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a contessa Annetta Rocca-Serena stava facendosi far il giuoco delle carte da una vecchia megera nel suo dorato gabinetto, quando il servo le recò una lettera su cui stava un preme scritto in caratteri più grossi del vero, dicendole che il fattorino di piazza aspettava la risposta.

La lettera sonava così:


«Signora Contessa»

«Ho estremo bisogno di parlare con lei, per affare importantissimo che la riguarda. Dove potremmo trovarci senza dare sospetti? La mi dica l’ora che le accomoda e il luogo. [p. 238 modifica] C’è un tradimento in aria. Bruci subito questo biglietto.

«Orsola


La contessa diventò molto pallida e si morse le labbra. Piantò lì sola la vecchia e andò a cercare di suo marito, al quale fece leggere il minaccioso biglietto.

— Che ne dici?

— Rispondile subito.

— Ma dove ti pare che mi convenga di vederla?

— Nè qui, nè in casa sua, certo. Non hai tu un luogo... un’amica... un buco... dove poterla invitare?

— Sì, sì, - rispose risovvenendosi a un tratto l’ex-ballerina - lascia fare a me.

Andò alla scrivania di suo marito e scrisse due biglietti; uno di risposta alla levatrice, l’altro al contino Marignoni suo amante:


«Venite questa sera alle nove precise in via..., secondo piano, uscio a sinistra. Mi troverete sola ad aspettarvi. Bruciate subito anche voi.

«Contessa A.»


Al servo, che doveva rimettere il primo biglietto al fattorino di piazza, ordinò che [p. 239 modifica] desse a questo un franco di mancia. Quanto all’altro, gli ingiunse di volare a ricapitarlo.

Alle nove le due donne si trovavano l’una di contro all’altra nella stanza che serviva alla contessa di palazzina pei ritrovi adulteri.

La contessa c’era venuta vestita da pedina, con un gran velo in faccia, in un brougham ch’ella aveva pagato e congedato.

La porta era già chiusa. Ella aveva la chiave dello sportello e tanto di fiammiferi come un fumatore.

Aprì lo sportello, e si trovò nell’andito oscuro. La casa era senza portinaio e senza lume sulle scale. Ella aveva paura di stare al buio. Si fece chiaro coi cerini, montò le scale, accese una candela in camera, poi tornò abbasso ad aspettare la levatrice collo sportello a fessolino.

Le nove sonarono; una carrozza arrivo poco dopo, e la levatrice entrò nello sportello che fu ribattuto con forza.

Fecero le scale in silenzio una dietro all’altra. Quando furono ben chiuse nella camera, la levatrice cominciò: [p. 240 modifica]

— Lei conosce un certo marchese di Filadelfia?

— Marchese di Filadelfia? Io no.

— L’avrei scommesso! - sclamò la Marchisella giungendo le mani in atto di sconforto.

— Che è successo...? mi dica... presto! Non mi faccia penare.

— Non l’ha mai neanche sentito a nominare, forse?

— Io no, le dico, no. Che figura ha?

— Un bell’uomo, per questo! Capelli, baffi e pizzi biondi come un inglese.

— Niente, niente. Io non conosco che dei neri, o dei giovinetti senza barba.

— Ma come ha avuto allora il suo biglietto di visita?

— Oh che minchiona! - sclamò la contessa - Niente di più facile che avere un biglietto di visita di chicchessia. Io non ne faccio un grand’uso, ma, si sa, qualcuno a fine o principio d’anno lo mando anch’io. L’avrà trovato in casa di qualche mia amica...

— Ah, Dio Dio Dio! E il cuore me lo diceva di non fidarmi, me lo diceva!

— Come? Lei avrebbe raccontato, forse?..

— No, grazie a Dio, non ho detto nulla, nulla. Eh questo poi, diamine! Anzi ho negato sempre, e su questo egli non può avere [p. 241 modifica] dei dubbi, per parte mia. Ma gli e che egli si mostrava tanto sicuro della cosa... e diceva che fu lei stessa a svelargliela e a mandarlo da me per un affare consimile.

— Un biondo? Ma se io non ne conosco assolutamente, dei biondi!... Ah Cristo! Vuoi vedere che è lo zio di mio marito? Quello è biondo.

— Chi mai?

— Il marito di donna Brigida, il Trevisani.

— Mai più! Quello lo conosco! È un gentiluomo, incapace di fare la baronata che mi ha fatto colui.

Qui la levatrice raccontò per filo e per segno alla contessa quello che noi sappiamo, ma tacque della busta vuota.

A un tratto alla contessa venne in mente un sospetto, e non lo dissimulò.

— Non c’è pericolo - disse ella a un certo punto con petulanza - che questo non sia che una mena di lei per cavarmi nuovo denaro?

— Oh che cosa dice mai, signora contessa! gemè la levatrice con un accento impagabile di sincerità - lei mi offende! Quando mai io le ho dato motivo di credermi una briccona?

— Sì, sì, è vero! - sclamò Annetta convinta - È stata un’idea che mi è passata così... pel capo, ma non la credo capace... [p. 242 modifica]

— Io le giuro che se anche dovessero mettermi alla tortura, non confesserò mai che il bambino io l’ho portato a lei. Dio mi guardi!

— Ma appunto! - dissa la ex ballerina - se per caso la madre avesse a tradirci e a reclamarlo?

— La madre non sa nulla di nulla... Non ha interesse, del resto, a far sapere che per denaro ha ceduto suo figlio come una madre snaturata.

— Lo so, questo; ma se lei, mettiamo, dovesse andar compromessa, allora sarebbe pur necessario che la creatura saltasse fuori; altrimenti potrebbero credere che lei l’abbia uccisa, e la cosa si farebbe anche più grossa di quella che è.

— A questo ci si potrebbe pensare ottenendo una fede di morte.

— Dev’essere quasi impossibile ottener ciò.

— Eh cara lei, signora contessa! coi denari, si ottiene tutto al Municipio.

— Allora, per ogni evento, faccia subito i passi per ottenere questa fede di morte. Se possiamo aver questa in mano, restiamo tranquilli per tutta la vita tutti quanti.

— Mi ci proverò, ma, ripeto, per questo ci vorranno denari molti.

— Che importa? Lei sa bene che i denari [p. 243 modifica] non mancano, e mancherebbero, anzi, se si avesse a scoprire l’affare.

La contessa cavò il portamonete di tasca e disse:

— A buon conto, io, perchè prevedevo qualche cosa di simile, le ho portato un biglietto da cinquecento. Tenga, e faccia le cose per bene. Ma le raccomando di non abusare della mia liberalità.

— Cara signora contessa - fece la levatrice, respingendo la mano di Annetta - per dimostrarle che io sono sincera, comincio col non accettare nulla, giacchè per ora non merito un bel nulla. Quando avrò fatto i miei passi coll’impiegato municipale per ottener la fede di morte del bambino, allora le dirò quello che egli pretende e accetterò anche le sue grazie.

— Vedo che lei è una brava donna - disse la ex-ballerina rintascando il suo biglietto di banca - Ma chi può mai essere questo marchese di Filadelfia, biondo, co’ guanti chiari e un brillante di gran valore nella cravatta?

— Io già non l’ho mai veduto a Milano. E sì che conosco tutta l’aristocrazia....

— Ma era proprio di qua?

— Sì, sì, certo, perchè la pronuncia non può sbagliare; ma però c’era un qualche cosa di forastiero nell’accento. [p. 244 modifica]

— Cristo santo! - sclamò l’Annetta - vuoi vedere ch’egli era Stambecchi truccato in biondo?

— Stambecchi? E chi sarebbe questo Stambecchi?

— Il marito di mia zia, la contessa Rocca-Serena, che ha lasciata la sostanza a mio figlio, e che non porta nè baffi, nè pizzo, all’americana. Sicuro - prosegui, battendo palma a palma - è lui di certo: marchese di Filadelfia, perchè vien dall’America.

— Adesso capisco com’egli possa avermi detto di lei..! Ma è possibile ch’egli si sia mascherato così bene?

— Altro che possibile! Laggiù ha fatto anche il comico. Ora capisco anch’io certe sue uscite. Jeri, jeri appunto, mi fece un saltafosso portandomi i suoi saluti. Ah mariuolo!

— Ma se io non gli ho mai parlato!

— Appunto: un saltafosso. Oh, non può essere che lui.

— E come si fa?

— Non c’è da far nulla. Egli è troppo interessato a scoprire il terreno, e a coglierci in fallo. Non ci si può nemmeno arrischiare a trovar modo di persuaderlo che ci vuol acqua in bocca. Tranne che vedessimo che non si può proprio far a meno e che dovessimo [p. 245 modifica] dargli la sua parte intera... di eredità secondo il codice. A lei, già, posso dir tutto... perchè lei è come me.

— Ora dunque come devo comportarmi?

— Ma come pel passato, come sempre! Negare, negare, e negare, qualunque cosa avvenga. A provare la cosa già non ci riuscirebbe neanche Domineddio. Di mio fratello mi fido come di mio marito, perchè ha troppo interesse a non tradirci e a non tradire sè stesso. Fuori di noi tre non c’è che lei; e lei sa che io non guardo a spendere, e che ne ho tanti da darle, finchè ne è stufa.

— Dunque, per adesso, non c’è da far altro che star a vedere quello che succede? - domandò la levatrice.

— Ohe cosa crede che possa succedere?

— E lo so io? Lei mi capirà! Quand’io gli dissi che ci volevano ottomila franchi per avere la creatura da adottare, come dicea lui, non fiatò, e anzi mi disse che avrebbe creduto ci volesse molto di più. Mi capisce! Io promisi. Aveva un fare così da gran signore...! Cavò dei biglietti da mille... Chi non ci avrebbe creduto...? Ma ora che so ch’egli è un briccone, mi aspetto anche che egli sia andato a denunciarmi.

— Ma c’erano testimoni? [p. 246 modifica]

— Neanche per sogno.

— E allora tanto vale il suo sì di lui quanto il suo no di lei.

— È quello che mi disse anche lui, e io mi sono fidata e gli ho promesso che gli avrei trovato il marmocchio.

— Ora non si lascerà più vedere di certo, se è venuto per scavarla.

— Che cosa mi va mai a succedere!

— Bene, adesso, se non ha altro a dirmi, l’accompagnerò da basso e le aprirò lo sportello; così nessuno ci avrà vedute insieme.

Così fu fatto, e la levatrice se ne tornò a casa a piedi, come le accadeva spesso anche a tardissima notte, quando le toccava di correre pel suo ufficio.

Annetta, poco dopo la partenza della donna, ricevette il giovinetto amante, che aveva la sua controchiave in tasca, e stette con lui fin passata la mezzanotte, mentre il conte marito, dal canto suo, stava ubbriacandosi colla sua ganzerina nel gabinetto d’un restaurant democratico.

Evviva il matrimonio!