Poesie della contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi/Elogio di Paolina Suardo Grismondi

Saverio Bettinelli

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Dedica Madrigale

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ELOGIO

DI

PAOLINA SUARDO GRISMONDI

SCRITTO PER RECITARSI

NELL’ACCADEMIA VIRGILIANA DI MANTOVA

DALL’AB. SAVERIO BETTINELLI.


Un elogio di donna in consesso grave de’ dotti a cui le donne non intervengono, e dan solo il nome per ornamento, ben so che dee parer non sol nuovo, ma strano, nè giustificato dall’amor patrio essendo di donna straniera, nè dall’età mia non sospetta di parzialità, che suol perdonarsi ad un tenero alletto pel sesso dominatore de’ cuori umani, ma non a quello d’un più che ottogenario, a cui s’accorda appena d’aver un cuore, o si deride se l’ha. Non sarò adunque orator prevenuto a favor di colei, che mai non vidi, e che pregiai soltanto in ispirito pe’ suoi rari talenti, e per commercio [p. 2 modifica] lontano di letteratura. E qui sorge il dubbio se possan darsi o soffrirsi le femmine letterate. Due classi ravviso di giudici tra miei ascoltanti su questa causa ognor dibattuta, e non mai decisa, come noi fu mai dal principio del mondo la sorte di questa indivisibil metà del genere umano. Gli uni filosofi, austeri impongon loro gli obblighi di sommissione, di ritiro, di modestia, e sin d’ignoranza, ond’esser docili ad ogni autorità paterna e maritale, destinandole alle umili faccende domestiche, e alla prima educazione materiale de’ figli quando lor sia dato uno sposo e una dote per gran favore, o per compassione. Tal sistema fondano nella natura, che poca fra lor pon differenza, onde tutte si rassomigliano, ed han lo stesso fine dell’interiore regolamento delle famiglie dopo averle formate per passiva, e casuale fecondità.

Gli altri ancor più filosofi del tempo nostro mirando a presenti costumi, loro accordano un posto, ed anche il primo nella società, e già strappato alla man dell’uomo lo scettro, voglion ch’esse adornin l’ingegno colla persona, temprino la [p. 3 modifica]bellezza, o suppliscano a quella leggendo, studiando, e riflettendo a prò delle stesse lor grazie esterne, della bontà, e infine della virtù, che par nata con loro, e per lor fatta. Tra questi contrarj giudizj v’ha quel più cauto, che temendo da un lato i pericoli della rozzezza imprudente, o sciocca, dall’altro que’ della vanità, dell’ozio, dell’adulazione, dell’ascendente giunto talora al dispotismo sull’uomo, a quelle soltanto concedono i letterarj esercizj, che san volgerli a moderar le passioni, a sprezzar la bellezza non incolla, a piacer colle grazie, e l’ingegno a uno sposo che seppero far contento col dono d’un cuor amico, d’una dolcezza inalterabile, d’un ajuto costante ad ogni uopo.

Tal fu quella di cui vengo a parlare, di Paolina Suardo nome in Mantova illustre per un ramo di tal famiglia sin dal 1400. qui stabilito e poi spento.

Nacque ella nel 1746 e tre titoli ebbe sin dalla nascita ond’essere fortunata. La sua patria a quel tempo godea di gran libertà lungi da un Principe di cui mai non vedea la faccia, e godea di un’ [p. 4 modifica] un’eguaglianza ignota ad altre città, confondendo per poco le condizioni con promiscui matrimonj, con traffici e industrie comuni, con generale concordia e pace, onde cresceano le ricchezze, le famiglie, la popolazione, dal cui equilibrio misurossi mai sempre la pubblica felicità. Vi fiorivano al tempo stesso le arti, gli studj, gl’ingegni all’ombra di quelle, molti chiarissimi letterati vantando in quel torno, e scrittori preclari in lettere e scienze, per quel fervore allor vivacissimo in tutta Italia, e specialmente in Padova, in Bologna, in Modena, in Parma, in Milano, in Pavia, in Torino, da questa parte, per tacer dell’altra, Toscana, Romana, Siciliana, come a quella metà del secolo dimostrano le storie letterarie, e posso io medesimo confermare entrando anch’io allora in sì gloriosa carriera. Quindi può verificarsi quella famosa Curva del nascimento, e del progresso degl’ingegni, del gusto della nostra letteratura non ancor declinante sotto al giogo delle straniere. Ma la terza fortuna sua, e più lieta perchè immediata, fu il nascere in una famiglia non sol già predominante colà pe’ [p. 5 modifica] secoli addietro, ma florida più che mai pe’ due genitori di Lei, onde potè dirsi averla in culla nodrita le stesse Muse. Caterina de’ Terzi sua madre era coltissima dama, scrivea con somma eleganza, sapea la Storia la Geografia, rendea conto dell’opere più famose de’ celebri viaggiatori, de’ quali facea le delizie sue non men che quelle de’ suoi sceltissimi amici. Tal genio può dirsi nato dall’amor conjugale avendo il conte Bartolomeo non sol prontissimo ingegno da lunghi studj nodrito, nell’arricchita per lui biblioteca domestica, ma viaggiato eziandio non pur per l’Europa, ma sino in Costantinopoli, d’onde volea scorrere l’Asia col celebre cavaliere Sagramoso, di cui scrisse la vita l’egregio Bertola, se da infermità non fosse stato impedito.

Se alcun teme d’esser troppo credulo immaginando la trasfusion de’ talenti, dell’indole, de’ genj pel sangue, almen dovrà credere al potere non dubbio dell’educazione, per cui non solo i precetti, ma più ancora gli esempj formano i figli rassomiglianti ai genitori. E chi più di Paolina dovette sentirne la forza, e l’influsso [p. 6 modifica] sin dai prim’anni circondata com’era da tanti oggetti eccitatori dell’ingegno, e dell’amore alle bell’arti ne’ libri da quelle mani ognor versati, nell’istruzioni da quelle labbra ognora insinuate, ne’ discorsi da que’ famigliari ognor tenuti, e sin ne’ giuochi, ne’ divertimenti, negli scherzi ancor puerili insinuati, e frammessi con quella perpetua giocondità e grazia amorosa, che inspira a noi tutti, e specialmente agli amanti genitori la grazia nativa, e la nascente bellezza d’un’amabil fanciulla? Non è però maraviglia, che a gara colla beltà venisse crescendo in Lei a molti indizj l’ingegno, e spiegasse l’ali quell’estro poetico, che dovea far sì bei voli. Ma quel pudor verginale, che è la prima e più forte attrattiva d’un bel volto spandevasi ancor nell’anima a fuggir gli occhi altrui, ed a nasconder gelosamente i primi versi, che la natura dettavate per man del genio o dell’istinto, sì ch’ebbe appena il coraggio di farne la confidenza all’amore paterno.

Chi può spiegare l’esultanza di lui nel vedere in que’ teneri germi spuntar sì belle speranze di vaghe frutta, giardinier [p. 7 modifica] com’egli era negli orti del Parnaso, ed egregio coltivatore di poesia e d’ogni nobil sapere? Guidolla pertanto allo studio dell’italiano linguaggio, fondamento primario d’ogni stile, e le fece trascrivere di sua mano le più belle composizioni del nostro secolo, e de’ gran maestri antichi, le quali serbava Ella tra i suoi letterarj tesori, godendo noi di misurar dalle mosse lo spazio trascorso per arrivare alla meta, ove siam giunti ad ottener la corona. Colse di poi cammin facendo i fior più eletti dell’altre lingue ad arricciarne la sua, e prima que’ della prima maestra la Latinità non per iscuola minuta e lenta, per cui han le donne dagl’ignari moderni la taccia, quasi siano di polvere pedantesca imbrattate, ma nelle versioni migliori odorando quella fraganza d’immortalità, che spirano i Virgilj, gli Orazj, i Tibulli, e che sentiamo, principalmente di questo, ne’ dolcissimi e molti versi di Lei. Tentò pure, benchè mal la salute troppo debole le arridesse, di conoscer l’inglese linguaggio, per seguir gli usi, benchè sì avverso al latino, e di tanta barbarie tinto, ma illustre fatto da [p. 8 modifica] penne famose originali, e dalle nostre eziandio, che sin là deviarono a cercar fama di novità. Il francese idioma era già in possesso dell’Italia dal principio del secolo, in cui tra noi si conobbero i gran tragici, i grandi oratori, le gran prove in ogni genere d’arti, e di scienze colla grandezza del gran Luigi, e del suo secolo più grande di lui. Su i patrj esempli e i domestici scrisse Ella e parlò quella lingua, che parea divenuta una dote più propria delle grazie e della bella dominatrici di quella nazione, che dominò su tutta l’Europa sedotta da quelle.

Ma era tempo di vederle nella Suardo conquistatrici degli occhj e del cuore de’ suoi concittadini. Luigi Grismondi portò la palma, e ne fu possessore, e n’ebbe un figlio che robusto e ben fatto prometteva una lunga vita, ma invidiosa morte il rapì in età di tre anni lasciando di sì funesta perdita i genitori inconsolabili. Fatta sposa a’ 18 anni non parve entrar nel mondo che per vieppiù abbellirlo con tanti pregi e talenti, quai sinor li vedemmo, benchè da Lei sinor celati tra le mura paterne. Aprissi ben presto [p. 9 modifica] ad essi un nuovo teatro in Verona, ove chiamaronla l’amore e la stima de’ suoi cugini i Pompei, e deve in lor casa trovò nuovo pascolo all’amicizia e all’ingegno, come nella città quella gloria perenne de’ monumenti antichi e moderni, e di quegli spiriti più sublimi, che facean sì nobil corona, e la perpetua novella fama immortal d’un Maffei. Quai uomini illustri dovrei qui ricordare1, che oggi risplendono di tanta luce nell’agon letterario, e che allora a vicenda con Lei s’infiammarono di nuovo ardore, onde uscirono i più splendidi versi, e i più eleganti, vincendo ella alfin que’ ritegni di sua modestia, e timidità, che sino allora gli avea tra l’ombre tenuti. Non dobbiam noi qui ringraziarti, o bella Verona, d’aver tanto plauso a Lei fatto e spiratole tanto coraggio, per cui sentì anch’essa la forza benefica di quel tuo clima felice, cui debbo anch’io l’ispirazione dell’opere mie meno spregevoli, o più fortunate a quella stagion medesima di sì cara ed acerba ed onorata memoria ai Veronesi?

Tornata in patria cinta di quegli allori non potò più celarsi al pubblico, e seguì [p. 10 modifica] arditamente l’impulso avutone studiando senza posa, e componendo fors’anche più che non comportava la delicata sua complessione, cioè quegli organi, e quelle fibre tanto più atte per lor finezza a trasfonderla nelle invenzioni, e nello stile poetico, quanto più pronte a stancar le lor sottilissime oscillazioni, e a produr que’ tremiti convulsivi, che col tempo indebolirono e afflissero la gentil machina, e l’ospite anima più gentile.

Fu però buona sorte che lo spirito viaggiatore in lei trasfuso dal padre, e avvalorato da più brevi corse, come quella fu di Verona, la chiamasse a necessaria distrazione dagli studj faticosi e sedentarj, e la conducesse per varie città d’Italia, ed oltre l’alpi. La Francia per noi oggi antica, sì l’antica Francia era allora il centro d’Europa, e Parigi il centro di lei, quel Parigi in cui l’uom parea sol vivere, mentre altrove parea sol vegetare, se al suo detto credeasi, e dove certo si componeva la vita di tutti i piaceri, di tutte le libertà, di tutto il lusso, quel pur compresovi d’ogni scienza, d’ogni arte, d’ogni delizia d’ingegno. A questo [p. 11 modifica] Lesbia, nome seco portato ad onor dell’Arcadia per lui superba, ed a pastoral vezzo poetico usa tra quelle pompe non pastorali, a questo Lesbia abbandonossi co’ più chiari spiriti conversando, che ne ammiravan l’ingegno, la grazia, il discorso vivace, e colto non indifferenti alla persona, ed al viso, che senz’essi avvedersene, e senza volerlo essa, trasmutava anche i filosofi in adoratori, ed amanti della nuova Minerva in figura di Venere lor presentatasi.

Più tempo richiederebbe il commemorar minutamente quell’epoca sì gloriosa per Lei, per la sua patria, per l’Italia; facendo a Lei tributarj non sol di lodi? e d’affetti, ma ancor di poesie que’ celebri Autori di belle e dotte opere, i quali sdegnavan per poco ogni straniera letteratura, e dall’alto di loro accademie famose appena degnavan d’un guardo i più dotti europei colà concorsi ad illuminarsi, e ad umiliarsi davanti a loro oracoli divinizzati dall’opinione predominante. Una donna italiana vendicò allora l’Europa traendo a venerarla que’ superbi dominatori d’ogni sapere, e talento, e [p. 12 modifica] gareggiare tra loro dell’onore di frequentarla, di leggerle l’opere loro, di scriverle dotte lettere, e non per forza di sua presenza e di sue attrattive, ma per lungo tempo eziandio nella sua lontananza. Potrei citarvi il nome di2 molti, che anch’oggi per gran volumi dipoi pubblicati hanno fama autorevol tra noi, e bastivi saper che tra questi non ultimo fu quel lor patriarca, quel Proteo d’ogni letteratura, quel Jerofante di tutti gli Autori, quell’idolo della Francia, e per Lei dell’Europa pedissequa, quell’Eucelado infine che fe’ guerra al cielo, sì quel Voltaire le tributò suoi versi, e ciò non nel solitario Ferney, ove anch’io n’ebbi qualche onore, ma nel mezzo de’ suoi parigini trionfi, che giunsero poco appresso a soffocarlo, cornei predisse sotto al peso della sua gloria.

Di tutto questo n’abbiam le prove ne’ monumenti da Lei serbati, e in varie sue poesie scritte in quel tempo di tanto vortice rapitore della quiete e dell’applicazione, non sol per gli ossequj de ’ letterati, ma pel concorso di gran personaggi, d’ambasciadori, di ministri ad onorarla. [p. 13 modifica]

Dopo questo viaggio pien di sua gloria, venuta con Lei per un tratto della Germania nel suo ritorno, potrei tacere degli altri ad altre nostre città, ma non posso quel dimenticare fatto a Pavia, per cui nuovi omaggi raccolse da que’ Professori famosi, ma quel soprattutto del suo concittadino Mascheroni professore di Matematiche, e divenuto per Lei sola poeta maraviglioso. Parlo di que’ versi applauditi da tutta l’Italia pe’ quali Virgilio stesso parve italiano, e divenne scientifico, passeggiando con Lei per tutti i monumenti di quell’emporio d’ogni sapere, d’ogni studio, d’ogni facoltà come in sua casa, ed abbellendole tutte, e rendendole a Lei domestiche in una mirabile poesia, cui sino allora parate eran straniere. Ah dican pure i Catoni, che le donne son destinate ad ubbidire, a tacere, a nascondere i lor bei talenti; ma dopo che le avvezzammo con tante adulazioni in verso e in prosa a sentire la vanità prima ancora della ragione, come tener si ponno entro la sfera di quei limiti angusti, e non sentir gl’inviti della fama, dell’emulazione, del predominio [p. 14 modifica] onde giungono ad assoggettare la profondità del giudizio, e l’elevazione del genio, che a noi soli vogliamo attribuire giudici insieme e parte in questa causa sempre male difesa, e mal combattuta con vicendevole parzialità? Lesbia felice, che sortita avendo un’indole dolce, e modesta sapesti vincere tante lusinghe, dalle quali nell’altre donne vien nudrita una cieca idolatrìa di se stesse tra le insidie d’un amor proprio ancor più cieco, e tra quelle della bellezza unita al talento, e della seduzione dell’entusiasmo spirato nel cuor degli uomini affascinati!

Or miriamola adunque nella quiete della vita privata in mezzo a veri adoratori suoi, cioè parenti, amici, e spesso stranieri, che la visitavano per la sua fama, e per conoscenza fattane in altre parti. Eccola sempre più amabile malgrado la mala fortuna, che non ci vuol Profeti in patria, e dove noi siamo il più spesso per nostra colpa, spregiandone gli usi, e le persone per le memorie de’ più grandi oggetti ammirati da noi, e per illusione d’esser noi pure divenuti più grandi per quelli. Niun s’avvide ch’ella seco avesse [p. 15 modifica] recato alcun di tai pregitulizj da Lei soggiogati per un tenero amor della patria, ma non pregiudicalo, perchè fondalo in un bel cuore, in un’anima generosa, in amicizie prescelte, e virtuose. Con queste dintorno più che mai si rivolse agli studj arricchiti pur anche delle spoglie raccolte nell’altre nazioni. I chiari uomini a Lei noti le davan frequenti occasioni d’esercitare la penna in risposte di verso, e di prosa elegantissime, delle quali potrebbon farsi volumi oltre quelle che già uscirono in luce per caso, e galleggerebbero con quelle celebri delle donne illustri del cinquecento. Io ne son testimonio per mia fortuna dacch’ella venne spontaneamente invitandomi ad un carteggio amichevole insieme e letterario. E qui dovrei disdirmi del non averla mai veduta, e trattata poichè qual più potea, dopo il ritratto in alabastro da Lei mandatomi, meglio rappresentarmi con quel del volto quello dell’anima, e del carattere suo di quel che facessero le continue sue lettere ricche ad un tempo d’ingegnosi pensieri, di coltissimo stile, di vera spontanea, e più ancora di confidenziale [p. 16 modifica] effusione d’un cuor dilicato e sensibile, d’una dolce indole spirante virtù, d’una modestia e deferenza docile a miei consigli, d’un candor sopra tutto in ogni tratto diffuso per cui tutta l’anima trasparendo non l’immagine sola di Lei, ma Lei stessa pareami ravvisar quasi presente. Quai colori poi avvivavano questa presenza nelle varie composizioni, che colle lettere confidavami, que’ color sì soavi d’una ridente, e vaghissima fantasìa nei teneri ovver patetici argomenti, o d’una nobile e forte immaginazione ne’ più elevati, e splendidi. In questi parea un’altra, non già quella sì dolce, e leggiadra, qual era naturalmente, ma franca ed ardita sino ad affrontar il trono formidabile d’una Caterina II. maggiore di tanti Re per imperio, e più ancor per gran mente, nè il suo canto fu men magnifico, e meno applaudito delle celesti imprese di quella Semiramide conquistatrice di nuovi regni, e nazioni. Nè quell’altro famoso conquistatore più che difensore di Gibilterra, che rendette Europa attonita, e Spagna atterrita con Francia, non si credette egli onorato dai versi di Lei, [p. 17 modifica] de’ quali dice egli stesso, all’incanto de quali io riconosco nel bel sesso il poter di creare gli eroi, e di fare giugnere il nome all’ultima posterità. Con qual estro sublime s’innalza ella scrivendo in terzine al duca di Ceri della guerra d’Europa, de’ gran poeti di Roma, e delle glorie di questa per quella dell’amico poeta, e della canzon di lui a Lei diretta! Ne men sublime e animosa emula essa il francese Pindaro, anch’oggi tale acclamato in Francia, il famoso Le Brun, superandolo a mio parere col porre in nobilissime ottave rime l’ode di lui veramente Pindarica, più che in quella lingua niun mai l’alzò, e tanto più alzandosi entrambi poi grande ardire di cantar le glorie di quel Buffon, di quel Genio sovrano della natura, vincitore di Plinio, e pittore maraviglioso insieme e creatore d’un nuovo universo. Non esagero io no caldo qua! sono di queste altissime poesie, delle lodi a Lei date nelle lor lettere da que’ due primarj letterati, dell’atmosfera eccelsa in cui visse, ed io lo vidi quel gran Buffon superiore in fama a tutti i filosofi, che tutti tendevano [p. 18 modifica] ad esserlo, e a lui solo quasi a nume tributavano omaggio. Ma leggete voi stessi quelle rime di Lesbia se volete giustificare il mio caldo, e trovar Lei assai più che donna.

Che seppur donna volete amarla più che ammirarla prendete in mano le molte rime, e i molti sciolti, ch’ella scrisse per man d’amore e d’amicizia ai più chiari poeti francesi, e italiani, benchè anche qui senta ella un estro talora insolito o sull’alpe nel lasciar l’Italia, o sugli appennini nel correre a Genova, o sul mare nell’affrontar la burrasca passando in Toscana, nel tornar quinci in Lombardia, e dove no? Ma piace a me l’estro del cuore, poich’io nacqui affettuoso, l’estro meno splendido, ma più sublime di donna cara per lui all’uomo, e spesso Dea di lui. E qual più bel cuore di quel di Lesbia, che diffondesi ne’ suoi versi e nelle sue prose non per istudio di penna, e d’ingegno, ma per segreto balsamo sparso su quella carta a profumo e flagranza d’immortalità Petrarchesca, ovver Tibulliana? Io lo sento ancor più vivamente nel lugubre suo canto, anzi [p. 19 modifica] in quel pianto soavissimo, qual sentillo Virgilio nell’usignuolo dolente, o quando ella sparge di dolci lagrime su l’urna de’ cari amici, o quando sfogasi ne’ lamenti pietosi sulle perdite di sua salute, o quando per esse abbandonasi in braccio al dolore acerbissimo di lasciar la sua cetra già polverosa, e di prender commiato barbaro dalle amate sorelle di Pindo.

Ma ohimè questo cuore si tenero e sì sublime dove mi guida alfine per la via stessa d’amore e di virtù alla perdita stessa della sua vita? Dopo aver per molt’anni sofferti assalti di tanti mali, potendo anch’ella pur troppo dire d’averli tutti provati, l’amor figliale doveva esser quello, che nel finirli tutti ce la rapisse per sempre. Una lunghissima malattia della madre amante ed amata coll’assistenza perpetua di Lei tra oggetti sempre funesti, tra desiderj e speranze ognor tradite, tra l’angosce di vedersela poco a poco rapire, e di perderla finalmente qual colpo non fu per quel cuore, e qual per un corpo già tanto debilitato, già infermo per tanti incomodi, già non [p. 20 modifica] più capace dì vivere oltre un anno, o poco più, come io stesso previdi, invano scrivendole di curare la propria nel vegliare alla salute della madre inferma, meco pur perorando a tal fine i tre più degni, e cari amici suoi3. Ma chi potea persuader un tal cuore, e salvar questa vittima destinata ad amore?

E qui dimentico tutti gli altri suoi pregi, e la gloria per que’ venutale di gran talento, e di celebrità letteraria per le dolci attrattive di tante sue virtù morali e religiose, di cui lasciò mirabili esempj alla patria, agli amici, al secolo suo, che sul finire anch’esso abbisognavate più che mai. No non ricordo le molte accademie alle quali4 fu ascritta, non gli uomini più illustri, che la encomiarono5, non i tributi delle lor opere, bench’io mi glorj d’esser tra questi6, e tra lor l’ultimo io ne sia pure, e neppur gli omaggi delle bell’arti7 ch’ella protesse, e favoreggiò ne’ lor cultori più celebri, nè il favor de’ Principi, nè il plauso de’ pien teatri al recitarvi talor tragedie8, nè qualunque altra dote, o gloria umana, che tutte dispaiono [p. 21 modifica] in faccia della virtù divina, che in Lei fu sempre la prima, e formò le delizie di quel cuore, che fu somma delizia di tutti i cuori.

Sì, miei cari, tutto il resto sia pur vanità, com’è l’illusion più infelice della superba filosofia del secolo, ma una eccellente carità, ch’egli mal trasforma in lubrica umanità, la carità sollevatrice della miseria, compassionevole per gli afflitti, benigna co’ servi e domestici, una pazienza inalterabile nell’infermità, che volea perfin sollevameli, e sapea dissimularne a lor le mancanze, una pietà cristiana anch’essa come la carità, poichè non degnerei parlarne se virtù non fossero sovrumane, e figlie del cielo a cui le volgea, una pietà, dico, non pomposa agli occhi degli altri, ma segreta dinanzi a Dio sino a prender da lui congedo, a chiederne grazia, e consiglio prima d’entrare sulla scena del mondo, e nella società giornaliera, cui sapea d’esser cara, e temeane le insidie, pietà fondata in solida religione, per cui potè vincere i terror della morte, la morte de’ giusti incontrando a temperare il dolor della patria, e degli [p. 22 modifica] amici al mirar quella beli’ anima sciolta da’ vincoli della condizione mortale volare in seno della vera immortalità lasciando a noi miseri il sol conforto di consacrarle quella del nome sì ben da Lei meritata9.



Note

  1. [p. 35 modifica]Cavalier Ippolito Pindemonte, Girolamo Pompei, abate Lorenzi, Alessandro Carli, Ippolito Bevilacqua, Miniscalchi, abate Eriprando Giuliari, abate Giuseppe Pellegrini, e molti altri.
  2. [p. 35 modifica]Buffon, Diderot, La Lande, Montignì, Le Mierre, Mercier, Dorat, Mad. du Boccage, Boscovich ec.
  3. [p. 35 modifica]Col fratello di Lei, che meritò un sì bel titolo nomino i principali, Vailetti, Vertova e Beltramelli, dal qual trassi le più importanti notizie della sua vita da lui comunicatemi dopo 34 anni di società con Lei a gara cogli altri, coi quali Vailetti stesso tentò la sua guarigione con un viaggio seco a Verona e a Venezia, ma a nulla valsero ne le cure dei sopralodati suoi amici, nè quelle del ch. Medico Giuseppe Pasta, nome celebre, e caro ad Esculapio ed alle Muse.
  4. [p. 35 modifica]Di Fossano con bellissima iscrizione colà pubblicata ad onor suo degl’Inestricati di Bologna, Eccitati di Bergamo, Dissonanti di Modena, Catenati di Macerata, Occulti di Roma, oltre l’Arcadia ove esiste il suo Ritratto, Agiati di Roveredo, Affidati di Pavia, Accademia Fiorentina, Scienze ed Arti di Mantova, ma questa per la sua morte privata del suo nome.
  5. [p. 36 modifica]Cavalier Pindemonte, P. Gregorio Fontana, Mad. Malaspina, cav. Colpani, conte Marenco, ab. Rubbi, cav. Vannetti, Soave, Tiraboschi, Muratori Giuseppe, Serassi P. A., Padre Fontana, ora cardinale meritevolissimo di s. Chiesa ec. oltre i già citati.
  6. [p. 36 modifica]Colpani, Corniani, Roncalli, Brignoli, Soncini, P. Grossi, Ricci, Maffoni, Pompei, Pindemonte, Torelli, abati Pellegrini, e Giuliari, P. Cesari, Conti, Bevilacqua, Miniscalchi, Carli, Lisca, Cesarotti, padri Contini, Pujati, Franceschinis, abati Rubbì, Azevedo, Meloni, Pizzi, Brognoli, Gambara di Brescia, ab. Moschini, conte Roberti, ec. e le mie lettere a Lei su gli Epigrammi.
  7. [p. 36 modifica]Il pittor Mauro Piccinardi mantenuto in sua casa molti anni, come pur Francesco Roncalli da Lei e dal Vailetti mantenuto parecchi anni in Roma, Angelica Kaufmann, Canova, Vitali, Franchi, Querenghi ec.
  8. [p. 36 modifica]Recitò con gran plauso in teatro co’ suoi amici col concorso anco di molti Forastieri, e Milanesi singolarmente, fra quali distintissime dame, Caravaggio, Litta, Serbelloni ed altre.
  9. [p. 36 modifica]Donna Paolina Secco Suardi Grismondi cessò dì vivere il giorno 8. Marzo del 1801. nell’età d’anni 55., essendo nata del 1746.