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altri fuggirebbe come dalla febbre. Vi assicuro, signori miei, che mi fate l’onore di così giudicarmi, che io non sono molto paziente. Ho trovato il modo, o a meglio dire lo ricevetti da natura, di trovarmi solo, perfettamente solo, in mezzo a molte persone. Ho imparato dalle divinità omeriche a ravvolgermi dentro una nuvolo, protetto dalla quale passo traverso lo schiamazzo e la faccenda del gran mondo. Incontro soventi volte i nemici che vorrebbero offendermi, ma la nuvola mi difende, e le loro botte, quando non siano delle maestre e avventate da mano gagliarda, non mi arrivano punto. Uscito poi dal vortice della fatuità, della menzogna, della perfidia, la nube si dirada a un bel sole di verità, e mi è dolce mostrarmi nella mia forma naturalissima, e guai, guai se allora mi sia fatto offesa! Ogni minima graffiatura apporta lo spasimo della ferita, perchè appunto fatta sul vivo. Allora vorrei giudicaste della mia pazienza, allora, se il meritassi, che faceste il mio panegirico!

Il sig. Alberto continuava sempre di questo tenore, ed io voleva pure ingegnarmi di provargli che nel suo discorso ci fosse alcun poco di esagerazione. Soggiungevami egli: non credere, amico mio caro, che io voglia darti ad intendere cose di cui non sia molto fortemente convinto. E non credere nemmeno che io mi stimi privato d’ogni virtù, perchè non posseggo quel-