Ricordi delle Alpi/Parte Seconda/XIII

XIII. La Sovenda

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XIII.

La Sovenda.

Non vo' tacere al lettore una specialità di quest’umilissima terra.

Dal Prospetto storico, politico ed apologetico del Governo della Valtellina e delle sue costituzioni fondamentali, traggo quanto segue:

«Nel 1487 i Grigioni vulturrenam prædabundi, come dice Benedetto Giovio, sbucarono [p. 132 modifica] dalle loro Alpi, e per la parte del contado di Bormio assalirono la Valtellina saccheggiando, depredando e bruciando inumanamente le terre e i borghi; ma, giunti a Cajolo e azzuffatisi colle genti del Duca di Milano, condotte dal medesimo Lodovico e da Renato Trivulzio, ebbero per migliore di venire ad un accordo e pace, per cui li Grigioni, al dire dello Sprecher medesimo, loro storico, rinunziarono ad ogni pretensione sopra la Valtellina, sborsati loro quattordicimila fiorini d’oro, e con la cessione del transito delle merci e della valle di Poschiavo; la quale cessione è però contraddetta da tutti gli altri storici, nè v’ha documento legittimo che lo provi.»

La pace dunque stipulata l’anno 1487 in Cajolo è, credo, il fatto unicamente importante nella storia di questo paesello, di cui ormai non ho taciuto nulla.

Per compiere, dirò così, la narrazione locale, esporrò ancora quanto mi fu narrato da un bravo boscajuolo, che si trattenne più tardi a favellare con noi, a proposito delle sovende che si costruiscono nella valle all’epoca di qualche taglio boschivo, massime chè tali lavori sono quasi una specialità di Cajolo, stante le folte e produttive boscaglie della valle del Livrio. [p. 133 modifica]

Si deve distinguere fra suolo e sovenda: questa indica una via o sentiero ghiacciato per isdrucciolamento; quello un sentiero o via a superficie di tronconi d’alberi longitudinali per lo identico scopo.

È regola generale, di scienza e di pratica, che il taglio delle piante conifere sia fatto in primavera, chè essendo esse in sugo, più facilmente si riesce a spogliarle della loro corteccia, evitando con la nudità del tronco ogni perniciosa azione del tarlo, e scemando di molto le difficoltà degli attriti per lo scivolamento.

I legnaiuoli sogliono ridurre que’ tronchi a una lunghezza ordinaria di cinque, sei od otto braccia, e lasciarli sino al settembre o all’ottobre a stagionare sul luogo, donde poi li spingono a valle per mezzo del suolo o della sovenda.

La sovenda, a darne più compiuta spiegazione, non è che una via temporanea della larghezza di circa un metro, che si stende in un declivio del due per cento dal limite inferiore del bosco, ove ebbe luogo il taglio, al piano della valle, in cui importa tradurre il legname; sulla superficie della quale formasi per acqua piovana, o spàrsavi a posta, o per neve, una forte stratificazione di ghiaccio, che favorisce mirabilmente lo sdrucciolamento de’ legnami dall’alto al basso. [p. 134 modifica]

Questa via è senza interruzione fiancheggiata da tronconi stesi longitudinalmente e fissi con adatti piuoli, confitti a convenevoli distanze nel terreno.

Il suolo, all’opposto, varia dalla sovenda in questo, che la superficie di lui è intieramente formata di tronconi d’alberi della lunghezza ordinaria di quasi otto braccia, collocati per lungo. Le sponde o fianchi di questa seconda via sono in tutto uguali a quelli della sovenda: nullameno il suolo viene costrutto in valli o luoghi posti a solatio, dove non vi essendo il beneficio del gelo, lo scivolamento del legname non sarebbe possibile in veruna maniera. Onde, per ivi agevolare la caduta de’ tronconi, appositi operai sogliono quasi sempre versare acqua su’ differenti punti della superficie.

Ecco perchè si costruisce sempre la sovenda in valli fredde, in luoghi di tramontana, cioè per mantenerne continuo la superficie gelata ed uguale, a cui devono pensare i borrellaj, giornalieri intesi a facilitare lo sdrucciolamento delle borre, o pezzi di legname, nelle sovende e ne’suoli.

In certi anni, quando la stagione invernale smette anzi tempo l'ordinaria sua rigidità, per non perdere il vantaggio del gelo, lavorasi di notte, e meglio se splenda la luna, [p. 135 modifica]allo scivolamento dell’accattastato legname. E allora sono scene fantastiche, degne di queste alpine regioni!

Cessato del tutto il lavoro, cotesta via temporanea viene distrutta, rotolandosene al basso, man mano che si procede, i tronconi, ond’è composta.

I legni accatastati nella valle sono poi scelti da’ compratori secondo le varie loro qualità, e in parte tradotti sul luogo in tavole mercè apposite seghe ad acqua, o spediti altrove; in parte destinati a usi d’arte e d’industria, secondo gl’interessi degli speculatori.

Gli operai o borrellaj, come quivi li dicono, che a giuste distanze stanno a guardia della sovenda o suolo, vengono per lo più da poveri comuni della provincia, costretti a migrare gran parte dell’anno in cerca di lavoro per procurarsi una meschina esistenza.

Vigorosi e probi, stanno paghi alla fatica di quei giorni, e non è rado udirne canti o canzoni, e rammentare la lontananza de’ loro cari.

Nè manca loro la poetica semplicità del costume! Un piccolo cappello di feltro annodato al mento; un giubbone scuro, buttato sopra le spalle; calzoni stretti a’ fianchi da una ciarpa di lana, verde o rossa, le cui nappe o fiocchi dondolano alla loro destra; [p. 136 modifica]e un’annerita pipa in bocca, che sembra lor necessaria a mantenerli di buon umore.

È bello vederli, questi boscaiuoli, a certe ore di notte accoccolati nella cavità d’uno masso sporgente, sotto il tetto d’improvvisate capanne, dinanzi pochi tizzoni accesi, la cui fiamma rossigna riflettendosi su’ volti loro, ne rivela le singolari espressioni, le diverse maniere e tipi. I discorsi volgonsi alle loro montagne, si aggirano sulle famiglie lontane, prendono esca dalle congetture ordinarie dei raccolti, e non cessano di colorire in modi strani quella loro vita tutta semplice e scabra.

Al tepore delle prime notti di primavera, quando il cielo fa pompa del suo bellissimo azzurro punteggiato di astri, o che la luna dietro qualche vetta acuminata spunta a salutare la valle con le argentee sue corna, queste scene meriterebbero d’essere ritratte dal pennello di Salvatore Rosa, — se umano pennello potesse ritrarle!

I borrellaj di guardia debbono avvertirsi l’un l’altro con voci di gergo tutte le volte, che la sovenda resti ingombra o libera di legnami, e quando lo sdrucciolamento dei pezzi si deve cominciare, sospendere o finire. Per esempio, quando deve cessare la spinta delle travi, gridano: Abau, abau! e quando [p. 137 modifica]il passo è libero e occorre avvisare che si continui, vociano: Carga, carga!

Se per avventura qualche curvo e mal formato troncone, precipitando, vada a sbalzi d’uno in altro fianco della sovenda, per evitare disastri e ripararsi al sicuro, pongonsi a gridare con quanto n’hanno in canna: La cavallina! la cavallina! — Telegrafia boscaiuola.

È una vita stenta, così tratta per intiere giornate, e in gran parte della notte. Nè è difficile trovare di quando in quando fra questi dirupi qualche deforme cadavere o infelice operaio tutto pesto dall’urto violento di un grosso troncone che, rapidissimamente sdrucciolando, per improvviso scontro sia sbalzato fuori della sovenda, apportatore d’irreparabile sventura. Poveri boscaiuoli!