Piccola morale/Parte terza/I. Alcune apparenti virtù
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I.
ALCUNE APPARENTI VIRTU’.
Alcuni uomini son accusati, e bene spesso puniti dal cieco giudizio del mondo di quelle colpe che non commisero; altri lodati di quelle virtù che non ebbero e non praticarono. A questo mi fece pensare un discorso che mi tenne qualche tempo fa un mio caro amico, il sig. Alberto S**, col quale io camminava lungo una riviera, nell’ora che solitamente si piglia il fresco la state.
Vedi, amico mio, dicevami adunque quel signor Alberto; mi fanno proprio arrossire certe lodi che mi vengono date, le quali sento di non meritar punto punto, quando invece tutti que’ molti e fieri sagrificij ne’ quali esercito la mia vita continuamente, non che se ne faccia caso, non sono, nè possono essere conosciuti. Modestia, si dice, a cagion d’esempio, modestia grande di quel signor Alberto, che cura poco o nulla gli elogij che in faccia o di fianco gli possono venir fatti! Modestia? E disprezzo profondo di coloro dai quali simili elogij mi sarebbero dati: ora qual merito ci ho a non curarli? Mettimi nella mente un poco di buona opinione de’ miei giudici, e vedrai se il mio amor proprio leverà subitamente la testa, e se anch’io, nè più ne meno d’ogni altro figlio d’Adamo, mi brigherò ad essere stimato e tenuto in pregio. Ne vuoi una prova? Vedi quest’uomo, tanto modesto nell’apparenza, con quanto spasimo d’inquietudine se ne vada studiando le opinioni di una qualche persona di cui gli sta a cuore il favorevol giudizio. Ad ogni menomo che, cui sia per metter mano, con quanta ansietà domanda a sè stesso qual concetto ne formerà quella qualche persona, e secondo la risposta che gliene dà la interiore sibilla della coscienza, abbraccia e rifiuta il disegno che avea formato. Narrarti senza farmi stucchevolmente prolisso l’analisi penosissima alla quale il signor modesto sottopone ogni parola che gli sia detta, ogni gesto, quasi direi, che gli venga fatto da quella qualche persona? Oh! I’ amor proprio di questo signore, di cui saresti tentato a predicar la modestia, è forse più incontentabile per una parte, e per l’altra più permaloso, che non sono per avventura molti altri in cui trova abbondante materia alle beffe la spiritosa malignità. Buon per esso che la meta a cui tende un tale amor proprio è fuori degli occhi della moltitudine; altrimenti non si rimarrebbe nascosto, e non verrebbe scambiato per modestia, come molte volte succede.
Rassegnazione mirabile del sig. Alberto! Anche questo genere di lode non mi convien punto. Che merito è rassegnarsi a quelle disgrazie che non toccano affatto, e vengono compensate da intime soddisfazioni dell’anima e dell’intelletto? Che direste di un sordo il quale si rassegnasse a rimanersene a casa, mentre altri se ne va ad ascoltare una bravissima cantatrice? Presso a poco anch’io mi rassegno alla privazione di molte e molte cose il cui possedimento non mi frutterebbe veruna gioia. La mia fortuna sta in questo, di aver sortito da natura una specie di gusti molto diversi dalla comune, e per conseguenza di non poter essere accompagnato dalla volgare censura nelle inquietudini in cui mi travaglio per contentarli. Oh se vedeste questo signor rassegnato com’è impaziente e stizzoso quando gli va di traverso alcune di quelle cose nelle quali ha posto il suo desiderio! Se vedeste che alzar d’occhi al cielo, che batter del piede per terra, che aggirarsi irrequieto per la stanza, o lungo la strada, o per qual altro sia il luogo ov’egli si trova, quando gli sia contraddetta, o tardata alcuna di quelle promesse che fatte gli avea la speranza?
Moderazione indicibile nei giudicij del signor Alberto, dal quale assai raramente si ascolta pronunziare sentenza a scapito di chicchesia. Non cerca mai il dabben uomo i fini reconditi, perchè di una azione contentasi di quel tanto che se ne vede sulla prima faccia. Quando altri gli narra di una qualche frode tentata sotto ingannatrici sembianze, rimane maravigliato come all’udire di cosa singolarissima: quando molti tenessero la medesima misura nel giudicare del prossimo, potrebbesi dire tornato il secol d’oro de’ poeti. E questa lode è anche essa della stessa guisa dell’altre che riceve il sig. Alberto, senza che la coscienza gli dica di potersela con giustizia appropriare? Appunto della stessa, stessissima guisa. La moderazione del sig. Alberto è poltroneria. Non attende egli a dicifrare certi enigmi che pur gli sono proposti dall’operare di certe persone; anzi di quelle persone null’altro conosce tranne i lineamenti del volto, il suono della voce, e la veste che indossano. Ma lo studio dell’uomo? Oh non è bisogno a farlo sopra ogni individuo! Ogni città, e per poco che non dico ogni cosa, ha i suoi tipi; studiati quelli a dovere con un poco di ripiegamento sopra sè stesso, si hanno regole generali di somma certezza e di larghissima applicazione.
Quanto paziente quel sig. Alberto! S’ingoia un discorso che sarebbe per tutt’altri noioso; non si toglie alla compagnia di persone di cui altri fuggirebbe come dalla febbre. Vi assicuro, signori miei, che mi fate l’onore di così giudicarmi, che io non sono molto paziente. Ho trovato il modo, o a meglio dire lo ricevetti da natura, di trovarmi solo, perfettamente solo, in mezzo a molte persone. Ho imparato dalle divinità omeriche a ravvolgermi dentro una nuvolo, protetto dalla quale passo traverso lo schiamazzo e la faccenda del gran mondo. Incontro soventi volte i nemici che vorrebbero offendermi, ma la nuvola mi difende, e le loro botte, quando non siano delle maestre e avventate da mano gagliarda, non mi arrivano punto. Uscito poi dal vortice della fatuità, della menzogna, della perfidia, la nube si dirada a un bel sole di verità, e mi è dolce mostrarmi nella mia forma naturalissima, e guai, guai se allora mi sia fatto offesa! Ogni minima graffiatura apporta lo spasimo della ferita, perchè appunto fatta sul vivo. Allora vorrei giudicaste della mia pazienza, allora, se il meritassi, che faceste il mio panegirico!
Il sig. Alberto continuava sempre di questo tenore, ed io voleva pure ingegnarmi di provargli che nel suo discorso ci fosse alcun poco di esagerazione. Soggiungevami egli: non credere, amico mio caro, che io voglia darti ad intendere cose di cui non sia molto fortemente convinto. E non credere nemmeno che io mi stimi privato d’ogni virtù, perchè non posseggo quelle che da taluni mi si attribuiscono, o in quel grado che mi vengono attribuite. Anzi ti confesserò candidamente, che non credo sia affatto spoglia di merito la conoscenza che ho di me stesso, e il rifiutare che fo per ciò appunto gli encomij sopranuotati. Parmi anche che ogni uomo dovrebbe tenere questo costume medesimo, ma in quanto a se stesso; altrimenti ove estendesse questa maniera di giudicare le presunte azioni virtuose degli altri, correrebbe rischio d’investirsi dell’abitudine vergognosissima della diffidenza. Pur troppo molte virtù umane non altro sono fuor che apparenti; ma qual guadagno ne faremmo quanto all’amare e al soccorrere i nostri fratelli, dal crederli sempre, o pressochè sempre, adornati di pregi illusorij, che danno splendore senza veruna intrinseca preziosità? Riserbiamo l’acume del nostro intelletto a giudicar di noi stessi, e degli altri giudichiamo con ogni possibile discrezione.
Sarebbe anche bene che, fatto questo esame sopra noi stessi, mentre ci fossimo da una parte assuefatti a nou appropriarci quelle lodi che non ci competono, ci studiassimo dall’altra a tenerci entro quel termine di speranze e di desiderij che possono metterci con poca o nessuna nostra fatica in favore de’nostri fratelli. Contentiamoci di essere giudicati da pochi, e saremo facilmente creduti modesti; poniamo la nostra felicità in cose che siano il men possibile soggette all’arbitrio della fortuna, e potremo di leggieri comparire rassegnati; facciamoci un mondo di poche realtà, badando al restante non più che come ad ombre, e avremo lode di moderati; lasciamo scoperta la parte di noi che più sente a quei soli che probabilmente non sapranno compiacersi del nostro dolore, e saremo detti pazienti. Non mancano beni, chi voglia cercarli, sui quali non hanno dominio la fortuna ed il tempo; non è spoglia la terra di anime belle che sanno rimeritare l’altrui confidenza. V’è un ordine d’idee, un consorzio di pochi, nei quali ristringendosi, può l’uomo guareutirsi da molte sventure, e conservare, ciò che più monta, intatta la nobiltà e gentilezza della sua anima. Se queste idee gli saranno abituali compagne sotto ogni cielo, e di questo consorzio potrà giovarsi ad ogni ora, lo stesso dolore avrà i suoi allettamenti; e mentre sarà fatto impassibile alle impressioni di una ruvida mano che vorrebbe percuoterlo, sentirà fino all’intimo cuore il tocco ineffabile di una rassomiglianza, di una memoria.
L’amico mio a questo passo mutavasi nella fisonomia, e la gente che passava, e non era probabilmente tale da indovinare il tema dei nostri discorsi, il giudicava con poca giustizia. Sicchè, non osando distorlo dal piacevole divagamento de’ suoi pensieri nel quale si andava perdendo, dolcemente mi studiai di ritrarlo per una strada meno battuta, dove al rezzo degli alberi, cominciando il crepuscolo della sera a mancare sull’estremo orizzonte, potesse, giovato dalla oscurità e dal silenzio, fantasticare a tutto suo agio.