Piccola morale/Parte seconda/IV. Virtù dell'istante

Parte seconda - IV. Virtù dell'istante.

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IV.

VIRTU’ DELL’ISTANTE.

Non potrebbesi volgere in profitto del viver nostro la massima degli antichi Epicurei, che Orazio, per propria confessione animale di quella greggia, susurrava furbescamente all’orecchio dell’elegante Leuconoe?

Afferrare a due mani il presente e non darsi briga gran fatto dell’avvenire, era principio filosofico prediletto agli antichi: ma come avveniva che, imbevuti di questo principio, fabbricassero tanto solidamente, e trasfondessero, dirò quasi, in ogni loro opera il desiderio dell’eternità? Oltre l’altre ragioni che si potrebbero addurre, non parmi di trascurare la seguente. Appunto perchè non vedevano più là della terra, a questa attene vansi con quanto avevano d’ingegno e di forza. Fu molto acutamente osservato che le preziose imbalsamazioni de’ cadaveri, tanto comuni fra gli Egiziani, anziché provare la fidanza di quel popolo nella vita seconda, possono aversi per dimostrazione del contrario, e fatte appunto per ritardare il disperdimento delle reliquie corporee, dopo le quali presumevano non altro avesse a rimanere delle persone amate distinto dalla gran massa terrestre in cui terminavano rimescolate tutte le cose. [p. 82 modifica]

Noi all’incontro, seguaci di più bella e più consolante dottrina, poco badando al presente, e coll’ansietà del desiderio sempre rivolti al futuro, operiamo a modo dei pellegrini, che, non avendo stabile dimora nel paese per dove passano, si contentano di spiegare una tenda che gli difenda dall’umidità della notte, e li guardi dall’eccessivo calore, nell’ore in cui il sole, troppo direttamente battendo, impedisce la continuazione del viaggio. Sono altro che tende di pellegrini le nostre fabbrichette moderne, quando vogliansi paragonare alle antiche?

E tuttavia, quantunque destinati a rivivere nel futuro, è da far caso del presente, non foss’altro come quello che deve esserne scala, o tragitto per l’avvenire. E in questa considerazione dobbiamo tener stretto conto dell’istante, in quanto appropriato a tale, piuttosto che a tale altra cosa. Due momenti che siano eguali, nella suscettività di rimanere adoperati con pari profitto, non credo si dieno in tutta la vita. E però fu scritto che: ogni cosa ha suo tempo, cosi il nascere come il morire, il piantare e il diradicare, l’uccidere e il sanare, il demolire e il por edifizii, il pianto e il riso, il cordogliarsi e il ballare, il gittar pietre e il raccoglierle, la masserizia e lo spendio, lo stracciare e il cucire, il tacere e il parlare, l’amare e l’odiare, la guerra e la pace. Questa stessa sentenza può volgersi ad istruzione di chi nacque affannoso, e [p. 83 modifica]teme non mentre ingozza un boccone, l’altro gli scappi di sotto la bocca; ma siccome il nostro discorso è indiritto a far gli uomini buoni dispensatori del tempo, egli è nel primo senso che vogliamo prendere le belle parole sopra citate.

L’Occasione fu dipinta calva niente meno che la Fortuna, a dimostrare che appunto come la Fortuna è difficile ad afferrarsi; ossia ch’egli e sempre da starsene in sulle guardie acciò la non fugga, e fuggita una volta più non ritorni. I Trasibuli, i quali possano ritrarsi dormienti, con da lato le città che vengono volontarie a loro darsi in rete, sono assai rari; e quando anche non occorresse una grande diligenza nell’acquistare, si vuole averla non meno grande per opportuna custodia dell’acquistato. I guadagni e le glorie di certuni hanno molta rassomiglianza col fatto delle Danaidi, che mentre riempiono per una parte il doglio onde furono incaricate, veggono fuggir via l’acqua continuamente per l’altra. E nondimeno la più parte degli uomini allora parlano ch’è da tacere, allora seggono ch’è da ballare, giovani poltriscono, vecchi vien loro voglia di andare alla caccia. A che farmi il bravaccio ora che le gambe ti si fiaccano sotto, tu che te ne stavi quatto quatto ad assaporare le ingiurie che ti erano scoccate di fronte, quando ben ti reggevi sulle ginocchia, e il braccio vibravasi niente meno che l’osso dell’arco nel ti-´ [p. 84 modifica]rar della corda? Così va. E questa pure si chiama prudenza; si ponderano bene le ragioni pro e contro d’ogni azione, e la inesorabile ragione del tempo è lasciata da parte. Sono deliziosi certuni ai quali, come fai loro alcuna domanda, essi, affettando l’inglese o il balordo, non ti danno risposta, o te la danno tale da lasciarti li a bocca asciutta. Quando poi ti restringerai a colloquio con qualche amico, vedili che ti sono alle reni, odili, che frammischiano la loro vocina o vociaccia, secondo i casi, ai tuoi discorsi: hanno veduto tutto, ne sanno di tutto: essi furono, essi conoscono, bianchi e neri giusta l’occasione, finchè ti abbiano ristucco, annegato di ciance e d’interruzioni. Essi hanno tempo a tutto fuorchè al far bene; hanno opere e detti per ogni tempo salvo per quello che corre. Importuni come le mosche canine, piovono a nuvoli da tutte le parti, in ogni stagione, e quando pure hai loro chiusa la porta s’intromettono nelle tue stanze per la finestra. L’abbaino del tetto, i fori della cantina, la gola del camino, ogni buco lor serve a cacciarsi e riuscire là ove non sono attesi, e donde respinti, fosse pur colla forca, ritornano rifatti in breve più procaci e più insistenti di prima.

Vorrei pigliassero esempio da questi sguaiati certe timide lumachelle, che camminano col guscio in capo, ossia con un sopraccarico di avvertenze da mancarvi sotto; le quali non hanno fatto [p. 85 modifica]pur mezzo il cammino prefisso che già il freddo le coglie, e rimangono intirizzite tra via. Esplora quindi, specola quinci: bada a questo, guarda a quest’altro; ogni loro divisamento riesce in nulla. Conchiudasi: egli si ha da scegliere il momento opportuno, checchè sia quello a cui ti poni, ma questo momento essendo uno solo, egli è da vedere che non passi tutto in semplici deliberazioni.

Fabio, egli è vero, coll’indugiare tornò in sesto le sconciate fortune della repubblica, e questo va bene che si ricordi; ma vuolsi ricordare anche quest’altro: mentre in Roma si delibera, Sagunto perisce.