Rivista di Cavalleria - Volume VII/V/Ancora e sempre non esageriamo

Pio Cesare Erba

Ancora e sempre non esageriamo ../Attraverso il mondo ippico (Leggende, profili e bozzetti) ../Il cavallo nella leggenda nordica e in quella orientale IncludiIntestazione 27 luglio 2012 25% Da definire

V - Attraverso il mondo ippico (Leggende, profili e bozzetti) V - Il cavallo nella leggenda nordica e in quella orientale
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ANCORA E SEMPRE NON ESAGERIAMO




Chiunque abbia letto il lavoro originale e coscienzioso del tenente Caprilli, sull’equitazione di campagna, avrà dovuto convincersi una volta di più che il Caprilli non è solo un distinto e brillante cavaliere, ma altresì un profondo conoscitore delle teorie e raffinatezze che informano il sistema d’equitazione che egli coltiva con tanto amore e perseveranza.

Analizzando però quel lavoro serenamente, senza lasciarsi, cioè, trasportare da quello stato morboso di suggestione al quale si ispira troppo sovente la critica in arte, sorgono spontanee due domande:

1° Saranno le teorie esposte dal Caprilli così facili, semplici ed attuabili come sembra a tutta prima?
2° L’intero sistema risponderà alle molteplici esigenze ed allo scopo che si propone l’equitazione militare?

A scanso di equivoci mi affretto a dichiarare che non intendo menomamente di voler mettere in dubbio la bontà delle teorie esposte e tanto meno l’utilità che ne potrebbe derivare all’equitazione di campagna quando fossero da tutti ben comprese ed altrettanto bene applicate.

Anzi, affinchè non vi sia chi mi fraintenda, chiarirò anche meglio la mia idea aggiungendo che il Caprilli ha pure il merito d’aver saputo mettere sotto forma semplice e, dirò così, popolare, teorie che non saranno invece tanto semplici, attuabili ed alla portata delle intelligenze comuni, come egli vuol dimostrare per far trionfare un sistema che, nella pratica applicazione, urterà invece contro scogli non facili a superarsi.

E il fenomeno si spiega facilmente perchè il Caprilli, dettando il suo lavoro, ha dimenticato che egli appartiene alla classe degli specialisti o meglio ancora dei virtuosi, in arte, i quali, dotati da natura di [p. 503 modifica]requisiti ed attitudini eccezionali, possono impunemente trascurare, nonchè violare, elementi che la massa non può nè trascurare, nè violare, ma possedere saldamente per raggiungere quell’aurea mediocrità che da essa si richiede.

Premesso ciò, premesso che non ho intenzione alcuna di discutere il valore tecnico delle teorie nelle quali il Caprilli è maestro, e premesso, infine, che nessuno è più di me convinto dell’utilità somma di dare il massimo sviluppo all’equitazione di campagna, concluderò col dire che, ad onta delle ottime teorie, degli aurei consigli e delle grandi verità contenute in tutto il lavoro, il sistema, preso nel suo complesso, se risponde egregiamente come sistema d’equitazione di campagna, non risponde, che in parte, allo scopo cui tende l’equitazione militare.

Perchè, mi si chiederà, non dovrebbe rispondere allo scopo un sistema che contiene ottime teorie nelle quali l’autore è maestro?

Non risponde pel semplicissimo fatto che il vero scopo dell’equitazione militare non è quello dal quale il Caprilli è partito e sul quale si è basato per dettare le sue eccellenti teorie sul modo di andar bene in campagna.

Infatti: che cosa dice il Caprilli per giustificare la completa rivoluzione che vuol portare nel sistema in vigore?

Quale concetto si è fatto circa lo scopo dell’equitazione militare e del fine ultimo della cavalleria?

Vediamo:

A pagina 1 egli dice1: «andar bene in campagna — ecco lo scopo dell’equitazione militare».

A pagina 5 per chiarir meglio il suo concetto e perchè non sorgano equivoci sulla parola campagna egli aggiunge che: «il fine ultimo della cavalleria è l’equitazione di campagna».

Ma è proprio vero che lo scopo dell’equitazione militare è l’andar bene in campagna e il fine ultimo dell’arma di cavalleria è l’equitazione omonima?

Lo scopo vero, lo scopo unico al quale tende, presso tutti gli eserciti, l’equitazione militare è quello di formare un combattente a cavallo ossia di plasmare in pochi mesi un cavaliere capace di esplicare qualsiasi atto individuale e collettivo in guerra e il fine ultimo di tutte le cavallerie è quello di esplorare, manovrare e combattere a cavallo. [p. 504 modifica]

Se questo è e deve essere lo scopo dell’equitazione militare, la quale ha per fine ultimo di formare della buona cavalleria e non già che la cavalleria abbia per fine ultimo l’equitazione di campagna, io dico che l’equitazione di campagna sarà la più importante ausiliaria per raggiungere il nostro scopo, ma nulla più che un’ausiliaria dell’equitazione militare e l’ottimo sistema Caprilli nulla più che un’ottima guida per ufficiaii ed istruttori intelligenti.

Certo a nessuno passerà mai pel capo di voler negare che l’andar bene in campagna non sia il migliore dei requisiti pel cavaliere militare e che, per logica conseguenza, l’equitazione di campagna non sia la branca più importante dell’equitazione militare, ma erigerla a scopo e fine ultimo della cavalleria, via: non esageriamo!

Dì ciò che avverrà nelle guerre future e a quali nuovi e straordinari compiti sarà chiamata la cavalleria, nulla si sa, fin’ora, che possa giustificare una completa rivoluzione nei principi d’equitazione giudicati e ritenuti fino a ieri indispensabili a formare il cavallo e il cavaliere militare.

Una cosa sola si sa di certo ed è che qualunque sia il genere di guerra e il teatro nel quale sarà chiamata ad esplicare la sua azione, la cavalleria dovrà, come già dissi, esplorare, manovrare, combattere; tutte cose che se richiedono un più largo ammaestramento in campagna, che non pel passato, non escludono che cavallo e cavaliere debbano saper far fronte a tutte le esigenze ed a svariati casi di combattimento, di fronte ai quali l’equitazione di campagna pura e semplice è assolutamente insufficiente.

Si semplifichi pure tutto quanto è ancora possibile semplificare a prò della campagna, ma altro è il semplificare e ben altro il distruggere di sana pianta tutto un passato e persino i più elementari principi sui quali si è sempre basata l’equitazione di tutti i tempi, presso tutti i popoli che vivono col cavallo, e conservati, anche oggidì, nei regolamenti di tutte le cavallerie d’Europa.

Altro è il semplificare e ben altro l’abolire le poche discipline che la recluta dovrebbe imparare perchè, diventata a sua volta soldato anziano, possa impartire ai puledri quell’elementare istruzione necessaria a renderli nel fisico, nel carattere e negli atteggiamenti un po’ migliori di quello che non sieno allo stato libero o semi libero.

Dico: un po’ migliore, perchè, con buona pace di chi si nutre di illusioni su certe qualità del cavallo, è bene ricordare che se gli archibugi sono andati man mano trasformandosi in istrumenti di guerra [p. 505 modifica]così perfetti che basta imparare il modo di servirsene per ottenere risultati sorprendenti, il cavallo, invece, per quanto stallino, è sempre rimasto quell’animale dal quale non si può ricavare un certo profitto se non dopo una conveniente preparazione rappresentata da una moderata ginnastica che modifichi movimenti e forme che in natura non rispondono a quelli che si richiedono in un cavallo di guerra.

Ora, se gli elementarissimi movimenti ginnastici che si insegnano al soldato di fanteria hanno la virtù di ridurre un pesante e sconnesso contadino in un leggiero ed armonico fantaccino, leggerezza ed armonia che si traduce nel camminar bene e combattere meglio, o perchè, domando io, si dovrebbe abolire quella elementare ginnastica rappresentata da un po’ di piego e da pochissime discipline ritenute fin qui indispensabili a trasformare un pesante e sconnesso puledro in un più leggiero e armonico cavallo?

Si dia pure il più largo sviluppo all’equitazione di campagna, ma subordinare un intero sistema d’equitazione militare alle sole esigenze dell’andar bene in campagna, abolire anche la più elementare preparazione del puledro col pretendere che il cavaliere, nonchè seguire, ne assecondi le naturali tendenze, è un voler disconoscere il principio consacrato da tutti i regolamenti che il cavaliere deve essere padrone del proprio cavallo per averlo: pronto, docile, maneggevole in ogni circostanza.

Sarei davvero curioso di vedere un piccolo esperimento in proposito per toccare con mano i risultati che, dopo un anno, darebbe una rimonta qualora si addottasse il sistema di abolire tutto per seguire solo gli istinti naturali, l’indole, cioè, il carattere, i movimenti e gli atteggiamenti così carini dei nostri maremmani, quando giungono al corpo.

E dico: abolire tutto perchè se non ho mal compreso parmi aver letto a pagina 2 del lavoro di Caprilli che:

«Si deve tendere ad avere il cavallo quale è in natura; con naturale equilibrio; con naturale posizione di testa».

Che val quanto dire: niente snodamenti, niente correzione d’appiombi, niente spostamenti, niente andature regolari (e quindi niente cadenze) ma inforcare il cavallo quale è in natura è: via per la campagna dove si cercherà di assecondare: tendenze ed atteggiamenti naturali.

Il sistema non potrebbe essere più semplice se il nostro puledro2, [p. 506 modifica]specie il maremmano, non fosse così..... composto da far impallidire i più arditi ed esperti butteri delle nostre maremme.

Non potrebbe essere più semplice se il naturale equilibrio consentisse al puledro di sopportare un peso di oltre cento chilogrammi, schiacciato fra le righe, od incolonnato, ad andature di cadenza prescritta e quindi artificiali.

Non potrebbe essere infine più semplice se la naturale posizione di testa permettesse di poter far fronte a tutti i casi nei quali il cavaliere, coll’armi in pugno e la mano sinistra, più alta due palmi circa di quanto insegna il Caprilli, dovrà fare appello a quell’arrendevolezza che invano si cercherebbe nei cavalli educati a mantenere la naturale posizione di testa.

Ma di tutto ciò il Caprilli non si preoccupa e in appoggio al suo sistema si limita a dire che lunghi anni di pratica e continua osservazione lo hanno convinto che: docilità, tranquillità, arrendevolezza etc. si ottengono dal puledro col solo esercizio razionale e continuo in campagna.

Nessuno, e tanto meno io, vorrà contestare l’esperienza ben nota e incontrastata dell’autore, ma trattandosi di esaminare un nuovo sistema contenente teorie che tendono ad annientare tutto un passato, in fatto anche di addestramento del puledro, importerebbe di sapere con quali cavalli abbia fatta la lunga pratica, o se abbia fatti esperimenti collettivi.

Ad ogni modo un sistema di equitazione militare, non può avere per sola base i dettami dell’esperienza che eccelle nel conoscere a perfezione l’arte d’andar bene in campagna, ma deve pure fondarsi su altri elementi: perchè un regolamento militare, anche semplicemente d’equitazione, bisogna che rappresenti la somma di infinite esperienze, osservazioni e studi fatti in armonia con tutte le branche dello scibile militare.

E come le esigenze tattiche e logistiche rendono necessario il prescrivere cadenze nelle andature, che non sono quelle naturali, e le esigenze dell’equipaggiamento una posizione dei pugni, che non è quella che insegna il Caprilli, così, esigenze di rimonta, di reclutamento, di armamento ed altre possono rendere necessaria la modifica o la totale rinuncia di teorie, o interi sistemi, ritenuti utilissimi nel campo dello sport.

Se così non fosse qualunque esperto tiratore al piccione, si crederebbe in diritto di prescrivere regole per l’efficacia del fuoco di fanteria. [p. 507 modifica]

L’esperienza, dice ancora il Caprilli, l’ha portato a concludere che bisogna abolire tutto a pro della campagna e del sapersi presentare al salto, ma non dice se a questa conclusione ha dovuto venire perchè l’esperienza, o la lunga pratica, gli ha dimostrato che in guerra ogni atto individuale o collettivo si svolgerà sempre attraverso la campagna irta di ostacoli.

L’esperienza invece, di noti autori, anche contemporanei e vecchi soldati, è lì a dimostrare che se noi potremo sempre gettare alla campagna pattuglie e piccoli nuclei, perchè troveranno facilmente un varco anche attraverso i grandi ostacoli che l’industria, l’agricoltura e il commercio ha seminato ovunque, le grandi masse dovranno pur sempre tornar sulle strade salvo, nell’imminenza dell’attacco, a tendere istintivamente in plaghe di terreno dove, ben più che all’abilità nel superare fossatelli e burroncini, che tutti voleranno, trascinati dai capi, si dovrà all’abilità manovriera il rapido spiegarsi e il fulmineo piombar sull’avversario.

E se è vero altresì che pattuglie e piccoli reparti batteranno la campagna in tutti i sensi perchè solo attraverso la campagna sarà loro possibile gettarsi sui fianchi e a tergo dell’avversario per spiarne le mosse, non è men vero che in avvenire, forse più che pel passato, accadrà loro, nonchè sulle strade, dentro villaggi e borgate, di scontrarsi con nuclei avversari e combattere quella breve, caratteristica lotta dalla quale escirà sempre vittorioso il cavaliere che avrà cavallo agile, destro e maneggevole più di quanto non sia il cavallo addestrato col sistema di assecondarne le tendenze naturali.

Sì, lo ripeto e lo ripeterò fin che avrò fiato che l’equitazione di campagna sarà sempre la più importante branca dell’equitazione militare, ma non formando essa, da sola, il combattente a cavallo, non giustifica la completa rivoluzione che il sistema Caprilli porterebbe negli attuali regolamenti d’equitazione e tanto meno giustifica l’abolizione di elementi che tutte le cavallerie d’Europa conservano come base dell’istruzione del cavallo e del cavaliere.

Ciò detto per dimostrare che l’equitazione di campagna non è lo scopo dell’equitazione militare e tanto meno il fine ultimo al quale tende la cavalleria, ma solo un mezzo importantissimo per raggiungere bene e presto il vero ed unico fine della cavalleria che è quello di combattere e far della tattica a cavallo, vediamo se sia o no esagerato l’asserire che le ottime teorie Caprilli riusciranno meno [p. 508 modifica]semplici di quelle attualmente in vigore e che l’intero sistema urterà contro scogli non facili a superarsi.

Per quanto riguarda le teorie potrei, esaminandole partitamente, far toccare con mano che non sono così facili e semplici come con tanta facilità e semplicità furono esposte dall’autore, il quale, per le sue qualità speciali, per gli studi fatti sopra tipi di cavalli differenti e per l’abilità nel ricavare dal cavallo ciò che vuole colla più semplice azione, ha finito per persuadersi che altri possa fare altrettanto alla sola lettura dei suoi consigli e suggerimenti.

Del resto lo stesso Caprilli mi dispensa dal voler più oltre dimostrare che le sue teorie non sono sempre facili perchè, giunto ad un certo punto del suo lavoro, ne è così persuaso egli stesso da sentire l’assoluto bisogno di dichiararlo.

Egli dice infatti a pagina 21: «Quello che sto per dire non può certo essere appreso dal soldato, ma lo deve però essere dall’istruttore», dichiarazione questa che non ha bisogno di schiarimenti a conferma di quanto ebbi a rilevare più sopra che, cioè, le ottime teorie Caprini saranno un’utilissima guida per ufficiali ed istruttori intelligenti ed appassionati.

Dico intelligenti, perchè il mettere in pratica le giustissime prescrizioni sul da farsi: prima, durante e dopo il salto, non è cosa che si possa pretendere neppure da tutti gli istruttori.

Guai se tutti coloro che si presentano al salto dovessero preoccuparsi di tutte le raffinatezze descritte a p. 25, col l’aggravante di dover portare il cavallo all’ostacolo ad un’andatura che l’allievo del sistema Caprilli non dovrebbe conoscere affatto perchè a pag. 24 dice «andatura cadenzata». Ora, le andature cadenzate non sono quelle naturali e per cadenzare bisogna pure che il cavaliere ed il cavallo abbiano appreso un pochino di quell’equitazione che si vuole abolire, distruggere o tenere in conto di dannosa.

Per quanto poi riguarda la truppa la mia non breve pratica di trentaquattro anni di servizio in cavalleria mi ha convinto che tranne i salti d’elevazione superiori al prescritto, quali si fanno in pubblici esperimenti da sott’ufficiali, cavalieri scelti o specialisti con cavalli provetti, è meglio che il soldato vada all’ostacolo, dirò così, incosciente, coll’intima convinzione, cioè, di dover fare niente altro che un tempo di galoppo un po’ più lungo ed elevato dell’ordinario.

E questa convinzione, oltre che essere giustificata dal fatto che in campagna il soldato non si accorgerà neppure di fare un salto per su[p. 509 modifica]perare le piccole siepi, i tronchi d’alberi e i monticelli di terra o di pietre che incontrerà manovrando, anche di galoppo, vi è l’altro che, come dice l’eccellente regolamento austriaco, non saranno gli ostacoli d’elevazione quelli che dovremo superare in campagna.

Concludendo, a me pare che l’istruttore non dovrebbe insegnare al soldato che due sole cose e cioè: modo di dirigere il cavallo al salto e non incontrarlo sulla bocca, specie dopo saltato; abituando i cavalieri ad accarezzare il cavallo.

Ciò detto per incidente, e non certo per voler insegnare ad alcuno, e dispensato, come abbiamo visto a pag. 21 del lavoro Caprilli, dall’obbligo di analizzare le teorie per rilevarne le difficoltà di fronte alle teorie dei vigenti regolamenti, vediamo qual’è uno degli scogli contro il quale, parmi, dovrebbe urtare il sistema qualora, anzichè considerarlo come utilissima guida per la scuola di campagna, si volesse elevarlo a sistema d’equitazione militare.

1° Tutto il sistema Caprilli è basato sul principio che dopo i primi quindici giorni, durante i quali le elementari teorie sono unicamente ispirate pro campagna, si debba lasciare il maneggio e che dal sedicesimo giorno la campagna diventi la sola ed unica palestra per qualsiasi esercizio d’equitazione.

E sta bene, perchè solo in tal modo è possibile raggiungere lo scopo di fare un perfetto cavaliere di campagna che non abbia altra preoccupazione che quella d’andar bene in campagna.

Ma, dato e non concesso, che questa debba essere l’unica nostra preoccupazione, non è male l’aver presente che in Italia non è possibile sortire da un quartiere senza incanalarci su strade brecciate, fangose o polverose, e che un’istruttore il quale volesse sbizzarrirsi ad attraversare un campo non seminato o calpestarvi una carota si attirerebbe tali noie e fastidi da far passare qualsiasi velleità in proposito anche al più appassionato sportman.

E dato pure che noi si avesse tale dovizia di campagna da calpestare impunemente i dodici mesi dell’anno, non credo fuori luogo il ricordare che in paesi dove la campagna utile allo sport è, si può dire, il terreno normale di manovra, perchè brughiere, steppe e praterie sono alle porte dei quartieri, non si è affatto sentita ancora la grande utilità di abolire completamente l’equitazione di maneggio, quell’equitazione, cioè, che unitamente all’ardire e slancio appresi all’aperto, conferisce al soldato quel grado elementare di sentimento e tatto, col cavallo, indispensabile al cavaliere combattente. [p. 510 modifica]

2° Col sistema Caprilli si dovrebbe insegnare al cavaliere la stessa posizione di pugni che usano comunemente gli sportmen alle caccie e cioè (pag. 10) «fermi lateralmente al garrese».

Ma, domando io, quale posizione dovrà tenere il giorno che, armato di tutto punto, entrerà nelle righe col carico sulla sella ed il mantello che gli impedirà di tenere la posizione che avrà tenuto scrupolosamente fino alla vigilia di quel giorno?

Una delle due: o dovrà crearsi, lì per lì, una posizione tutta nuova a suo piacimento, o dovrà fare lo sforzo di scavalcare col braccio sinistro l’ostacolo che presenta il mantello per mantenersi in una posizione faticosa, goffa e a tutto detrimento del buon uso delle armi.

3° Col sistema Caprilli si vuole che il cavallo resti quale è in natura, coi suoi appiombi naturali e le sue andature naturali.

Come combineremo le andature naturali colle cadenze prescritte e sulle quali tanto si insiste ogni giorno presso di noi e presso tutte le cavallerie?

Mi si dirà che il Caprilli insiste sulle andature naturali nel senso di voler abolita qualsiasi andatura artificiale ottenuta colla riunione.

E sta bene, ma per ottenere una cadenza uniforme fra tanti tipi di cavalli differenti per razza e costruzione sarà pur necessario ottenere anzitutto un’andatura uniforme.

Ora è ovvio il dimostrare che un’andatura uniforme non si potrà mai avere senza una preparazione, per quanto elementare, che corregga gli appiombi naturali e modifichi, per conseguenza, quell’equilibrio naturale che, fra tanti tipi diversi, non potrebbe dare l’uniformità necessaria a poter poi stabilire le varie cadenze.

Ciò posto: dovremo abolire le cadenze, o dovremo mantenere quelle poche discipline ginnastiche rappresentate da elementari flessioni e spostamenti che nessun regolamento d’equitazione militare ha trovato utile di abolire finora.

4.° Il sistema Caprilli, basato sul principio di mantenere il cavallo quale è in natura, con appiombi, equilibrio e andature naturali, non vuole: nè appoggi, nè spostamenti di sorta perchè sono movimenti che richiedono, se non la completa riunione, almeno quella certa armonia fra cavallo e cavaliere che prelude alla riunione.

Se così deve essere, come potremo noi pretendere che in manovra i perni e le seconde righe facciano quanto è prescritto?

5.° Col sistema Caprilli si vorrebbe abolire il morso.
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Si abolisca pure, ma quale altro ordigno abbiamo noi in pronto da sostituire all’attuale freno?

E avendolo, non sarebbe meglio attendere che altri ne faccia, prima di noi, la problematica esperienza che ci permetta di rilevarne i pregi e i difetti avanti d’impegnarsi in una così radicale riforma?

6.° ed ultimo. Il sistema Caprilli, messa la recluta a cavallo, insegna che tirando colle redini si gira e che aiutando colle gambe si mette in moto il cavallo.

La teoria non potrebbe essere più semplice e naturale, come è semplice e naturale che un bambino, una volta imparato a premere il grilletto d’un fucile faccia partire il colpo perchè vi è chi ha pensato a ridurre il meccanismo di scatto più o meno pronto e perfetto.

Ma perchè il cavallo giri al solo sentirsi tirare dalle redini e si metta in moto per la sola pressione delle gambe, bisogna che a guisa del meccanismo di scatto risponda all’azione della mano e della gamba, che abbia, cioè, imparato a girare e partire con quell’invito convenzionale, ma riconosciuto finora come il più semplice ed utile pel soldato di fronte ad altri ben noti.

Dovendo ammettere questo fatto come assioma ed essendo noto a tutti che il cavallo, com’è in natura, se risponde, per paura, alla frusta, non risponde alla mano, come vogliamo noi e tanto meno alla gamba sulla quale, anzi, si appoggia fortemente, bisogna ammettere che qualcuno prima della recluta abbia montato, educato ed istruito quel cavallo a rispondere alle nostre convenzionali chiamate.

Chi è che avrà montato, educato e istruito questo cavallo se non la recluta diventata a sua volta soldato anziano?

E se questo soldato anziano dovrà, mi si permetta il paragone fabbricare e accordare l’istrumento cavallo come si fabbrica e si accorda un violino perchè la recluta ne possa cavare dei suoni e non delle stonature, come farà se non avrà mai avuto la più piccola nozione sul modo di fabbricare un istrumento così delicato qual’è il cavallo che oltre allo stonare, se male accordato, può mettere a repentaglio la vita di chi lo suona?

Chiudo mandando un bravo di cuore a quanti volonterosi come il Caprilli consacrano fatiche e studi ai maggiore incremento della nostra arma. Ricordo, però, a coloro che si affannano a proporre innovazioni, che, in Italia, da oltre un trentennio non si è fatto che abolire per [p. 512 modifica]tutto ripristinare: dalle bandiere ai tamburi, e che non mi meraviglierei di vedere, coi tamburi, ripristinata almeno un pochino di quella vecchia equitazione che non impedì alla cavalleria di attraversare vittoriosa tutti i campi d’Europa compiendo gli atti più audaci che la storia registri ad onore ed esempio di quest’arma, raggiungendo, anche nel campo tattico, un tale grado di potenza da giustificare che vi sia chi spezza ancora una lancia in favore di almeno uno dei principii sui quali si fondava essenzialmente quell’equitazione, sul principio sommo, cioè, di fare del nostro cavaliere: un combattente a cavallo.

Erba Pio Cesare

Tenente colonnello lancieri V. E. II (10°).


Note

  1. Le pagine che andrò man mano citando si intendono riferite al lavoro del tenente Caprilli sull’equitazione da campagna.
  2. Montato com’è in natura.