Piccola morale/Parte terza/X. Concentramento e dispersione
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X.
CONCENTRAMENTO E DISPERSIONE.
Passeggiando vicino ad un laghetto mi fu veduto un ragazzo, che, lanciando un sasso nell’ acqua. pigliava diletto di que’ cerchi che più sempre allargandosi venivano insensibilmente a svanire del tutto presso la riva. Ecco Livio, dissi fra me; non però sotto voce si fattamente che chi mi fosse stato da lato non avesse potuto udirmi, come si vedrà indi a poco. In questo un picciolo zufolamento mi fece girar l’occhio a un’altra parte, ove sorgevano alcune graziose pianticelle palustri portanti d’assai belli fioretti, in uno dei quali una mosca calatasi a beccare era rimasta imprigionata. Ecco Ortensio, soggiunsi. Che va costui borbottando? udii parlarmi una voce assai nota, quella di un mio vecchio amico. E tu, ripresi alla mia volta, volgendomi all’amico, che stai qui spiando le mie parole? Che relazione hanno di grazia, mi disse egli allora, il sassolino lanciato da quel putto nell’acqua, e la mosca andata ad incarcerarsi nel fiore, con que’ due nomni che hai testè ricordati? La relazione c’è benissimo, gli risposi, e se ti piace d’intrattenerti a colloquio con me pochi minuti, vedrò di far si che tu stesso entri uel mio parere.
Detto appena fummo in caminino. Hai dunque veduto, incominciai, le ruote fatte dall’acqua al cadere del sassolino? Non si vanno esse più sempre distendendo a più ampia periferia? Non ti sembra che il sassolino rispinga, come a dire, più sempre lontano da se l’impressione cagionata nell’acqua dalla sua caduta? Ed egli intanto celarsi nel fondo coperto dall’acqua stessa che richiude subitamente il varco pel quale è passato. Ora questo è appunto il fatto di Livio. Non conosci tu Livio, quel giovine di circa trent’auni, smanioso di entrare in ogni conversazione, di afferrare per un lembo della vesta ogni uomo di qualche fama; che ad ogni lieve rumore sbarra tanto d’occhi a vedere che è, e dato che ci stia il suo conto, intromettersi nel parapiglia; frequentatore dei caffè quanto occorre a suggere il meglio delle maldicenze e delle favole spacciate dagli oziosi, tanto fido ai teatri quanto vuole il bel mondo e l’andazzo della pubblica opinione; intelligente d’arti, di musica e di pittura singolarmente, quanto occorre per dare sfrontatamente una mentita a chi ne parla giusta principii ed esperienze; quel nobiletto, ghiottoncello un po’ più del dovere, e servo alla moda fin dove il consente una limitata fortuna? Quello, riprese l’amico, che ad ogni dieci parole te ne regala due di altra lingua, e, nato fra noi, sconcia le desinenze del proprio dialetto con accento forastiero? Per l’appunto. A costui gli oggetti fanno quel colpo sull’animo che il sasso nell’acqua. Nulla teme egli di più del raccoglimento; tutte le potenze della sna anima sono in continua faccenda per distrarsi, per divergere in cento direzioni opposte e lontane. L’amicizia? Altro non è per esso che una successione di anelli, uno entrante nell’altro. Ama Servilio, perchè Servilio gli è scala a Sergio, e da Sergio spera passare a Prudenzio. La musica? Come s’è detto, ne prese qualche cognizione, perché gli serva a sofisticare cianciando; e poi chi non sa l’importanza che acquista talvolta un tenore, benchè mediocre, in un’accademia a cui manca per caso dal detto al fatto uno dei cantanti prestabiliti? Puoi andartene di questo passo giudicando i pensieri e le affezioni tutte di Livio; tutti cerchi che più sempre si allargano, e mai non ristanno dal loro moto se non trovano la riva resistente che li contenga.
Ortensio all’incontro è quel fiorellino, che tocco appena si corruga e rinchiude l’insetto che si era posto a beccarlo. Come in Livio tutto è dispersione, in Ortensio tutto è concentramento. Gli oggetti più disparati sono da esso piegati a coincidere sur un punto determinato. Il moto di Livio è sempre dal centro alla periferia, in Ortensio invece l’impulso parte dalla periferia e tende al centro. Nulla striscia inavvertito sopra le sue fibre mollissime e sommamente irritabili. Si avvinghia all’amico con una tenacità formidabile; bisogna pensare, parlare, vivere e morire con lui. Che sono le occupazioni più gravi della vita, se non hanno un’intima relazione coll’individuo che consacra ad esse il proprio tempo? Su questa scala medesima misura egli anche le più frivole, i passatempi d’ogni genere, i giuochi, gli scherzi. Le fiuzioni teatrali devono ristorarlo dalle realtà disgustose, rifargli l’animo a quella forza e squisitezza, che ne’ contatti sociali si era andata a mano a mano rendendo meno squisita. Vive tra gli uomini, e ne studia i discorsi e le azioni, ma per farne paragone con quanto dice ed opera egli stesso. Contempla tutta intiera la natura sensibile che lo circonda, dagli astri che gemmano la volta celeste ai fiori che tappezzano lo strato dei campi, desiderando che tutto venga a riflettersi nel proprio cuore colla sua bella e grandiosa varietà ed abbondanza, L’agilità dell’uccello ne’ proprii pensieri, l’industria dell’ape ne’ proprii studii; trasparente come il ruscello la sua coscienza, immutabili come le stagioni le sue impromesse; quando tacito e riposato come la notte, quando vispo e pieno di profumi e di canti come l’aurora. Non tutto affondato come le valli, nè sempre scabro e saliente come le rupi. L’intenzione è nobile, e vorrei dire anche bella, ma come tenersi nel giusto mezzo?
Vediamo il fine d’ambidue. A Livio i frivoli pensieri vanno a dar di cozzo in alcun che di resistente ed insuperabile. A furia di passare di amico in amico urta finalmente nel protettore che lo conquide. Quando non ci fossero altre durezze, v’è la pietra del sepolcro a cui si frange ogni meglio condotto disegno. Ortensio per altra parte si costipa in sè stesso, si corruga tutto e contrae, perchè non gli scappi l’oggetto da cui fu tocco. Lo scopo è più lodevole, ma l’affanno non è minore, la forza esuberante nuoce a lungo andare a sé stessa. Domandi di Livio, trovandoti alla riva, e nou ti basta l’occhio a rinvenirlo, tanta è la distanza che corre dalla periferia dell’ultimo cerchio al centro comune; domandi egualmente di Orteusio, ed hai un bel cercarlo prima che ti venga fatto di vederlo, poichè si è aggomitolato in sè stesso, e rappicciolito fino a rimanerne poco meno che impercettibile. Vedi in Livio un continuo ondeggiamento, odi in Ortensio un brontolio interminabile. E tuttavia non vorresti essere amico a quest’ultimo, anzichè al primo? Sì, per lo meno se non sei Livio tu stesso.