Poesie varie (Pascoli)/1872-1880/Astolfo
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Come la luna questa notte sia
sopra noi giunta, ci porremo in via.
- Orl. fur., c. XXXIV, 67.
Lo rivedo il marmoreo palazzo
delle gronde vocali
al lume della luna; ed un rombazzo
4v’odo ancor oggi d’ali,
v’odo un festoso strascichio di gonne,
v’odo un clangore arguto
di spade, gaie risa odo di donne,
8e il canto del leuto;
or come allora. Allor dalle aie i cani
abbaiavano al vento:
e vedevi di pioppi, olmi ed ontani
12tutto un torneamento.
Ma poscia, un tratto che pendeva all’Orsa
cheta la luna appresso,
e gli alberi affannati dalla corsa
16palpitavan sommesso,
in quella ch’io piangea l’amor mio bello
che m’ha beato e ucciso,
scoppiava nel silenzio uno stornello
20dolce come un sorriso...
Tu sul caval del paladino errante,
che per aria galoppa,
nano gentile del cappel sonante
24allor saltasti in groppa.
Il rosaio fremeva a l’albaspina
d’uno stupor tranquillo,
quando si scosse dalla tua testina
28un saluto e uno squillo.
Pispigliavan le rose: Oh! la regina
del Catai si fa sposa.
Angelica, gemeano i fiordispina,
32là, nel Catai, riposa;
riposa in pace; e non cred’io che un gaio
sogno d’amore e’ sia:
cadon le stille, sibila il rovaio;
36è un sogno di follìa!
Quando, di marzo, il plenilunio piove
sogni ed influssi d’oro,
s’avvian gli erranti per le cerche nuove
40coi grandi antiqui loro:
ad atrii ignoti sostano; i bordoni
posano accanto all’arpe.
C’è un viavai di dame e di baroni
44lampo di veli e sciarpe;
piantato d’aste e di pennoni è il campo
con lunghe ombre di cocchi,
e, sparse intorno, le corazze un lampo
48sprizzan d’acciaio agli occhi.
Empiono intanto dame e cavalieri
la notte di sussurro,
e là bianche chinee bianchi destrieri
52bevono al lago azzurro.
Ma noi mendichi intorno a un’abetaia
intera ci s’assetta,
e si ride e si ciancia a quella gaia
56fiammata che scoppietta;
noi si ride e si ciancia, e ci trabocca
di fiera gioia il cuore,
se una favola industre esce di bocca
60al buon novellatore.
O dedaleî poemi onde il sonoro
ritmo che il cor ritenne
somigliava un trottar di Brigliadoro
64per le fatate ardenne!
come sentivo di passar per alti
silenzi di verzura,
su cui d’un tratto campeggiavan spalti
68grigi e muscose mura!
O bianca nube, stormi d’alcioni
fluttuanti lontano;
o bianchi veli, o rosee visïoni
72che ho perseguite invano!
Oh! poi che all’una delle fonti io bebbi
il caldo dell’amore,
e, all’improvviso rifluire, io m’ebbi
76posta la mano al cuore,
cuor palpitante d’ombre cupe e raggi,
qual nuvolaglia a sera;
spronai, fanciulla, per sentier selvaggi
80la mia speranza altera;
l’altero amor, tra l’ombre e le morgane
nel silenzio e il sussurro
pel monte e il pian guadando le fiumane
84guadando il cielo azzurro,
io spronai: verso te lanciai Rondello
ch’al piè del nembo ha l’ale,
e Brigliadoro che va qual vascello
88gonfio di maestrale,
scossi le briglie a Rabican che i laghi
col piede asciutto sfiora,
e il fianco strinsi ad ippogrifi e draghi...
92ma non t’ho giunta ancora.
Qual mai tempesta portati? qual dio
volo ti dà leggero
più di Rondello e Rabican, del mio
96cuore, del mio pensiero?
perchè m’accenni della man fuggente,
perchè rivolgi il viso,
ridi e dilegui luminosamente
100nel lampo del sorriso?
Dilegui, e l’ombre calano, ed io sento
un brusìo d’acque ignote,
e ascolto appena il crepito onde il vento
104le foglie morte scuote;
mentre il cavallo piega le ginocchia
lente nel reo cammino,
di qualche pina il suono odo che crocchia
108su nel silvestre pino.
Crescono l’ombre ed il silenzio sulla
terra, nel ciel, nel cuore
mio, per tutto. Che grigia landa brulla
112questa dove il sol muore!
In faccia a me scintillano le pozze
d’un ghigno ultimo, orrendo,
poi verdi e gravi sotto l’alghe rozze
116s’adagiano dormendo.
Mi si arresta il corsier, mentre rimango
irresoluto e solo:
le salde zampe guazzano nel fango,
120fiutan le nari il suolo.
Cessò sui vepri e sui ginepri l’izza
della cicala adusta,
nè più da’ cardi crepitanti schizza
124la fragile locusta.
Or s’è levato in mezzo del tranquillo
piano il lamento eterno
della rana che rantola e del grillo
128che trilla in suon di scherno.
All’orizzonte la vermiglia frangia
che cingea la campagna
bigia, ora in un vallo basso si cangia
132di livida montagna.
E il vallo basso e plumbeo mi serra
il cielo intorno via
più, quanto più la desolata terra
136s’apre alla vista mia.
O patria! o casa piena di bisbigli
e d’ombre rosee! In faccia
lieti le stanno i sicomori e i tigli
140e il gelsomin l’abbraccia;
oh! le aurate fantasime di gloria
cadono, nebbie vane;
s’io ne vedo apparir nella memoria
144le verdi persïane,
se tra que’ bossi accorra a me, la fiamma
della sorpresa in viso
e della gioia... Quai lagrime, o mamma,
148t’innondano il sorriso!
Come somiglia la tua gioia al pianto
di noi; come alla morte
il tuo pallore! Della casa intanto
152non stridono le porte;
non s’apre ogni finestra con giocondo
émpito di battenti,
non vedo a ognuna comparire un biondo
156capo che a me s’avventi
augurando. Addio patria! Sulla muta
landa, improvviso romba
uno stormo che migra e che saluta
160con un clangor di tromba.
Suona un lieto clangor nelle profonde
solitudini. È il lento
stuol delle gru che verso ignote sponde
164va tra la notte e il vento.
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