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re giorni dopo, il signor procuratore del Re, commendatore Virginio, spiccava mandato di cattura contro la nominata Orsolina Marchisella levatrice approvata, che veniva tradotta immantinente sotto buona scorta alle carceri della Questura.

La ficcarono in un camerotto con due cortigiane, luna infanticida e l’altra assassina, già condannate, che ci stavano da due giorni aspettando d’essere trasferite al luogo di pena.

La levatrice, dopo l’imbroglio del marchese di Filadelfia, s’aspettava di essere arrestata, e aveva già formato in testa il suo bravo piano di difesa. [p. 250 modifica]

In quei giorni ella aveva fatto dei passi con un impiegato del Municipio, sezione Morti, per ottenere una fede di decesso del bambino della Lena; ma non c’era riuscita, quantunque ella promettesse mari e monti all’impiegato.

Ed ecco nella sua genuina verità l’interrogatorio a cui fu sottoposta poche ore dopo la sua cattura.

Dopo le generali, il giudice le domandò se poteva immaginarsi di che cosa fosse accusata; e naturalmente la signora Orsolina rispose di non saperlo.

Allora quegli cominciò a bordeggiarle intorno.

— La notte del 12 febbraio si ricorda lei a chi ha prestato assistenza come levatrice?

— Come potrei ricordarmi di quella data? Si può dire che io ero chiamata tutte le notti. Non saprei proprio dirglielo.

— Conosce lei una certa signora Elena Orsanicchio?

— Sì, la conosco - rispose la levatrice; e in cuor suo sclamò: Ahimè! andiamo male. [p. 251 modifica]

— Non si ricorda che la notte del 12 febbraio ella andò in casa dell’Elena Orsanicchio, la quale si sgravò d’un bambino?

— No, non mi ricordo.

— La consiglio pel suo bene a dire la verità, perchè, vede, se lei comincia a negare le cose più evidenti e più provate, ella va ad un rischio molto maggiore. Lei capirà bene che io ho la certezza che la Orsanicchio ha avuto un figlio, e lei potrebbe negarlo fino al di del giudizio, che la cosa non sarebbe meno vera per questo.

— Ma allora, se lei lo sa così di sicuro, perchè lo domanda a me? - disse la levatrice per prender tempo.

— Lo domando a lei non per sapere questo fatto, che fu già ammesso e confessato anche dalla madre, ma per sentire che fu lei la levatrice che l’aiutò a sgravarsi.

— Ma dunque anche la Orsanicchio fu arrestata? — domandò la signora Orsolina.

— Questa non è cosa che voi dobbiate sapere. Rispondete piuttosto alla mia domanda.

Eravate voi là presente alla nascita di quel bambino?

— C’ero - rispose la levatrice abbassando il capo.

— Conoscete voi un certo Angelo [p. 252 modifica] Tramagnini, impiegato municipale? — continuò il giudice, dopo aver dato un’occhiata al cancelliere, che stendeva il processo verbale.

— Lo conosco... sì, di vista.

— Soltanto di vista? Non gh avete mai parlato?

_ Sì, gli ho parlato qualche volta.

— In che occasione?

— Eh, sa bene! Lui è addetto alla sezione dei Morti, e io come levatrice sono qualche volta incaricata dai parenti di levare le fedi mortuarie dei loro bambini.

— Benissimo. E vi ricordate di avere parlato appunto con lui per avere una fede mortuaria del bambino della Orsanicchio?

— Io no! di questo non mi ricordo proprio.

— La si tiri bene in mente - disse il giudice, che un po’ dava del lei e un po’ del voi.

— No no, le dico che proprio non mi ricordo. E glielo domandi anche a lui; vedrà che lui dirà come me.

— E se invece lui dicesse tutto al contrario?

— È impossibile.

Il giudice stette qualche poco in silenzio, poi ripigliò:

— Capirete, cara la mia donna, che se non confessate questo fatto voi andate a un gran brutto rischio. [p. 253 modifica]

— Perchè?

— Perchè, siccome avete già confessato che il bambino della Orsanicchio è nato colle vostre cure, può nascere il sospetto che voi l’abbiate ucciso...

— Io ucciso? Oh Vergine Maria! Che cosa dice, signor giudice?

— Dico quello che risulta in processo. Dal momento che questo bambino è scomparso e che voi non ne avete notificato la morte e che essa non fu constatata dagli ufficiali del Municipio, la giustizia è obbligata a credere che voi l’abbiate ucciso e per coprire il vostro delitto non l’abbiate notificato.

La levatrice, a queste parole, fu presa da un grandissimo sgomento, e fra le lagrime si diede a protestare altamente della propria innocenza.

— Voglio crederlo benissimo - disse il giudice - nè io v’incolpo di questo: ma capirete bene, che, per difendervi meglio, non avete che a illuminare la giustizia e a dire schiettamente dove avete portato quel bambino.

Questo era il gran punto!

— Io le giuro, signor giudice, che non l’ho portato in nessun luogo.

— Ma allora dov’è andato a finire? [p. 254 modifica]

— Lo domandi a sua madre.

— Sua madre dice che l’avete portato via voi.

— E non potrebbe darsi, allora, che io lo avessi portato ai Trovatelli?

— No, perchè dai registri dei Trovatelli non risulta che voi ci abbiate portato un bambino, nè quella notte è entrato nell’ospizio una creatura che si possa credere il figlio della Orsanicchio.

La levatrice si vedeva stretta da ogni parte, come il cignale al momento dell’hallali.

Abbassò il capo e tacque.

— Dunque? Rammentatevi bene da chi foste chiamata in quei giorni, e confessate pel vostro meglio; altrimenti capirete che io non avrei a sospettare altro che un fatto, il quale vi potrebbe far andare ai lavori forzati per tutta la vita.

— Io sono innocente!

— Innocente dell’assassinio, lo credo anche io - disse il giudice - ma per provarlo dovete dire dove avete portato quel bambino.

La signora Orsolina capì che non c’era modo di cavarsela, e pur nicchiando ancora cominciò:

— L’ho portato in una casa.

— In che casa? Capirete che io pressapoco lo so dove potete averlo portato, giacchè [p. 255 modifica] io ho qui la nota dei bambini che furono battezzati in quei giorni in cui l’Orsanicchio si sgravò.

Un’idea luminosa attraversò la mente della signora Orsolina.

Il giudice continuava ad esortarla, perchè dicesse in che casa aveva portato il fardello vivente. Ella non rispondeva, perchè andava ruminando quella idea.

Finalmente rispose:

— L’ho portato in una casa in via... - E la nominò.

— Ohi vi abita?

— Una signora forestiera.

— Il suo nome?

— Ma il nome io non lo so.

— È impossibile. Tiratevelo bene in mente.

— La signora Ida Evanieff.

— Ah, finalmente! - sclamò il giudice, tirando un gran sospiro - Riposate un pochino, che poi continueremo. - E si volse al cancelliere per rileggere ciò ch’egli aveva scritto.

Poi si sdraiò, contento del fatto suo, nella sedia a bracciuoli, e tirò su per le canne del naso un’enorme presa di tabacco.

— Adesso bisogna che voi mi descriviate bene come avete fatto a portare il bambino dell’Orsanicchio alla signorina Evanieff. [p. 256 modifica]

Messa su questa via, la levatrice si trovo in salvo. Giacchè quello che a lei importava in quei frangenti supremi non era tanto di difendere sè stessa, che oramai si vedeva scoperta e non aveva modo di salvarsi, quanto di allontanare i sospetti della giustizia da casa Bocca-Serena. Ella sapeva che alla peggio se la sarebbe cavata con qualche annetto di carcere, ma che essi avrebbero fatto copertamente assai per salvarla; e pensava poi che il danno e la discrezione, in ogni modo, le sarebbero pagati splendidamente: e quasi benediceva alla sorte, che l’aveva messa nel caso di far nascere nella contessa e nel conte la riconoscenza.

Raccontò dunque al giudice la scena della notte, tal quale era passata nella camera da letto della contessa, come se quella camera da letto fosse stata invece quella della signorina Evanieff - l’amante del duca Raimondo Delpardo.

— E il duca dov’era quando voi facevate il trucco?

— Nella saletta attigua.

— Dunque non vide nulla?

— Entrò poco dopo e vide... vide gli effetti del parto... che io avevo preparati a dovere; prese il bambino in braccio, e poco dopo venne la balia, che egli aveva mandata a chiamare. [p. 257 modifica]

— E non sospettò nulla?

— Nulla.

— Ma stando nella stanza vicina e non sentendo la signora a lamentarsi..?

— Oh, caro lei, altro che s’è lamentata!

— Le avevate insegnata voi la commedia?

— Sissignore.

— E vi pare che ella abbia recitata bene quella parte, in modo che il duca ne potesse restare perfettamente illuso?

— Oh, sissignore! benissimo.

— E il bambino, poi, quando fu portato in chiesa?

— La sera dopo.

— E il duca lo accompagnò?

— Sissignore, e volle si dichiarasse esser lui il padre sui registri battesimali.

— Bene, per oggi basta così - disse il giudice istruttore - Andate pure.

Le guarche la ricondussero in carcere.

Il giudice, raggiante di gioia, corse all’ufficio del Procuratore del Re.

Due giorni dopo, accadeva l’arresto di Ida Evanieff, che riempiva di inenarrabile gioia gli avventori del caffè frequentato dall’agente di cambio e dagli altri valorosi giovinetti.