Poesie greche/Lirici greci/Epigrammi di varii

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Autori vari - Poesie greche (Antichità)
Traduzione dal greco di Achille Giulio Danesi (1886)
Lirici greci - Epigrammi di varii
Lirici greci
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12. Epigrammi di varii1.




1. Di Filippo 2.


Sul Giove olimpico di Fidia.

O a mostrar la propria immagine
     Venne il Dio dal ciel quaggiù,
     O a vedere il Nume, o Fidia,
     Su nel ciel salisti tu.


2. Dal medesimo.


Il gran corpo, per suo voler caduto3,
     Di Leonida avea Serse veduto,
     E lo coprì col suo purpureo manto,
     Ma dai morti fe’ udire un suono intanto

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L’eroe spartano: -io non ricevo onori,
Che son dovuti solo ai traditori.
Lo scudo orna l’avel: quanto è persiano
Lungi; io scendo a Pluton come Spartano.

3. Del medesimo su Venere armata.



O Ciprigna, tu amica del riso,
  Chè ne’ talami effondi il piacere,
  Delle guerre chi mai l’armi fiere,
  Dolce diva, ti volle indossar?
A te i canti già furon giocondi
  Ed Imene, che d’oro ha le chiome.
  E i concenti de’ flauti; ma come
  Cinger armi omicicide puoi tu?
Forse, dopo d’avere spogliato
  Quel feroce tuo Marte guerriero,
  Nella mente ti venne il pensiero
  Di mostrar quel che Cipride può?

4. Del medesimo su una sposa morta nelle nozze.



Di flauti testè dolce sonava
  Di Nicippide il talamo: s’alzava
L’inno tra plausi nuzïali, e morte
  Sull’imeneo piombò: ahi! la consorte.
Non donna ancora, estinta fu mirata.
  O lagrimevol Pluto, separata
Perchè volesti lei dal propio sposo,
  O tu per nozze rapito gioioso?

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5. Di Pallada 4.

Un omicida
  Giacea dormente
  Vicino a putrido
  Muro cadente.
A lui Sarapide
  N’andò, si dice;—
  Dal suolo, dissegli,
  Sorgi, infelice,
E al sonno cercati
  Asil sicuro.—
  Quei desto andossene,
  E tosto il muro
Crollò precipite
  Tutto in rovina,
  Onde quell’empio
  Ogni mattina
Offria festevole
  Voti agli Dei,
  Come se fossero
  Propizii a’ rei.
Di nuovo apparvegli
  Di notte il Dio
  Dicendo: — o misero,
  Sappi che s’io

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Da morte orribile
  T’ho liberato,
  Pure alla croce
  Tu sei serbato.


6. Del medesimo.

Morire debbono
  Tutti gli umani:
  Niun sa se in vita
  Resti domani.
Perciò rallegrati,
  Uomo: il buon vino
  Oblio t’induca
  Del tuo destino.
T’allieti Venere,
  Vivi a giornata;
  A Sorte5 ogni altra
  Cura sia data6.


7. Di Platone.

L’effigie sua volendo rimirare
  A Gnido Citerea n’andò per mare,
  E disse, quella in tutto contemplata: —
  Prassitel dove ignuda m’ha mirata?


8. Del medesimo.

Tutto il tempo invola: in uno
  Cangia indocile l’età

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La natura, la fortuna
Ed il nome e la beltà.


9. Del medesimo.



Gittò il capestro un che trovò dell’oro,
  Ma disperato al collo se lo cinse
  Chi non trovò più quivi il suo tesoro.

10. Di Zenodoto.



Chi mai, scolpito Amore, diegli in un fonte loco?
  Un, che pensò con l’acqua di spegnere il suo foco.

11. D’Ignoto7.



Dalla vita gli Dei mi fecer sasso,
  Ma Prassitel rese la vita al masso.

12. Di Getulico.



Alcone padre da crudel serpente
  Stretto il figlio mirò; ei di presente
Con man timida trasse, e il trafiggeva
  In bocca, ov’ei sovra il fanciul sorgeva.
L’arco a tal quercia appende ei per tal morte
  Di sua destrezza in segno e di sua sorte.

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13. Di Posidippo sulla statua dell’occasione 8.


D. Donde lo scultor tuo?
R. Sicionio.
D. Il nome?
R. Lisippo.
D. E tu chi sei?
R. L’occasïone, Che tutto doma.
D. Perchè tu cammini Sulla punta de’ piedi?
R. Io corro sempre.
D. Perchè le piante hai tu doppie ne’ piedi?
R. Io corro sempre celere, qual vento.
D. Perchè un rasoio nella destra porti?
R. Segno ch’io son più ch’ogni taglio acuto.
D. A che la chioma hai tutta in sul davanti?
R. Per Giove, è appiglio a ognun che in me si imbatta.
D. Perchè la chioma nel di dietro hai calva?
R. Chi fa passarmi con gli alati piedi
    Nè pur se voglia, giungerammi poi.
D. Perchè ti fece il tuo scultore?
R. Ei volle
   Qui sulla soglia del sacrato tempio,
   Ospite, pormi a vostro documento.

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14. D’ignoto.

Io sono Nèmesi 9,
  E porto il cubito
  Perchè? dirai.
  A tutti prèdico: —
  Il troppo mai.

15. D’ignoto.

Con le sue labbra tenere
  Una fanciulla un bacio un dì mi dava.
  Era quel bacio nettare,
  Che dalla bocca nettare spirava.
  M’ha il bacio inebrïato,
  E fiero amor per esso in cor m’è entrato.

16. D’ignoto.

Arma i tuoi dardi, Venere;
  Altra mira colpita
  Sia da te pure; mancami
  Anche il posto a ferita.

17. D’ignoto.

Due mali soffro, povertade e amore;
  Facil m’è bene il sopportare il primo.
  Ma di Vener non so vincer l’ardore.

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18. Di Anacreonte 10.

Non vo’ chi, sorbiti
  Più nappi, vuol liti,
  E insano si scaglia
  A cruda battaglia;
  Ben amo chi in mente
  Benigno e prudente
  Rallegra il suo core
  Tra i carmi e l’amore.

19. Rufino 11.

Una corona a te, Rodoclia, invio,
  Che di mia mano intessere voll’io.
V’è il giglio, v’è l’anemone, la rosa,
  Del narciso la foglia rugiadosa,
E la vïola fosca. Io la formai,
  Per te, che la superbia smetterai,
Poichè il mio serto deve sì fiorire,
  Siccome te, ma al pari anche appassire.

20. Del medesimo.

L’amor Melissa 12 nega, e il corpo tardo
  Grida che accolse in sè ben più d’un dardo.
Il passo ha incerto, affannato il respiro,
  Sotto i cavi occhi un violaceo giro.

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Brame, per Dio 13 struggete la restia,
  E dica: è tutta ardor l’anima mia.

21. Dello stesso.

Di sua beltà Rodope orgoglio sente:
  Le dico— Salve— e guata alteramente.
Sospendo all’uscio suo talvolta un fiore,
  Ed ella lo calpesta con furore.
Rughe, vecchiaia, venite in più fretta,
  E Rodope per voi giudizio metta.

22. Dello stesso.

Amor non vincemi,
  Se in petto aduno
  Virtù: so reggere
  Uno contro uno.
Io starò intrepido
  A pugna eguale,
  Pure se assalgami
  Un immortale.
Ma a lui se uniscesi
  Del vino il Dio,
  A due resistere
  Come poss’io?

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23. Dello stesso.

Lavàti, o Prodica,
  C’incoroniamo;
  Di vin grandissimi
  Nappi votiamo.
Dei lieti è rapida
  La vita: arresta
  Vecchiaia il gaudio,
  Poi morte resta.

24. Dello stesso.

Di Giuno, o Mèlita,
  Gli occhi hai, le belle
  Mani di Pallade,
  E le mammelle
Hai tu di Venere,
  Di Teti il piede.
  Oh! felicissimo
  Quei che ti vede.
Ma beatissimo
  È ben tre volte
  Quei che il tuo eloquio
  Avvien che ascolte.
Chi t’ama è simile
  A semidio,
  Ma quei che sposati
  È immortal Dio.

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25. Di Capitone.

Beltà senza le grazie
  Ben è ver che riesca
  Gradita, ma par simile
  Ad un amo senza esca.

26. Di Meleagro.

Dolce s'allegra questa tazza: dice
  Che la garrula bocca ella ha toccato
  Dell'amabil Zenofila. Felice!
  Oh, se il suo labbro al mio ella attaccato,
  Ora volesse a me per cortesia
  Tutta quivi succhiar l'anima mia.

27. A Venere d'ignoto.

Se salvi in pelago
  Chi s'è smarrito,
  Tu in terra salvami
  D'amor perito.

28. Di Callimaco 14.

Saone Acansio di Dicon qui ha sacro
  Sonno: non dir ch'abbiano morte i giusti.

29. Del medesimo.

D. Timon giacchè sei morto il tenebrore
  T'è più grave o la luce? 15 R. Odio il primiero,
  Chè d'uomini v'ha qui turba maggiore.

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30. Del medesimo.

Di matin Melanippo abbiam sepolto,
  E, appena il sole ci nascose il volto,
  La giovine Basila verginella
  S’è spenta di sua mano. Appena ch’ella
  Ebbe sul rogo il suo fratel veduto,
  Vivere senza lui non ha potuto
  Cirene piange, vista al tutto orbata
  Una famiglia di figliuoli ornata.

31. Del medesimo.

State non fosser mai rapide navi,
  Chè Sopoli a Diodide figliuolo
  Non piangeremmo. Or ei tratto sul mare
  S’aggira estinto, e noi passiam davanti
  Al nome sculto e al vuoto monumento.

32. Del medesimo.

Le Samïe fanciulle hanno di Cretide
  Brama. Ella adorna fu di dolce eloquio,
  Grata compagna nello scherzo e garrula.
  Ora il fato commun nel sonno l’òccupa.

33. Del medesimo.

Va il cacciatore o Epicide,
  Quanto più neva e agghiaccia
  Di lepri e damme assiduo
  Ad inseguir la traccia.

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Se alcuno ― prendi ― dicegli
     La preda ch’hai prostrata,
     Ei la disdegna. Simile
     Sorte a me pure è data.
Tale è il mio amor; desidera
     Il fuggente piacere,
     E di quello concessogli
     Ricusa di godere.


34. D’ignoto.

Alle immortali Muse
     Carissimo, o beato
     Callimaco, salute,
     Benchè nell’Orco andato.


35. Di Luciano 16.

Me quinquenne fanciul, privo di affanni,
     Callimaco, rapì l’Orco crudele.
Deh! non mi pianga alcun, chè poca m’ebbi
     Vita, ma pochi pur del viver mali.


36. Del medesimo.

Come devoto a morte
     Usa de’ beni tuoi,
     Ma come s’abbi a vivere
     Tu li riparmia poi.

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Saggio è chi ciò sapendo
  Sa il proprio risparmiare,
  Ma pur sa nello spendere
  Equa misura usare.


37. Di. Eveno di Filippo.

S’è passione l’odiar, passion l’amore,
  Scelgo tra loro quella, ch’è migliore.

38. Di Eveno.

(parla la vite).

O capro, pur se mi divori fino
  Alla radice, co’ novelli frutti
  Al sagrificio tuo darò del vino.

39. Di Prassitele.

Prassitele me Amore
  Ritrasse dal model che avea nel core,
  E poscia, per mercede
  Di me medesmo, a Frine egli mi diede.
Non accendo co’ dardi,
  Ma ben ferisco chi fiso mi guardi.

40. D’incerto e secondo altri di Bianore.

Insaziato Caronte, si rapiva
  Da te così Attalo giovinetto?
  Non era tuo, se vecchio egli moriva?

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41. Di Ammiano.

Miser Nearco, il sonno a te sia lieve:
  Provarti ai cani fia lavor più breve.

42. D'ignoto.

O questo bagno Venere produsse,
  O lui dovette Venere produrre,
  Quando a lavarsi il corpo qua s’addusse 17,

43. Di Appollonida Smirneo 18.

Fitinna disse:
  Pe’ figli miei,
  O mio, Diogene,
  Prender non dei
Più moglie, quando
  Morta sarò.
  Ma quegli ad altra
  Sposa volò.
L’estinta volle 19
  Darne la pena
  Allo spergiuro
  Sposato appena.
Le nuzïali
  Stanze giù rotte
  Fece piombare
  La prima notte.

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Nè vide il talamo
  Più il sol secondo,
  Tanta ebbe possa
  L’odio profondo.


44. Di Anite.

Questi vivendo era Manete: or, morto,
  Minor possa non ha di Dario il grande.

45. D’ignoto.

D’Achemenide campo, or di Filippo
  Andrò di nuovo d’una mano ad altra,
  Quegli credeva avermi, e questi il crede
  Di veruno son io, ma della sorte!

46. D’ignoto.

Come leon, con invincibil lena
  Tu soffrirai ogni insoffribil cosa:
  Niun reo fuggì la meritata pena.

47. Di Agazia 20.

La morte a che temete,
  Che apporta la quïete,
  Che tronca i morbi e il duol di povertà?
Sola fra tante pene
  Solo una volta viene,
  Nè mai mortal due volte addosso l’ha.

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Ma morbi varî e molti
  L’uom sempre ha in sè raccolti,
  La cui vicenda ognor viene e sen va.


48. D’ignoto.

Me a coronar, benchè sepolcro umìle
  O passeggiero, e a coronar t’arresta,
  Chè il prediletto alle Pïerie Muse
  Il divo vate Omero in me racchiudo.

49. D’ignoto.

Breve ha rosa il fiorir: se tu ten vai,
  Le foglie, no, lo spino troverai.

50. D’ignoto.

Un medico, se mai ciarliero sia,
  È all’ammalato nuova malattia.
  Me fe’ giacere oppresso
  De’ medici un consesso.

51. D’ignoto.

Come fui? donde son? perchè venuto
  Qua? Per andar poi via. Come poss’io
  Nulla sapendo diventar sapiente?
  Fui, nulla essendo, e poi sarò qual pria.
  Ahi! niente e niente ell’è la vita umana.
  Ma mi porgi di Bacco il dolce nappo;
  Questo è rimedio che guarisce i mali.

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52. Di Gicone.


Tutto è riso, è polve, è nulla;
  Tutto fece il caso cieco.
  Se ho figliuoli, il duolo è meco,
  Quando vèdoli patir.
Se la moglie è buona, in lei
  Si ritrova alcun diletto;
  S’ella è trista, un poveretto
  Finchè vive ha da soffrir.


53. Di Giuliano21.


Ladri, una ricca casa
  Da voi sia pur rapita,
  Chè questa è custodita
  Da fida povertà.


54. Di Zona.


Dammi del dolce umore,
  Cui diede a me la terra
  Mia madre, a cui sotterra
  Morto ritornerò.


55. D'ignoto.


Un buon amico è invero un gran tesoro
  Per chi serbar lo sappia, o Elïodoro.

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56. D’ignoto.

Te ricco tutti, io povero te dico,
  Chè di ricchezza testimonio è l’oro.
  Se ne godi, ella è tue; se per gli eredi
  La serbi, d’ora innanzi altrui diventa.

57. D’ignoto.

Ermone avaro in sogno aveva speso;
  Onde morì di propria mano appeso

58. Di Lucillio.

Asclepiade avaro un sorcio vede
  Nella sua casa: ― che fai qui, carino?
  Gli risponde ridendo il sorcellino:
  ― Non cerco presso te cibo, ma sede.

59. Del medesimo.

Temistonoe travecchia si tingea
  Il crin: parea non giovine, ma Rea 22.

60. Del medesimo.

Menofane avea compro un sì ristretto
  Campo, che poi dovette per la fame
  Alla quercia impiccarsi del vicino.
  A seppellirlo non bastò la terra,
  Onde a mercè fu presso un confinante

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  Sepolto. Oh! se l’avesse conosciuto
  Il figlio di Menofane Epicuro,
  Alcerto detto avria che l’universo
  È di campi non d’atomi ripieno


61. Del medesimo.

Cacciato un giorno fu nella prigione
  Marco insigne poltrone,
  E confessò che un uomo ucciso aveva,
  Perchè d’uscir temeva.

62. Del medesimo.

Il pigro Marco un dì corse dormendo;
  Più non dormì, di correre temendo.

63. Del medesimo.

Non pur parlando, pria di parlare
  Sa Fabro il retore spropositare.
  S’apre la bocca, è un barbarismo
  Con mano accenna, è un solecismo.
  Se di guardarlo solo mi tocca,
  Legata subito sento la bocca.

64. Del medesimo.

In un giorno d’estate un sorcellino
  Vide dormir Macrone, il piccolino.
  Pel piè lo trasse in un buco bel bello,

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Ma il soffocò, benchè senz’armi, quello,
  Che gridò: ― Giove padre, non lo sai?
  Un Ercole novello ora tu hai?


65. Del medesimo.

Rapì una zanzerina
  La piccola Amorina 23.
  Giove, disse ella, anch’io
  Il vo’, se n’hai desio.

66. Del medesimo.

Alma hai di povero
  Tu, ricco, affè,
  Sol per gli eredi,
  Ma non per te.

67. Del medesimo.

Il pittor Eùtica
  Ha venti figli,
  E neppur d’essi
  Un che somigli.

68. Del medesimo.

Ermogene, nel sogno, al solo aspetto
  Di Dïofante medico, si spense,
  Benchè portasse gli amuleti 24 al petto.

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69. Del medesimo.

Posero ad Api pugile in tal sito
  Questa statua i compagni di tenzone,
  Perch’ei di lor nessuno avea ferito.

70. Del medesimo.

Aulo, nel pranzo,
  A cui t’invito
  Non fia che reciti
  Vate sgradito,
Nè tu, nè altri
  Poi vi sarà,
  Che di grammatica
  Discorrerà.

71. Del medesimo.

Nicilla, di te alcuno ha raccontato
  Come costumi tingerti le chiome,
  Che comprasti nerissime al mercato.

72. Del medesimo.

Plutone Marco il retore
  Giù non volle accettare,
  E disse: ― il cane Cerbero
  Sol ci deve bastare.

73. Di Leonida.

Di Menodoto avea pinto il sembiante
  Il pittor Dïodoro, indi l’espose:
  Era a ognun, fuor che a quello somigliante.

[p. 71 modifica]

74. D’ignoto.

Io m’era giovine
  Senza un quattrino:
  Vecchio ho ben carico
  Il borsellino.
Sono miserrimo
  Per tal motivo.
  Pria disperavami
  Di tutto privo
Ora che abbondami
  Il ben di Dio,
  Ahimè! godermelo
  Più non poss’io.

75. D’ignoto.

Addio, Speranza, Fortuna, addio;
  Volgete in altri gl’inganni vostri;
  Spento, da voi franco son io.

76. D’ignoto.

L'invidia è pessima:
  Pure ha del bene:
  Distrugge gl’invidi
  Con le sue pene.

77. D’ignoto.

D. Giustizia, chi ti volle qui locare?
R. Un ladro che con me nulla ha che fare 25.

[p. 72 modifica]

78. Di Ippone.

D’Ippon questo è il sepolcro; il fece Sorte 26
  Pari agli eterni Dei dopo la morte 27.

79. Di Speusippo.

Della Terra nel sen qui sotterrati
  Sono gli avanzi di Platone: l’alma
  Sua divina è nel coro dei beati 28.

80. D’ignoto.

Roma, che tutto reggi,
  Non mai cadrà tua gloria;
  Senza ali la Vittoria
  Non può fuggir da te.

81. Di Polliano.

Fra le Muse le Furie pur v’hanno
  E poeta impazzito ti fanno.
  Scrivi, scrivi; maggiore manìa
  Da imprecarti non credo che sia.

82. D’ignoto.

Vin, bagni e di Ciprigna bramosia
  Più ratta all’Orco schiudono la via.

[p. 73 modifica]

83. D’ignoto 29

Pallade vide Venere,
  Che aveva armi vestite:
  ― Vuoi tornar così, dissele,
  A rinnovar la lite?
E quella dolce a ridere: ―
  A che mi vale scudo,
  Se son certa di vincere
  Solo col corpo ignudo?.

84. D’ignoto

O che ti veggia, matrona 30 bella
  Co’ tuoi capelli di nere anella
  O che ti veggia capelli biondi,
  Sempre ad un modo di grazia abbondi.
  Amore avrebbe sua stanza in essi,
  Pur se canuti tutti gli avessi.

85. D’ignoto

Chi, già marito, affidasi
  D’esser di nuovo sposo
  Tenta, nocchiero naufrago,
  Il flutto periglioso.

86. Di Nicarco

Diofante il magro, che morir volea,
  A una tela di ragno s’appendea.

[p. 74 modifica]
87. D’Ipponatte 31

Due gioie immense inver la donna apporta;
  Quando si sposa o via si reca morta.


88. Di Damageto

Non di Messina o d’Argo un lottator son io.
  Sparta, l’illustre Sparta, ell’è il mio suol natio,
  Quei vincono con l’arte; io giusta il patrio rito
  Son con la forza sola vincitor riuscito.


89. Di Democaride (in un bagno)

Gl’immortai membri Venere
  Un dì lavossi qui,
  E col mostrarsi a Paride
  Il pomo gli rapì.


90. Di Enomao

Amor nella tazza ― tu effigî? perchè?
  Non basta col vino ― accendere il core?
  Il fuoco col fuoco ― unir non si de’.


91. D’incerto (su d’una tomba)

Il padre al proprio figlio pose questa:
  Fu di Giustizia Invidia più presta 32.

[p. 75 modifica]

92. Di Nicarco

Bella gloria fra gli uomini la cetra
  Diede ad Orfeo e il dolce eloquio a Nestore,
  Chiara l’ebbe da carmi il divo Omero
  Telefane da’ flauti, e questa è l’urna.

93. Del medesimo

Due sordi a sordo giudice: ―
  Cinque mesi d’affitto ei mi de’ dare ―
  L’altro: di notte, o giudice.
  Dico che mi son messo a macinare,
  E il giudice: la madre avete? or via
  Da tutti e due ella nutrita sia ―

94. D’ignoto su di un bagno piccolo e bello

È sacrato alle Càriti
  Questo bagno in tal loco,
  Perchè in esso le Càriti
  Sole vanno a far gioco.

95. Di Pinito.

Di Saffo l’ossa e il nome vuoto è fra questi marmi,
  Ne vivranno immortali i sapïenti carmi.

96. D’ignoto.

Quantunque io tomba picciola sia,
  O viandante, non passar via,
Ma, come suoli far con gli Dei,
  Con serti offrirmi ossequio dèi,

[p. 76 modifica]

Chè del più caro vate alle Muse,
  D’Omero, l’ossa sono qui chiuse.


97. Di Arabio Scolastico.

Sulla statua di Arianna

Straniero, Arianna in sasso non toccare,
  Perchè Tesèo non balzi a ricercare.

98. Di Senocrate sulla statua di Mercurio.

Mercurïo di legno un tal pregava,
  E quei legno restava.
  Ei l’alzò, l’atterrò,
  E quello allor versò,
  Infranto, di bell’oro onda fluente.
  Giova ingiuria sovente.

Cinque piedi avrai di terra,
  Quando estinto giacerai:
  Della vita non godrai,
  Nè più il sol ti splenderà;
Onde, Cincio, orsù di Bacco
  Bevi tazza generosa,
  E Bellissima un sposa
  Stringi fervido sul cor.
Se immortal di sapïenza
  Posseder tu il raggio vanti,
  Gli Zenoni ed i Cleanti
  All’Averno anch’ei balzâr.

[p. 77 modifica]

100. Del medesimo


Amor non è se alcuno un’avvenente
     Desia, siccome vuole occhio prudente.
Ma se s’accende d’una che sia brutta
     E colpita ha d’amor l’anima tutta.
Questo è amor, questo è foco: leggiadria
     Grata sempre a chi sa convien che sia.


Note

  1. Dal Delectus epigrammatum graec. di Fed. Jacobs.
  2. Di Tessalonica. Fiorì sulla fine del i. sec. D. C.
  3. Nel testo αὐτοδάϊκτον suicida, perchè Leonida affrontò certa morte.
  4. Fiori sullo scorcio del secolo quarto e sul principio del quinto.
  5. Tyche o Fortuna, Dea.
  6. Idem in Euripide Alc. 798.
  7. Su Niobe mutata in pietra.
  8. In greco καιρός, divinità maschile, come Θάνατος la Morte.
  9. Nèmesi, da νέμω distribuire, che in altro aspetto è dea della vendetta, qui è dea dell’ordine, figurato nella misura del cubito.
  10. Dal Bergk, frammento.
  11. D’incerto tempo.
  12. Melissia nel testo.
  13. Per Venere ben coronata, ha il testo.
  14. Di Cirene, che fiorì sotto Tolomeo Filadelfo.
  15. La luce della vita terrestre opposta alle tenebre dell'Orco. Timone misantropo si duole di trovarsi in questo con troppi uomini.
  16. Fiorì nel secondo secolo dopo Cristo. Ma il Weise osserva che non pochi epigrammi sembrano di Lucillio.
  17. Il senso è che quel bagno era bello.
  18. Fiorì Sotto Tiberio.
  19. Come ombra vindice o demone.
  20. Fiorì nel VI secolo dopo Cristo.
  21. Fiorì nel secolo VI dell'E.V. sotto Giustiniano Primo.
  22. Antichissima madre di tutti gli Dei.
  23. In greco, Erotion.
  24. Il Jacobs cita Prisciano, che dice dell’amuleto ― lemures quidem nocturnosque pe’lens manes.
  25. Contro un giudice ladro, che aveva eretta la statua della Giustizia. V. il Iacobs.
  26. La Mira.
  27. Questo bellissimo epigramma è nel Teodoro Bergk, Poetae Lyrici Graeci. Vol. III, p. 259, Teubner 1882.
  28. Ibid. Bergk, p. 229.
  29. Sulla Venere armata, Victrix presso i romani. Iacobs.
  30. Doveva usare qualche parrucca.
  31. Dal Bergk.
  32. Bellissimo epigramma che al trad. ricorda la morte di tre suoi figli, Arturo di anni 10, Ada di 6 ½, Alfredo di 16 mesi!