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gagliarde, degli uomini. Scrivo in una stanzetta tappezzata di libri, dai quali mi viene un’ispirazione molto simile a quella che provasi da chi passeggia per un cimitero. In questi libri depositarono gli uomini di un’altra età le passioni che agitarono la loro vita; e mentre il loro corpo ha perduto la conoscenza dei gaudii e dei dolori di questa terra, molta parte delle loro anime volteggia tra quelle pagine, e risponde, con fievole si, ma pur tuttavia intelligibile suono, a chi si piace d’interrogarla. Anche qui la petulanza continua il suo impero, e ne veggo molti a cui fu propizio il ricorrere degli avvenimenti, stampati a più riprese con tipografica venustà, e insigni di fregi esteriori, far invito alla mano che li tragga dallo scaffale, mentre altri, forse pregni di più util sapere, rimanersene ricantucciati perennemente sotto la polvere, che ognora più si condensa per logorarli. E la luna, pcnetrando per le finestre, batte col leggiero suo raggio su tutta questa congerie di autori indistintamente, e lascia cadere fantastiche ombre qua e là come a caso, rischiarando alcuna volta appunto que’stessi dimenticati volumi che l’uniforme raggio del sole avrebbe confusi nella dimenticanza.

E qui pure moltissimi fra’ miei lettori già stanno sull’esclamare: esagerazione! Ma se tali sono le mie sensazioni, dovrò dissimularle per amor del prossimo, che certamente non rimarrà più instrutto dalla noiosa ripetizione di ciò che io