Piccola morale/Parte terza/XI. L'esagerazione

Parte terza - XI. L'esagerazione.

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XI.

L’ESAGERAZIONE.

Ad ogni idea, ad ogni frase ch’esca alcun poco della periferia delle idee e delle frasi ordinarie, udiamo subito esclamare uomini e donne d’ogni età, d’ogni condizione, d’ogni credenza: esagerazione! Chi ebbe la disgrazia di concepire quell’idea, di pronunziar quella frase, si arretra sbigottito dinnanzi a quel grido della pubblica disapprovazione, e rientra senza più nella sfera ordinaria delle idee e delle frasi adottate dalla comune. Accade allora una grande divisione tra uomini e uomini altri, desiderosi di far [p. 194 modifica]cammino colla moltitudine, discredono alle ricevute impressioni, rinnegano gli affetti originarii del proprio animo, tengono sempre l’occhio rivolto al corso abituale degli avvenimenti, e a quello conformano i proprii pensieri e le proprie azioni, e questa si chiama prudenza; altri, insofferenti del giogo che si vorrebbe imporre al loro intelletto ed al loro cuore, ma non abbastanza coraggiosi e gagliardi per tener fronte alle consuetudini e all’esempio, si ristringono in sė medesimi e cercano nel mondo interiore alcun che da cui vengano compensate le perdite che sono costretti di fare nell’esteriore, e questa si chiama misantropia; altri, per ultimo, quand’anche s’accorgano che il combattere sarà senza vittoria e non altro poter loro fruttare il valore salvo oltraggi e ferite, nulladimeno condotti, o a meglio dire incalzati da una imperiosa necessità, tengono alta la testa, e bandiscono a piena gola le massime che loro sono suggerite dall’intimo couvincimento, e questa con diversi nomi si chiama originalità, bizzarria, genio, arroganza; sempre in ragione del buon successo.

Non mi fermerò adesso ad esaminare con quanta giustizia vengano dispensate queste intitolazioni, e se la prudenza potesse dirsi assai spesso con più ragione vigliaccheria, o la misantropia generoso dispetto; non farò soggetto del mio discorso la quistione se e in quanto la voce pubblica possa influire sulle inclinazioni, quando sieno aperte e [p. 195 modifica]gagliarde, degli uomini. Scrivo in una stanzetta tappezzata di libri, dai quali mi viene un’ispirazione molto simile a quella che provasi da chi passeggia per un cimitero. In questi libri depositarono gli uomini di un’altra età le passioni che agitarono la loro vita; e mentre il loro corpo ha perduto la conoscenza dei gaudii e dei dolori di questa terra, molta parte delle loro anime volteggia tra quelle pagine, e risponde, con fievole si, ma pur tuttavia intelligibile suono, a chi si piace d’interrogarla. Anche qui la petulanza continua il suo impero, e ne veggo molti a cui fu propizio il ricorrere degli avvenimenti, stampati a più riprese con tipografica venustà, e insigni di fregi esteriori, far invito alla mano che li tragga dallo scaffale, mentre altri, forse pregni di più util sapere, rimanersene ricantucciati perennemente sotto la polvere, che ognora più si condensa per logorarli. E la luna, pcnetrando per le finestre, batte col leggiero suo raggio su tutta questa congerie di autori indistintamente, e lascia cadere fantastiche ombre qua e là come a caso, rischiarando alcuna volta appunto que’stessi dimenticati volumi che l’uniforme raggio del sole avrebbe confusi nella dimenticanza.

E qui pure moltissimi fra’ miei lettori già stanno sull’esclamare: esagerazione! Ma se tali sono le mie sensazioni, dovrò dissimularle per amor del prossimo, che certamente non rimarrà più instrutto dalla noiosa ripetizione di ciò che io [p. 196 modifica]provo in me stesso di consentaneo agli altrui sentimenti, di quello rimaner possa dalla manifestazione dei miei sentimenti spontanei ed originarii? E poi; non è appunto della esagerazione che io voglio parlarvi? Fu dunque con qualche ragione che ve ne diedi un qualche saggio.

Ma che cosa intendete per esagerazione, uomini garbati del mio e d’ogni tempo? Un fare, un dire, levato dall’ordinario? No, perchè allora dovreste confessare che pensate non avervi, nė potervi avere uomini straordinarii. Dunque un fare e un dire che contraddica a quanto internamente si prova, o per lo meno lo amplifichi e lo trasmodi. Ma in questo caso mi venga fatto lecito il domandare: e quale sarà l’indovino che sappia leggere esattamente nel cuore degli altri, per trarne argomento a giudicare se quanto è ivi dentro corrisponda o no a quello che viene mavifestato dagli atti esteriori? La natura umana non cangia nè invecchia, mi rispondono in coro i sapienti: sia pure, ma e direste voi naturale a questa età ciò che era naturalissimo ad età da questa nostra rimote? Vuol esser dunque una composizione delle regole generali secondo le quali cammina la natura in ogui tempo, con quelle particolari a certi tempi, la misura conveniente a proferire un esatto giudizio. Ma essendovi pur sempre una parte mutabile e individuale, potrà questa essere definita da un uomo solo, secondo la dottrina e le passioni che gli sono proprie? [p. 197 modifica]Qui mi accorgo, e si accorgono meco certamente i lettori tutti coscienziosi, che c’ingolfiamo in un pelago di questioni, e corriamo pericolo di rimanere sviati tra la nebbia delle metafisiche sottigliezze.

Venghiamo senza più ai fatti. Si grida per una parte l’esagerazione essere ciò che vi ha di più opposto alla semplicità e alla naturalezza; per altra parte le nazioni più rozze, e l’età meno adulte doversi avere a modello di quella semplicità e naturalezza tanto desiderate. Ora domando: di ciò a cui date nome di esagerazione vi hanno esempi più solenni e frequenti che nelle rozze nazioni, e nell’età meno adulte? Pensate. Ma voi dite, mi sembra, che ciò ch’è naturale ai popoli rozzi e a’ fanciulli, appunto per quella rozzezza loro e per quella loro bambineria, diventa esagerazione, tolte che siano quelle due condizioni. Con questo mostrate di credere che lo sfregamento sociale operi con pari efficacia su tutti i cuori, e il lavoro del tempo sia uguale per tutti indistintamente. Ed io ho conosciuto taluni ai quali non altro mancava fuorchè il cangiare in una pelle d’orso il pastrano ad essere contemporanei di Nembrotte; ed altri che coll’incanutire delle chiome non avevano saputo perdere la verecondia de’ loro primi anni. Non sarebbe in essi esagerazione, se per esagerazione si deve intendere la soverchianza delle parole rispetto agl’interni pensieri, il tenere linguaggio corri[p. 198 modifica]spondente all’ordinario di tutti coloro, che dopo essere colati nella immensa fornace sociale vengono gettati nello stampo comune, ed escono fog. giati ad un modo? Con questo di più, che ove sia loro rimasto qualche ineguaglianza, questa vien loro tolta in brev’ora dalla lima, affinchè non eccedano neppure d’un capello l’ordinaria misura. A ciò pensando confesso che ne ne vo assai lento nel sentenziare se vi sia o no esagerazione in quanto altri fa, ovvero dice, e mi suc. cede talvolta di ritrovarla in quegli uomini appunto che passano per moderati e contenuti in grado superlativo. Più che la collera di Domizio. a me sembra esagerazione la flemma di Tiburzio; più della garrulità di Elvio l’indomabile silenzio di Lampridio.

Conchiuderò che una certa specie di esagerazione l’abbiamo pur tutti, e quando pure ci accada di sapercene astenere una, due, dieci volte, viene pur quella in cui non rispettiamo più gli argini e dilaghiamo. Una delle più care venture della vita si è lo scontrarsi in persone atte ad appassionarsi nella manifestazione, tuttochè insolita e disinvolta dalle regole del linguaggio comune, delle interne nostre affezioni. Egli è allora che Panima nostra si accorge di ricuperare l’originaria sua indipendenza e di espandersi in tutta la sua originaria attività ed efficacia. Il cerchio immenso di tutte le cose create si riflette allora nel nostro intelletto, che se ne forma, come a dire, [p. 199 modifica]il centro, e di qua scappano quei lampi di pellegrino splendore che abbagliano la mediocrità, ma contendono lungamente colla notte dei tempi e della ignoranza. L’esagerazione si viene a mano a mano cangiando in realtà, e la confusione si riversa tutta sulla fronte di quelli, che, inetti a sentire potentemente, si erano levati in sentenziatori degli altrui sentimenti. Quasichè non vi potesse essere, e non siavi pur troppo! un’esagerazione grandissima in chi si leva a giudice dell’esagerazione degli altri.