Piccoli eroi/La festa campestre
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LA FESTA CAMPESTRE.
— Andremo, è vero, Maria? — disse Elisa, appena fu uscita la signora Guerini.
— Non so, — rispose Maria, — devo pensarci, perchè se mi fa piacere essere in buona relazione coi nostri vicini, non ho mai pensato di entrare nella loro intimità; c’è fra noi troppa distanza; essi sono ricchi, e ci potrebbero trascinare a delle spese che per noi sarebbero una rovina, e forse ci renderebbero malcontenti della nostra vita modesta, che ora ci piace tanto.
— Andiamo, andiamo, ho tanta voglia di vedere la villa; dicono che è così bella, — disse Elisa.
— E a me Alberto mi ha promesso di farmi andare in velocipede, — soggiunse Carlo.
— Voi, proprio non lo meritereste; se mi risolverò a condurvi sarà per compensare Vittorio d’essere stato coraggioso.
— Andiamo, — supplicava Mario, — così potrò fare qualche caricatura!
Maria non seppe resistere a quelle preghiere e promise di accompagnarli.
Allora Elisa incominciò a pensare ad aggiustare il suo vestito, quello che metteva i giorni di festa, ed era tutto sciupato; voleva andare in paese a comperare dei nastri per adornarlo, ma Maria si oppose. Non voleva spendere un centesimo per quella festa, e tanto meno per fronzoli inutili; bisognava contentarsi di andar vestiti semplicemente e non mettersi in capo di essere ammirati: soltanto voleva dare un’occhiata ai vestiti chiari per vedere che non ci fossero macchie o strappi, e durante il giorno ebbe un bel da fare a ripulirli e stirarli, e dar loro qualche punto. Angiolina le era di grande aiuto e pensava alle sue amiche senza pensare a sè stessa.
Essa diceva che avrebbe fatta una figura meschina col suo vestito di lanetta bigia ed anzi si era proposta di stare a casa; ma quando capì che Maria non gliel’avrebbe permesso, si rassegnò, dicendo che si sarebbe nascosta in un canto perchè nessuno badasse a lei.
Per tutta la giornata quei ragazzi non fecero che parlare della festa; erano allegri, felici, gridavano e saltavano come pazzi.
Maria stava sopra pensiero; dopo la fiera, la festa in casa Guerini: erano troppi divertimenti, troppe distrazioni, e chi ne andava di mezzo era lo studio, e temeva che Carlo non potesse passare gli esami; ma egli la rassicurava. Avrebbe studiato con più lena dopo essersi divertito.
Il giorno dopo all’ora stabilita s’avviarono verso villa Guerini.
Maria era vestita semplicemente di lana, con un cappellino di paglia che le copriva la fronte; le sorelle avevano aggiustato e ripulito i loro vestiti chiari e in mezzo alla campagna facevano una bella figura.
Quando giunsero davanti al gran cancello della villa, si fermarono un po’ timide, non avevano coraggio d’andare avanti.
Anche Maria, che non era avvezza a frequentare la società, si sentiva confusa e impacciata, ma si fece coraggio ed entrò seguita dalla sua compagnia. Attraversarono un viale ombreggiato ed un giardino tutto formato da gruppi di conifere, di piante esotiche e di macchie fiorite.
— Come è bello! — dicevano i ragazzi in ammirazione; — pare un giardino incantato.
E pareva incantato davvero: ad ogni tratto s’apriva un viale, poi si trovavano quasi rinchiusi in un boschetto misterioso, poi veniva un po’ di rado dove entrava esultante un raggio di sole, e alberi, e fiori, e sedili coperti di musco; ma per un bel tratto non trovarono anima viva; ad un certo punto soltanto incontrarono due cani danesi, che fecero subito amicizia con Mario e Giannina, e finalmente dopo aver passato un viale più largo si trovarono davanti alla bellissima villa tutta circondata di piante fiorite e illuminate dal sole, rallegrata da immensi zampilli d’acqua, che a quella luce parevano spruzzi di diamanti, e davanti videro un bel prato verde dove era preparata una quantità di giochi, e si trovavano aggruppate varie persone, belle signore eleganti, e vispi bambini che correvano e si trastullavano, ridendo e riempiendo quel giardino di vita e d’allegria.
I signori Guerini fecero molte feste ai Morandi, e la signora presentò al marito, Vittorio che aveva salvato Alberto, Angiolina quella brava figliuola ch’era stata tanto utile alla sua mamma, e Maria che amava già come una vecchia amica, della quale don Vincenzo e il professore Damiati avevano sempre parlato con molta stima. Il signor Guerini era un uomo cortese, ma d’aspetto severo, e a quei fanciulli dava soggezione tanto che gli stavano innanzi cogli occhi bassi senza parlare.
Egli, per fargli animo, disse loro di raggiungere il crocchio dove si trovavano Alberto ed Elvira cogli altri invitati, e mentre si disperdevano correndo sul prato, rimase a chiacchierare con Maria. Parlarono dei bimbi e del modo di educarli: egli si mostrava impensierito, perchè ai suoi figli piacevano troppo i divertimenti e poco lo studio, e mostrò il desiderio che frequentassero casa Morandi, dove sapeva che i ragazzi erano studiosi e passavano le giornate occupandosi.
Maria parlò dei suoi fratelli, poi ammirò il giardino, la villa, e si mostrò riconoscente d’esser stata invitata ad una festa così bella, come non ne avea mai veduto l’uguale.
Infatti la festa riusciva bellissima, arrivavano da lontano degli equipaggi che conducevano signore eleganti, e bimbi belli, e ben vestiti.
Sul prato verde e pieno di gente, gli attrezzi della ginnastica e l’altalena erano presi d’assalto; poi si giocava alla palla, al volano, ai cerchi; in mezzo ad un boschetto ombroso c’era un casotto di burattini, che al momento in cui s’incominciò la rappresentazione raccolse intorno a sè tutta quella schiera di bimbi.
Carlo fece una corsa in giardino sul velocipede di Alberto, Vittorio si fece prestare una macchinetta fotografica e volle tentare di cogliere qualche gruppo. Furono serviti dei rinfreschi, dei pasticcini, che formarono la delizia di tutti quei bimbi, e il divertimento terminò con un ballo campestre in mezzo al prato.
Fu una festa completa, che lasciò una durevole memoria nei ragazzi Morandi, i quali non avevano mai assistito ad un simile spettacolo, tanto che appena ritornati a casa, Angiolina scrisse subito alla sua mamma la lettera seguente:
- Cara mamma,
Te la puoi imaginare la tua figliuola ad una splendida festa in una villa grandiosa, di quelle che si trovano descritte nei libri delle fate?
Eppure, la tua figlia c’è proprio andata, in carne ed ossa, colla sua vesticciuola di lana bigia e il suo cappellino di paglia semplice e modesto.
Ma se avessi veduto che allegria! che splendidezza! Fu una vera fantasmagoria! ne ho ancora la testa tutta confusa!
Figurati un bel giardino grande, anzi immenso, con tanti viali, tanti boschetti e tanti fiori; pensa che allontanandosi dalla casa c’era da perdersi come in un labirinto.
Fortunatamente che non c’era bisogno d’allontanarsi tanto, perchè tutti i divertimenti erano vicini, raccolti intorno alla villa; un vero incanto.
Della villa non potrei fartene la descrizione, perchè non vi entrai che un momento solo, ed ho preferito stare in giardino dove c’erano tanti giochi e tante bambine.
Non mi ricordo nemmeno tutto quello che ho fatto; so che ho giocato, ho ballato come una disperata, ho assistito ad una rappresentazione di burattini; figurati che Arlecchino voleva far da maestro agli altri, e intanto diceva una quantità di spropositi, che ci facevano smascellar dalle risa.
Ho mangiato una quantità di pasticcini deliziosi, e mi sono tanto divertita, che credo in paradiso non ci si possa divertire di più.
C’era una lotteria, con regali per tutti, ed io ne ho avuto uno bellissimo, un astuccio con l’occorrente per scrivere; poi Alberto Guerini, il quale ha una macchina fotografica, fece la fotografia di tutti i presenti, a frotte, a gruppi, e mi promise una copia del gruppo, dove c’entro anch’io, per memoria di una giornata così bella.
Ritornando a casa, non si fece che parlare della festa. Elisa era fuori di sè, e invidiava Elvira destinata ad una vita così ricca ed elegante. Carlo avrebbe avuto una gran voglia del velocipede di Alberto, e Vittorio diceva di volersi fabbricare una macchinetta fotografica; il professore gli avea spiegato tanto bene come era fatta, che sperava di riuscirvi.
Anche Mario e Giannina erano allegri, e pensavano di andar spesso in casa Guerini; ma Maria non sembra pensarla così, osservando che la vita non è una continua festa, che bisogna studiare e lavorare, e che per quest’anno non avrebbe accettato un altro simile invito.
Poi voleva persuadere Elisa che i signori Guerini, con tutte le loro ricchezze, dovevano aver molte brighe; intanto tutto il da fare che si erano presi per divertire quella gente, poi quell’essere sempre in giro, od aver sempre degli ospiti, doveva esser una vita faticosa, che non lasciava tempo all’intimità ed al raccoglimento.
A me pare che abbia tutte le ragioni, e che facendo una vita a quel modo, non ci sia nemmeno tempo di volersi bene, e di scambiare le proprie idee colle persone care.
Ti confesso però che mi sono divertita molto, appunto perchè non avevo mai assistito ad una festa simile; ma se ciò si ripetesse spesso, mi stancherei, e non sarei contenta di passare il tempo a divertirmi senza esser utile a nessuno.
Tu temi che mi rincresca ritornare in città! Mamma mia, non dir queste brutte cose! Ho avuto molto piacere di passar quindici giorni in campagna, mi sono tanto divagata; ma rivedere dopo tanto tempo la mia mamma e il mio babbo, e ritornare alla mia casetta, è per me la gioia più grande.
Mi spiace più di tutto perdere i bei racconti di Maria; ma essa mi ha promesso di leggerne qualche altro finchè rimango qui, e poi di mandarmeli tutti, sono racconti che mi piacciono tanto; pare che il mondo sia più buono, dopo averli sentiti.
Addio, mamma mia; addio, babbo, fra tre o quattro giorni sarò di nuovo con voi, vi racconterò tutto quello che ho goduto, e che sarebbe troppo lungo scrivere, e vi farò vivere della mia vita di questi quindici giorni; la vostra
Angiolina.