Quando il dormente si sveglierà/I. Insonnia

I. Insonnia

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II. La catalessi

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Quando il Dormente si sveglierà


Capitolo Primo.

Insonnia.

In un pomeriggio di bassa marea, il signor Isbister, un giovane pittore che trovavasi in villeggiatura a Boscastle, uscì coll’intenzione di fare un giro per la pittoresca baia di Pentargen. Giunto a metà della strada scoscesa che conduce alle grotte, si trovò improvvisamente in presenza di un uomo seduto sopra una roccia che cadeva a picco, in atteggiamento di profondo sconforto. Lo sconosciuto teneva le mani mollemente abbandonate sulle ginocchia; aveva gli occhi arrossati e immobili, il volto bagnato di lagrime. Udendo camminare egli si voltò. I due uomini rimasero imbarazzati, e più dell’altro Isbister, che per dissipare quell’imbarazzo, causato dalla sua sosta involontaria, dichiarò con tono di sperimentata convinzione, che il tempo era troppo caldo per la stagione che faceva.

— Molto caldo, — rispose l’altro brevemente. E dopo aver esitato un momento, pronunziò con voce spenta: — Non posso dormire.

Il volto d’Isbister assunse un’espressione di pietà. [p. 2 modifica]

— Davvero? — disse.

— Pare incredibile, — riprese lo sconosciuto volgendo lo sguardo su Isbister e sottolineando ogni parola con un gesto della sua mano languente. — Sono sei notti.... Sì, sei notti che non dormo affatto!

— Avete chiesto un consiglio al vostro medico?

— Oh! Sì! Bei consigli davvero! Mi ordina dei sonniferi! Ma le medicine sono buone per la maggior parte degli uomini.... non per me.... Il mio sistema nervoso.... Il mio caso è difficile a spiegarsi.... Io non oso prendere.... sonniferi molto potenti

— Ciò aumenta la difficoltà, — rispose Isbister, che stava lì, in quella via stretta, sentendosi proprio inutile al suo compagno, chiedendosi ansiosamente ciò che poteva fare.

Era evidente che quell’uomo aveva un gran desiderio di raccontare le sue disgrazie.

Un’idea, naturalissima in una simile circostanza, permise al giovane pittore di continuare quella conversazione.

— Io non ho mai sofferto d’insonnia, — aggiunse con accento marcato, ma ho conosciuto dei casi simili al vostro e so che i pazienti hanno sempre trovato qualche rimedio.

— Non oso più tentar nulla, io.

L’uomo parlava con stanchezza, e dopo un gesto di scoraggiamento, il colloquio rimase per un istante interrotto.

— Se provaste a far del moto? — suggerì timidamente Isbister, e distogliendo lo sguardo dalla dolorosa figura del suo interlocutore, esaminò il suo vestito da touriste.

— Ho tentato, e questo tentativo non è stato il [p. 3 modifica] migliore. Giorno per giorno ho seguito la costa della Riva nuova. Il moto! Esso non fa che aggiungere la fatica fisica a quella, mentale. Questa mia agitazione proviene dallo strapazzo, da un eccessivo lavoro.... da un eccessivo dolore. V'ha qualche cosa....

Tacque, e parve veramente spossato; poi stropicciandosi la fronte colla scarna mano, riprese come se parlasse a sè stesso:

— Sono un lupo selvaggio, un povero essere errante in un mondo dove non ho scopo di esistere. Sono solo, senza moglie, senza figli.... Chi ha mai detto che l’uomo senza prole è come un ramo seccato sull’albero della vita? Sono senza moglie, senza figli.... Non ho nessun dovere da compiere, nessun desiderio da sodisfare. Eppure v’è una cosa, una sola alla quale avevo finalmente risoluto di attaccarmi.... E avevo detto fra me: È necessario, è assolutamente necessario, e, per vincere l’inerzia di questo corpo senz’anima, ricorsi a dei sonniferi. Gran Dio! Quanti ne ho assorbiti mai! Io non so se voi sentiate l’opprimente disagio del nostro corpo; così irritante, con tutte le inquietudini che procura allo spirito.... Il tempo! La vita! Vivere!... Noi non viviamo che piccole parti di vita! Bisogna mangiare e subir poi la noiosa e bestiale funzione della digestione.... con tutti i suoi disgusti. Bisogna prendere aria se non vogliamo che il nostro pensiero si trascini inerte, senza poter librarsi in alto, privo di ogni attività! Mille distrazioni esteriori ed interiori ci richiamano. Quindi poi il torpore, il sonno! Pare che gli uomini non vivano che per dormire. Come son poche le ore della giornata realmente nostre, sia pure nelle migliori condizioni! In ultimo ci sono quei falsi amici, quei perfidi ausiliari, gli alcaloidi, che [p. 4 modifica] soffocano la fatica naturale e uccidono il riposo;... il caffè, la cocaina....

— Capisco, — disse Isbister.

— Finalmente sono giunto a compiere l’opera mia, — continuò l’uomo senza sonno, con accento doloroso.

— Ed è questo il resultato che ne avete ottenuto?

— Sì.

Per un momento nè l’uno nè l’altro disse una parola.

— Voi non saprete mai immaginare come io sospiri un po’ di riposo.... Ne ho fame e sete. Per sei lunghi giorni, dopo aver compiuto la mia impresa, il mio spirito è stato un turbine vertiginoso, sempre lo stesso e senza tregua, un torrente di pensieri incessanti.... un torrente che scorre rapido e regolare....

S’interruppe; quindi terminò:

— ... verso l’abisso!

— Bisogna che dormiate, — replicò Isbister con accento reciso, come se avesse improvvisamente scoperto un rimedio, — bisogna assolutamente che voi dormiate.

— Il mio spirito è perfettamente lucido e mai lo è stato come in questo momento.... Ma ora mi sento trascinato verso l’abisso....

— Ebbene?

— Avete mai veduto, talvolta, degli oggetti inghiottiti nel vortice.... strappati alla luce del giorno, a tutte le dolcezze di questo mondo.... annientati?

— Ma.... — protestò Isbister.

L’uomo stese le braccia: aveva gli occhi biechi e la sua voce era ad un tratto divenuta acuta.

— Mi ucciderò.... Se non troverò un altro mezzo, mi getterò in fondo a questo buio precipizio, laggiù dove le onde sono verdi, dove il bianco maroso si [p. 5 modifica] eleva e si riabbassa, dove trema quel sottile filo d’acqua. Almeno laggiù lo troverò.... il sonno!

— Ciò non è ragionevole, — esclamò Isbister, spaventato da quelle tristi parole. — È preferibile che prendiate dei sonniferi.

— Laggiù almeno troverò il sonno, — ripetè lo sconosciuto senza intendere.

Isbister lo guardò chiedendo in quel momento a sè stesso se qualche misterioso decreto non li avesse posti in presenza l’uno dell’altro, in quel luogo, in quell’ora.

— Del resto non è una cosa certa, — fece egli. — Nella baia di Lulworth esiste una rupe scoscesa come questa.... almeno ugualmente alta.... Una bambina vi precipitò fin in fondo.... e vive ancora.... anzi sta veramente bene.

— Ma quelle rocce!

— Vi trovereste assai male specialmente la notte, quando un lungo tremito farà battere le vostre ossa spezzate, e tutte infangate dall’acqua gelata. Che ne dite?

I loro sguardi s’incontrarono.

— Sono desolato di distruggere il vostro ideale, — continuò Isbister, orgoglioso delle sue frasi disinvolte.

— Ma un suicidio dall’alto di questo scoglio.... di qualsiasi altro scoglio.... no, in verità, ve lo dico da artista (e qui si mise a ridere), sarebbe a parer mio un procedere da dilettanti.

— Ma, l’altra alternativa? — esclamò l’uomo senza sonno con accento disperato. — Chi dunque non finirebbe per non ragionar più quando dopo tante notti....

— Avete percorso tutta la costa.... solo?

— Si.... solo! [p. 6 modifica]— È una stupidità!... Scusatemi se parlo così. Solo! Sicché a sentir voi l’esaurimento corporale è un cattivo rimedio contro l’esaurimento cerebrale? Chi vi ha consigliato? Non c’è da meravigliarsi! Camminare! Col sole sulla testa durante tutto il giorno. E dopo, credo, sarete andato a letto, e con tutte le vostre forze avrete tentato di.... È vero?

Isbister si fermò ad un tratto e esaminò l'ammalato con aria indecisa. — Guardate un po’ queste rocce, — gridò l’uomo con improvvisa violenza nel gesto. — Guardate questo mare che non ha mai cessato di risplendere e di riflettere. Guardate questa schiuma bianca che si precipita nell'ombra sotto questa immensa voragine. E questa volta azzurra, questa cupola, da cui il sole sfolgorante cade a fiotti.... Ecco il vostro mondo! Voi l'accettate; voi lo godete. Esso vi riscalda, vi sostiene e vi seduce.... Ma per me!...

E volse la testa, mostrando una faccia spettrale dagli occhi smorti, iniettati di sangue, dalle labbra scolorite. Poi mormorò:

— Questa è la veste della mia miseria. Il mondo intero.... è la veste della mia miseria.

Isbister gettò uno sguardo sulla bellezza selvaggia delle rocce illuminate dal sole, poi su quell’uomo immagine vivente della disperazione. Per un momento stette in silenzio, finalmente trasalì e fece un atto.come se volesse scacciar lungi da sè una dolorosa impressione.

— Tentate di dormire una intera notte, — disse, — e non vedrete più nessuna miseria in tutto ciò. Credete a me....

Ora la sua convinzione diveniva incrollabile: l’ [p. 7 modifica] incontro era proprio provvidenziale. Appena una mezz’ora prima egli provava una noia intollerabile: ora, invece, poteva e doveva essere utile e questo solo pensiero lo rese veramente felice.

Si mise subito all'opera: penso fra sè che il primo bisogno di quell'essere esaurito, era di avere un compagno e lasciandosi cadere sul verde tappeto che ricopriva quella china scoscesa, spiegò tutta la sua abilità per investigare ancor più quell'essere disperato che aveva ripreso la sua immobilità e sembrava perfino immerso in una completa apatia.

Con aria lugubre lo sconosciuto guardava dritto davanti a sè, verso il mare; non apriva bocca che per rispondere alle domande dirette d'Isbister e nemmeno a tutte. Ma non tentava affatto di sfuggire all'inchiesta curiosa e benevola di cui la sua disperazione era oggetto. Anzi, in una maniera passiva, sembrava riconoscente, e quando Isbister, sentendo che la conversazione, abbandonata alle sue sole risorse, cominciava a languire, suggerì di risalir la china e tornare a Boscastle per godere il colpo d’occhio che offriva Blackapit, egli acconsentì tranquillamente.

A mezza strada cominciò a parlare da solo, con accento brusco, volgendo la faccia cadaverica verso il suo compagno.

— Che cosa può mai accadere? — chiese, completando la sua frase col contorcersi la mano scarna. — Che cosa può mai accadere? Tutto gira intorno a me, gira vorticosamente, incessantemente; per sempre....

Tacque, e con un largo gesto parve abbracciare l’orizzonte.

— Tutto va bene, mio caro, — affermò Isbister con [p. 8 modifica] l’aria di un vecchio amico. — Non vi tormentate: fidatevi di me.

Lo sconosciuto lasciò cadere la mano e si rimise in cammino. Essi seguirono la cima della roccia e giunsero sul promontorio al di là di Penally. L’uomo senza sonno gesticolava sempre, lamentandosi con tronche frasi, del tumulto del suo cervello. Sul promontorio essi si fermarono vicino alla panca da cui la vista spazia verso gli oscuri misteri di Blackapit, e l’uomo si sedette. Isbister ricominciava a parlare ogni volta che la strada si faceva abbastanza larga da permetter loro di camminare l’uno a fianco dell’altro, discutendo sopra l’enorme difficoltà che devono superare i piroscafi per raggiungere il porto di Boscastle quando il mare è cattivo. Ad un tratto fu interrotto da una frase inaspettata del suo compagno.

— La mia testa non è più quella di una volta, — fece gesticolando, non trovando frasi per meglio spiegare il suo pensiero. — No, non è più quella di una volta.... Sento come un’oppressione, un peso.... No.... non è che abbia sonno!... Ah! se fosse questo! Mi par di vedere un’ombra, un’ombra fittissima che cade ad un tratto rapida, a traverso l’attività del mio spirito.... e si raggira nelle tenebre.... Il tumulto del pensiero, la confusione, un mulinello.... Sempre un mulinello! Non posso esprimer ciò: duro fatica ad arrestare il mio spirito in maniera di potervi spiegare quello che penso.

Tacque come se fosse stanco.

— Non vi affaticate, mio caro, — disse Isbister. — Capisco perfettamente. In ogni modo che mi spieghiate questa cosa, ora o più tardi, mi pare in realtà che ciò non abbia molta importanza. [p. 9 modifica]L’uomo senza sonno, si stropicciò gli occhi col dorso della mano chiusa.

Isbister continuò a parlare per qualche minuto ancora, poi, tutto ad un tratto fu colpito da un’idea.

— Venite fino in camera mia, — intimò; — là tenterete di fumare ed io vi mostrerò qualche bozzetto che rappresenta Blackapit se la pittura v’interessa.

L’altro obbedì e discesero insieme. Più volte Isbister s’accorse che l’altro esitava e che i suoi movimenti erano lenti e titubanti.

— Entriamo in casa mia, — disse il pittore, — tenterete di fumare una sigaretta e di bere dell’alcool che vi farà bene. Ne prendete mai?

Lo straniero si fermò alla porta del giardino: pareva che non si rendesse più conto delle sue azioni.

— Non bevo, — rispose lentamente, inoltrandosi nel viale del giardino: poi, dopo un momento, ripetè con aria distratta: — No, non bevo. Tutto gira.... gira gira.... gi....

Giunto sulla soglia inciampò ed entrò nell’appartamento come uno che non vedesse nulla: quindi si sedette, o meglio, si lasciò cadere pesantemente sopra una comoda poltrona. Colla fronte tra le mani, il corpo reclinato in avanti, rimase immobile: ma poco dopo, un suono inarticolato gli sfuggì dalle labbra. Isbister andava e veniva per la stanza, colla nervosità di un ospite inesperto facendo qualche piccola osservazione che non chiedeva risposta: quindi attraversò la camera per prendere la sua cartella da disegno, la pose sulla tavola.... guardò l’orologio.

— Non so se vi farà piacere di cenare con me, — disse tenendo una sigaretta in mano mentre l’idea di [p. 10 modifica] amministrare furtivamente una buona dose di cloralio al suo convitato, agitava la sua mente. — Non ho che del montone freddo, sapete, ma squisito; del vero castrato di Maremma.... E una torta, credo....

Egli ripetè queste parole dopo un minuto di silenzio. L’uomo seduto non rispondeva e Isbister si fermò, col fiammifero in, mano, a contemplarlo. Intanto il silenzio si prolungava: il fiammifero si spense ed egli non prese più la sigaretta.

Certamente quell’uomo era molto calmo, molto tranquillo: Isbister prese la cartella, l’aprì, la posò, esitò, e parve sul punto di parlare.

— Forse, — disse fra sè, incerto.

Dette subito un’occhiata al di fuori, un’altra al suo ospite, poi uscì di camera in punta di piedi voltandosi indietro ad ogni passo per spiare il suo compagno.

Chiuse la porta senza far rumore: tutte le uscite esteriori erano aperte. Oltrepassò il portico e si fermò davanti al piede di un aconito all’angolo di un’aiuola; di là egli poteva vedere, dalla finestra aperta, lo sconosciuto silenzioso e taciturno che non si era mosso, sempre seduto colla testa fra le mani.

Alcuni ragazzi, passando per la strada, si fermarono a guardare curiosamente il pittore che scambiò il buon giorno con un barcaiuolo. Ad un tratto gli venne in mente che il suo atteggiamento circospetto poteva sembrare strano e inesplicabile. Era meglio se si metteva a fumare; infatti tirò fuori la borsa da tabacco, e lentamente caricò la pipa.

— Io mi domando, — cominciò con un’impercettibile ombra di soddisfazione, — in ogni modo, bisogna offrirgliene il destro....

E sfregò forte un fiammifero, per accender la pipa. [p. 11 modifica] Ad un tratto sentì dietro a sè la sua padrona di casa che usciva di cucina col lume in mano: la raggiunse alla porta del salottino, ma provò un certo imbarazzo a doverle spiegare a bassa voce la sua situazione, poiché ella non sapeva che egli avesse un visitatore. La donna si ritirò portando via il lume, un po’ diffidente a giudicarne dalle sue maniere. Isbister si rimise a far la guardia all’angolo del portico, rosso in volto e un po’ impacciato.

Molto tempo dopo, quando ebbe finito di fumare, e dopo aver seguito pazientemente i pipistrelli nei loro giuochi, la curiosità trionfò sulla sua esitazione, e a gran passi ritornò nella sua camera già oscura. Sulla soglia si fermò un momento: lo straniero era sempre nella medesima posizione: la sua figura si delineava bruna nel vano della finestra. Eccettuato il canto di qualche marinaro a bordo delle barche nel porto, la serata era silenziosa; fuori i fusti degli aconiti e dei delphinium si ergevano dritti e immobili, aspettando che l’ombra della collina li inghiottisse.

Una luce improvvisa invase lo spirito d’Isbister: trasalì, e, appoggiandosi alla tavola, stette in ascolto. A poco a poco un sospetto doloroso s’impadroniva di lui; diveniva convinzione. Lo stupore da cui fu assalito si cambiò in spavento. Nessun sintomo di l’espirazione in quell’uomo sempre seduto. Senza far alcun rumore strisciò lentamente attorno alla tavola fermandosi due volte per ascoltare: finalmente potè posare la mano sul bracciuolo della poltrona e si chinò sullo sconosciuto fino a che le loro teste non si toccarono insieme. Quindi si chinò ancora più in basso per vedere il viso del suo compagno. Trasalì violentemente ed emise un grido. Gli occhi erano [p. 12 modifica] vuoti e bianchi: guardò ancora e constatò che erano aperti e che le pupille erano scomparse sotto le palpebre. Atterrito, prese l’uomo per le spalle e lo scosse:

— Dormite? — esclamò con voce acuta. E ripetè ancora: — Dormite?

La convinzione che quell’uomo fosse morto, s’impossessò interamente di lui; ed egli sentì un imperioso bisogno di agitarsi, di far del rumore, e cominciò a passeggiare a gran passi per tutta la stanza, urtando nella tavola nel passare. Suonò il campanello, e:

— Portate subito un lume, ve ne prego, — esclamò nel corridoio. — Il mio amico sta male.

Quindi tornando verso l’uomo inanimato, lo afferrò per le spalle, lo scosse e dette in un grido. La padrona di casa entrò spaventata con un lume che improvvisamente inondò la stanza di una luce giallastra. Isbister si voltò verso di lei socchiudendo gli occhi, livido.

— Bisogna chiamare un medico immediatamente. Qui si tratta di morte o di sincope. Avete un medico nel villaggio? Dove si può trovare? Dove?