostrare che non è possibile imparare cosa qualsiasi senza piegarsi, con maggiore o minore sforzo di fisico o [p. 499 modifica]d’intelligenza, alle esigenze richieste dallo scopo che vuol raggiungere un dato insegnamento.

Il pretendere quindi che il puledro diventi cavallo senza piegarsi a qualche sforzo, varrebbe quanto il pretendere d’avere buona fanteria col l’assecondare il passo goffo e sconclusionato del coscritto, in genere, e del contadino, o montanaro in ispecie.

Ciò detto, per incidente, chiudo la parentesi.

Io non voglio nè ho il tempo per analizzare e rispondere sopra tutti i punti della critica in parola tanto più dopo la minuta e coscienziosa replica fatta dal colonnello Sartirana.

Dirò solo che lo scritto ha rilevato nel nuovo regolamento lacune e difetti che non avrebbe scoperti se, giudicando obbiettivamente, non avesse dimenticato ciò che non dimenticò la Commissione e, cioè, giova ripeterlo, che il mandato era di compilare un regolamento d’equitazione militare, una guida per l’istruttore, e non un trattato con sviluppo maggiore o minore di questa o quella branca.

Il non aver tenuto presente questo fatto capitale, per chi si accingeva a fare una critica, l’aver voluto correr dietro ad un solo ideale perdendo di vista quello vero al quale si voleva tendere col nuovo regolamento, di servirsi, cioè, di tutte le risorse dell’equitazione moderna ed antica, ridotte al puro necessario, come mezzo per formare buoni combattenti a cavallo, ha fatto sì che non ha potuto resistere alla tentazione di rilevare come lacuna il poco sviluppo dato alle teorie sul salto.

Anche su questo punto ha risposto regiamente il colonnello Sartirana e nulla mi permetterei di aggiungere o togliere a quella risposta se per essere coerente a quanto ebbi a dire nell’opuscolo: Non esageriamo, e nell’altro: Ancora e sempre non esageriamo, non approfittassi dell’occasione per chiedere se era proprio necessario che il nuovo regolamento contenesse più di quanto la Commissione ha creduto utile di introdurvi in merito al salto, in genere, ed al salto di elevazione in ispecie.

Diciamolo subito che la Commissione non poteva essere più logica nel ritenere inutile che in omaggio al salto si facesse uno strappo al principio di bene intesa sobrietà che aleggia in ogni parte ed è la più bella caratteristica del nuovo regolamento.

Il salto, specie quello d’elevazione, è utile, utilissimo, e nessuno mette in dubbio che è pure l’esercizio sovrano per dare maggiore stabilità, ardire e slancio al cavaliere, ma nessuno vorrà [p. 500 modifica]neppure mettere in dubbio come sia più che utile, indispensabile, che il soldato apprenda questo esercizio quasi senza accorgersi, in modo, cioè, che non sospetti neppur lontanamente le difficoltà che lo circondano, cosa questa che solo si ottiene col confonderlo il meno possibile di teorie che lo preoccuperanno tanto maggiormente in quanto che si son volute elevare all’onore di scienza, con suddivisioni di tempi e movimenti, di tira e molla, tieni e spingi, pressochè matematici, da rispettare prima, durante e dopo il salto.

Mi guardi il Cielo dal voler disconoscere i meriti di chi con tenacia, studio e passione ha saputo dar corpo ed anima alle tante raffinatezze che circondano l’esercizio del salto, formulando teorie la cui bontà ed utilità nessuno vorrà discutere quando dettate in un trattato d’equitazione o di sport, ma pretendere che occupino un posto d’onore in un regolamento d’equitazione militare sarebbe come un voler pretendere che talune raffinate utilissime teorie contenute nei trattati di scherma occupassero il primo posto nel regolamento intorno agli esercizi colla sciabola.

Concludendo, il soldato deve andare all’ostacolo coll’intima convinzione di dover fare nulla più che un tempo di galoppo un poco più lungo od elevato dell’ordinario, quindi bando alle teorie, ma semplici avvertimenti e cenni sul modo di portarsi decìsamente, ma calmo, al salto e non maltrattare il cavallo.

Ma tralasciando le difficoltà che si incontrerebbero per far ben comprendere al soldato le non facili teorie sul salto, nonchè la preoccupazione che ne verrebbe di conseguenza, tutta a danno della decisione, io domando se all’infuori dell’utilità che, ripeto per la centesima volta è grandissima, indiscutibile come esercizio, ne abbia veramente tanto come applicazione pratica in campagna da ritenere che la Commissione dovesse impensierirsi su questo punto più di quanto ha dimostrato di essersi impensierita col dettare i brevi cenni che ha ritenuti sufficienti allo scopo.

Domando, cioè, per meglio spiegarmi, se dato il genere di ostacoli che si incontrano nelle nostre campagne che sono pur ritenute le più difficili per l’impiego a masse della cavalleria, sia proprio vero che l’andar bene in campagna dipenda unicamente ed in misura così capitale dall’andar bene al salto da ritenere che fosse assolutamente necessario rimpinzare il nuovo regolamento di teorie, in proposito, mentre da anni e senza alcun bisogno di teorie scentifiche assistiamo al confortante spettacolo di vedere reggimenti e brigate manovrare brillantemente a tutte le andature attraverso terreni difficilissimi e superare in piena [p. 501 modifica]manovra, senza quasi scomporsi, ostacoli in paragone ai quali quelli di guarnigione sono giuocattoli come ad esempio quei fossatelli di piazza d’armi che i cavalli rifiutano con orrore perchè... artificiali.

Si dirà che in campagna tutti saltano perchè trascinati dall’impeto e dall’esempio degli ufficiali. È vero, ma appunto per questo si è istituito il corso di Tor di Quinto e pei graduati il corso complementare. Si dirà anche che gli ostacoli sono rappresentati da fossi, siepi o staccionatelle di poco conto. È verissimo, ma è appunto perchè sono i soli e veri ostacoli che dovremo saltare che non vedo la necessità di sfoggiare in un regolamento tante teorie sul salto specialmente d’elevazione.

Infatti chi è di noi, o dei nostri vecchi che ricorda d’aver saltato, o visto saltare, col proprio reparto ostacoli d’elevazione di maggior conto?

I muri, le siepi e le staccionate di qualche entità è assai più utile e logico romperli, si guadagna tempo e si mantiene l’ordine e la disciplina nel reparto, mentre il fosso, intorno al quale sarebbe pur necessario creare una teoria che insegnasse a superarlo per risparmiare il cavallo, è l’unico vero ostacolo che è giuocoforza saltare quando supera certe dimensioni.

Eppure, vedi combinazione, sono appunto i fossi quelli sui quali raramente ci esercitiamo in guarnigione anche quando per la loro forma e dimensione sarebbe pur logico insegnare al soldato il modo di contenersi per evitare che il cavallo spicchi un salto inutile, instillando il principio di risparmiarne le forze, principio tanto aureo quanto poco noto o volentieri dimenticato dalle pattuglie e cavalieri isolati, sotto la veste dei quali si nasconde bene spesso il carrettiere, proverbiale per la voluttà colla quale sfrutta, quando non maltratta, per puro vezzo, il cavallo.

Si è detto, e qualcuno lo crede seriamente, che questo mio umile modo di vedere ha tutta l’aria di voler combattere lo sviluppo dato in questi ultimi tempi al salto, ed in special modo al salto d’elevazione.

A costoro rispondo che non applaudirò mai abbastanza la istituzione del Corso di Tor di Quinto e l’incoraggiamento venuto dall’alto per ogni genere di sport, come sottoscriverei, con entusiasmo, per la creazione d’un premio da conferirsi a chi saprà scrivere il miglior trattato sul salto, ma convinto come sono, e [p. 502 modifica]come lo sono molti altri, che se l’andar bene al salto è un gran fattore per andar bene in campagna, non ne costituisce, però, la sola ed unica base, combatterò sempre l’idea che un regolamento d’equitazione militare debba farsi complice delle esagerazioni di chi corre dietro ad un ideale che la massa non può raggiungere.

A dimostrare poi quanto erronea e mal fondata sia l’accusa che mi si vuol fare, rammenterò come il primo articolo destinato a salutare il grande avvenimento dell’istituzione del corso di Tor di Quinto, contenente i voti sinceri perchè alla nuova istituzione non si lesinassero i mezzi per svilupparsi ed affermarsi degna di quel mare magno dello sport che è la campagna romana, lo pubblicò il sottoscritto ottenendo la doppia lusinghiera soddisfazione di vederlo ripetuto su ben quattro giornali della capitale e modificate le vedute di chi, considerando la questione dal lato puramente economico, avrebbe voluto ostacolarla ridurla ai minimi termini.

A voler essere giusti, però, bisogna riconoscere che nel lamentare il poco sviluppo dato dal nuovo regolamento alle teorie sul salto, lo scrittore dell’articolo non ha fatto che rimanere coerente a sè stesso, alla sua idea, cioè, che l’andar bene in campagna debba essere scopo e fine dell’equitazione militare e non mezzo, per quanto principale, per formare cavalieri arditi (vero scopo dell’equitazione di campagna) e buoni combattenti a cavallo (fine ultimo dell’equitazione militare).

Dove invece si può notare una certa contraddizione è negli appunti che ha voluto fare intorno ad alcuni dettagli, appunti che un suo collega si è affrettato a ribattere.

Di uno di questi, quello che riguarda la frusta, mi occuperò, tanto più che il collega si limita a dire che circa la sua abolizione si sente perplesso ad esprimere un’opinione decisa.

Perchè perplesso?

La frusta nella gerarchia dei mezzi che hanno trovato utile impiego nello scibile cavalleristico, dirò così, d’altri tempi, occupava un posto rispettabile come ausilio all’educazione del cavallo, in genere, ed a quello d’alta scuola, in ispecie, ed uno, non meno rispettabile, come pungolo.

Considerata come ausilio, è istrumento così delicato e difficile a maneggiare che posto nelle mani di chi non ne conosce [p. 503 modifica]tutte le raffinatezze d’impiego può divenire arma pericolosa da portare a risultati opposti a quelli che si vogliono ottenere, per conseguenza non c’era da rimanere perplessi nel pronunziarsi per l’abolizione assoluta.

Considerato come pungolo, se si poteva rimanere perplessi nel pronunciarsi intorno alla convenienza o meno di ripristinare un istrumento del quale è tanto difficile l’uso quanto è facile l’abuso, non si poteva rimanere perplessi nel chiedere al critico, come mai avrebbe poi conciliato l’uso di un mezzo di eccitamento così persuasivo, e, qualche volta violento, coll’evangelica teoria di non torcere un pelo al cavallo assecondandolo, anzi nelle sue tendenze.

Si è versato tanto inchiostro e si è gridato tanto per abbattere tutto ciò che sapeva di vecchiume, ed ecco che si vuol rimettere in onore il più classico fra gli istrumenti della vecchia scuola5.

Avrei compreso che si volesse ripristinarlo come ausilio all’educazione del cavallo, ma proporne l’uso perchè l’istruttore se ne serva per forzare violentemente i soggetti che per tendenza naturale sono pigri, indecisi o timidi, rappresenta una vera capitolazione dell’assolutismo, perchè val quanto riconoscere che se, in tesi generale, è giusto assecondare la natura, è però logico che si possa ricorrere a mezzi artificiali sempre quando per deficienza di capacità fisica o di volontà non sia sufficiente il solo lavoro e l’esercizio a piegare il cavallo alle nostre esigenze.

Concludendo: la frusta, come il frustino, lo sperone ed altri mezzi, è utile quando impiegata con giusto criterio, ma la Commissione incaricata di compilare il nuovo regolamento ha fatto molto bene ad abolirla non già perchè non fosse convinta della utilità di essa in più e più casi, ma perchè convintissima che nelle mani dei nostri istruttori può portare a risultati negativi e l’uso degenerare facilmente in abuso. [p. 504 modifica]

Ad ogni modo l’aver detto a pag. 92 che nella cavallerizza non si deve far uso della frusta, non vuol dire averla assolutamente prescritta e nessuno griderà certo il crocifige contro quell’ufficiale che, in casi speciali e con parsimonia, sappia impiegarla intelligentemente.

Nell’esprimere il mio modesto parere intorno al nuovo regolamento dissi che: salvo insignificanti dettagli ed un piccolo neo del quale avrei parlato più innanzi, esso è riuscito, dirò così, perfetto perchè risponde per forma e sostanza allo scopo che si voleva raggiungere.

Dei piccoli ed insignificanti dettagli non essendo il caso di parlarne perchè costituiscono lievi questioni di forma e perchè le autorità incaricate di riferire ad esperimento finito non mancheranno di segnalarli, colle relative proposte, vediamo ciò che a mio modo di vedere costituirebbe un neo:

A pag. 1 nella premessa è detto che:

«Tutto ciò che non ha relazione coll’impiego in guerra deve essere escluso dall’insegnamento.»

Ammesso che questo principio non si possa, nè si debba discutere, è certo che il nuovo regolamento è riuscito quanto di meglio si poteva desiderare, tecnicamente parlando.

Ammesso, però, che si possa discutere, contrapponendovi l’altro che lo scopo primo della guerra è la vittoria, la quale non si consegue colla sola abilità tecnica, ma con molteplici altri fattori, primo fra i quali il sentimento profondo della disciplina, il nuovo regolamento presenta una lacuna, quella, cioè, di aver fatto astrazione di quanto può servire a mantenere la recluta in un ambiente nel quale ogni atto contribuisca, di pari passo coll’educazione morale, a far nascere e sviluppare quel supremo fattore.

La lunga pratica col soldato mi hanno convinto che il vero sentimento della disciplina non penetra nelle masse che in minima parte colla lettura dei regolamenti, i discorsi e l’esempio, ma nasce e si sviluppa col progressivo svolgersi delle istruzioni tecniche affermandosi profondamente quanto più profonda è la convinzione che viene dall’abito di vedere in ogni atto, consiglio, suggerimento o rimarco di chi fa l’istruzione, non il pedagogo, ma un’autorità superiore di natura ben differente da quella conferita agli insegnanti in genere ed alle autorità, che si apprende a rispettare da cittadino.

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Ora, dato e concesso ottimo il principio di far sempre l’istruzione individuale e l’altro, non meno ottimo, di lasciare che la recluta rifletta prima di eseguire ciò che insegna l’istruttore, sembra a me che se non si introdurrà nel regolamento definitivo qualche temperamento al detto principio, l’istruttore finirà per diventare un po’ troppo pedagogo e un po’ poco soldato.

Per questa ragione proporrei (pur lasciando intatto il sistema di far sempre l’istruzione individuale e l’altro di lasciare che la recluta rifletta sul da farsi) che l’istruttore faccia, a periodi, una breve ripresa a comando, una ripresa, dirò così, riassuntiva di quanto la recluta ha appreso in settimana.

Detta ripresa, che dovrebbe essere brevissima, ma fatta con energia, oltre allo scopo di abituare l’occhio alle distanze, l’orecchio ai comandi e la mente ad una maggiore attenzione, rappresenterebbe il Ricordati che sei soldato dopo la paziente e paterna lezione individuale, un po’ borghese, per quanto indiscutibilmente più proficua di quella nervosa a comandi di altri tempi.

Erba Pio Cesare

Tenente colonnello lancieri Vittorio Emanuele II.


Note

  1. Quanta ragione avessi di scrivere quell’opuscolo lo dimostra il fatto che ancora oggi non è da tutti ben compreso il principio d’iniziativa e da molti viene interpretato nel senso di sottrarsi all’autorità dei regolamenti e qualche volta anche all’autorità di chi ordina.
  2. L’equitazione è e sarà sempre un’arte.
  3. È sempre degno di rispetto e di studio un regolamento al quale dobbiamo in gran parte l’attuale lusinghiero sviluppo morale e tecnico della nostra arma.
  4. Anche le difese del maremmano?
  5. L’importanza della frusta era tanto riconosciuta che esisteva una vera scuola dalla quale si apprendevano tutte le raffinatezze dell’impiego, dal semplice movimento della punta che striscia sul terreno, al colpo delicato che con vera maestria andava a colpire dritto quel punto dell’anca o della spalla che accennava a voler sottrarsi o disturbare l’armonia generale dei movimenti.
    Si apprendeva infine a servirsene con criterio e discernimento a scopo di addestramento e raramente come castigo o pungolo come si vorrebbe ora.