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be quel tanto che ne dice all’orecchio di Valentina, amica sua da oltre vent’anni, e che da oltre vent’anni si sente ripetere ciascun giorno quell’antifona nauseosa: voi già sapete che io non voglio prendermela con chicchessia. Non prendete tante giravolte, signor Tiburzio; andate per la più corta, quel nome a cui mostrate di voler aspirare ve lo avete già fatto. Il resto, credetemi, è pretta oziosità, è inutile spendio di voce. E voi, Ambrogio mio caro, desistete dal fingervi la carità stessa piovuta dal cielo a consolazione della umanità derelitta. Voi non avete, nè mai saprete trovare in voi stesso quel tanto che occorre guadagnarvi il bel titolo di soccorritore del prossimo. Tutte le cure che vi date riescono a nulla; le vostre elemosine, quanto al guadagnarvi la fama che ambite, sono oziose: quella fama non si accompagnerà mai al nome vostro. Chi fabbrica case, e mentre sale col muro non ha di che costruire il soffitto, è ozioso, nè più nè meno di chi guarda in alto, e, se la notte è serena, se ne sta a fare il computo delle stelle. Chi in un cuore assiderato vuole infondere il fuoco delle passioni, e crede a questo bastare un trepido fiato, o il tenue calore di una facellina, è del pari ozioso, e non è preferibile punto nel giudizio dei savii a chi lascia andare le cose tutte a modo loro, pago che il sole gli scaldi la nuca la state e l’inverno gl’imbianchi colla neve il lastricato che ha dinnanzi la porta. Conchiudasi: ozioso clhi