Piccola morale/Parte quarta/VII. Gli aggetti

Parte quarta - VII. Gli aggetti.

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VII.

GLI AGGETTI.

Molti saranno i quali al leggere di questo titolo prorompano nella seguente esclamazione: aggetti! Che cosa è egli questo? Che sia venuto il ticchio al compilatore del Gondoliere di scambiare le parti con que’ della Commissione preposta agli Ornati, parlando degli Sporti, ai quali si fece da più anni una guerra tremenda, togliendo loro d’ingombrare le strade, le mercerie specialmente, per le quali non era conceduto passare senza dar d’urto in qualche galantuomo, di quelli fra gli altri che camminano in fretta? E sappiamo che al compilatore suddetto non piace gran fatto di essere urtato, sicchè... — Signori miei, il vocabolo è alquanto strano, ma mi piacque adoperarlo per cattivarmi, se mi fosse possibile, la vostra attenzione con questo tenue [p. 238 modifica]artificio. Ho veduto nel carnovale essere guardate, conversate e accompagnate non pochi passi certe faccie di donna che, senza la maschera, non avrebbero saputo trovare nè mauco chi loro dicesse le ben venute. Sicchè con questo poco di maschera della parola alquanto bizzarra ho presunto poter far si che qualcuno si fermi, non foss’altro, a vedere di che si tratta.

Premesso questo, io non intendo punto parlare di aggetti o sporti che veggansi nelle fabbriche, e in generale in oggetti materiali, bensì di alcune disposizioni d’animo molto sporgenti che sono negli uomini, e che possono fornire materia a non disutile osservazione. Ci hanno certi naturali tutti lisci ed uguali che non possono essere afferrati in veruna parte, e la mano che a ciò si provasse vi sdrucciola sopra come fossero di cristallo o di porcellana senza fregi o scanalature di sorte alcuna. Altri all’incontro ve ne hanno provveduti d’innumerevoli punte e risalti nei quali s’intromettono le dita molto comodamente, come farebbesi con manichi od orecchie di vasi.

Ora è da vedere in primo luogo se v’abbiano uomini e possano avervi senz’aggetto alcuno, ch’è quanto dire, se possono darsi naturali di persone cui manchi ogni guisa d’individualità tanto nell’animo che nell’intelletto. Interrogato ch’io ne fossi, mi parrebbe dover rispondere che no assolutamente, e senza dimora, per[p. 239 modifica]chè, quand’anche altro non fosse, essendo dimostrato dall’esperienza che di alcune particolari tendenze sono pressochè tutti gli uomini provveduti, l’esserne affatto senza sarebbe appunto l’aggetto, per parlare col nostro vocabolo, particolare di questi tali.

Tutti gli uomini dunque, hanno da volere a non volere, il loro aggetto pel quale possono essere destramente afferrati e condotti in giro. Ma chi ne ha un solo, ove non sia de’ madornali, domanda uno studio molto lungo ad essere conosciuto, e un’assidua diligenza, conosciuto anche che sia ed afferrato, a non lasciarselo scappare di mano. Questi uomini certamente non sono capaci di moltiplici relazioni, perchè, presi che siano una volta per quell’unico loro verso da chi primo arriva o superi gli altri in accorgimento, imprendibili sono per ogni altra parte. Ben è vero che l’aggetto è talvolta ancora di tal fatta che molti possono mettervi sopra le mani ed attenervisi; ma saranuo sempre persone di una razza sola che contendono per un solo fine. Sonovi di quelli all’incontro nei quali gli aggetti son tanti, e per la loro moltitudine tanto scarsi, che ad ogni poco e con grandissima facilità possono rimanere acchiappati, e similmente ad ogni poco e con facilità uscire di mano. Può venire qui in taglio una similitudine tratta dagli alberi, i rami de’ quali tanto meno son vigorosi, quanto il numero loro è maggiore. [p. 240 modifica]

Oltre le differenze finora avvertite fra uomo ed uomo circa quelli cui abbiamo dato il nome di aggetti, molto conferiscono i tempi e i costumi a cagionare certi generali sporgimenti che diversificano altra da altra nazione. Ci sono aggetti proprii di tutto un popolo, a quella guisa che ve ne hanno proprii di una sola famiglia e di un solo individuo. In questo proposito l’età moderne sono differenti assai dalle antiche, e pochi individui producono che scappino fuori dell’universale, essendo che la più parte camminano col passo delle letane, come scrisse il poeta. Vi sovvenite di que’ fantocci che, incastrati in certi bastoncelli, detti anche scalette, vanno su e giù, secondo si fanno muovere que’ bastoncelli? Non altrimenti è di noi; la moda, o altro che sia, dà l’impulso, e noi, povere macchinette, giriamo a dritta o a sinistra, e il passo del primo è quello pur anco di tutta la schiera.

A questa spiacevole uniformità si dà il nome di gentilezza e di bel costume, ed è più propriamente una cotale vernice distesa su quegli aggetti che avevamo sortito nascendo, e per la quale nou c’è più alcuna diversità fra que’ naturali che sono tutti lisci, e quelli che hanno alcun che di sportante. Non vedete come al raccontare di alcuno de’nostri vecchi spalanchiamo un tanto d’occhi, e, se dobbiamo confessare la verità, non ci è possibile di non rimanere colpili da una specie di rispettosa maraviglia, qua[p. 241 modifica]le, sebbene per più nobile motivo, ci accade provare

          Quando leggiam che l’inclite ventraie
          Degli Atridi o del figlio di Pelco
          Ingoiavan di buoi terghi arrostiti?

Onde ciò? Perchè que’ nostri buoni vecchi avevano meno della vernice onde siamo tutti noi impiastricciati da capo a piedi, e camminavano sulle proprie gambe, anzichè sulle scalette che danno legge ad ogni nostro movimento.

Quanto s’è da noi detto finora non è più che storia. Non siamo per altro tanto innocenti da credere che sia possibile rifare il mondo colle nostre parole, e dacchè i tempi portarono altre inclinazioni ed altre costumanze, egli è da lasciar correre, come suol dirsi, l’acqua alla china. Vogliamo bensi impetrare un po’ d’indulgenza per quegli aggetti che tuttavia ci hanno in alcuni uomini, destinati, quasi diremmo, ad anelli fra le generazioni passate e la presente. Nella ruvida loro semplicità hanno sempre alcun che di ri spettabile e di spiccato dalla misera pecoraggine nostra. Nel far giudizio di questi loro aggetti andiamo dunque un poco a rilento, e vediamo se quelli che in essi troppo facilmente chiamiamo difetti, siano poi tali, e dato che siano, non abbiano la compagnia di una qualche virtù, che forse non verrebbe senz’essi. Saranno, se vi piace, un poco aspre le loro frasi; ma se con quella [p. 242 modifica]asprezza ne aveste netta netta la verità, vorreste ad essa preferire le mozze parole, accompagnate da inchini e da mille giravolte della persona, che vi lasciano sempre perplessi se quello che avete udito sia tale o tal altro? Forse vorreste anteporre la compagnia di chi ad ogni vostra opinione e ad ogni vostro fatto abbassa la testa, e non dà mai segno di disapprovazione, per poi sfoderare tutte le belle e buone ragioni che aver potrebbe in contrario a quanto avete fatto o pensato subito che vi sia avvenuto di girar canto; vorreste dico antepor questa alla compagnia di chi sa a tempo e luogo buttarvi, se occorre, un bel no sulla faccia, ma dietro via le spalle tenere le vostre parti, affinchè dopo il danno non ve ne seguano anche le beffe? Io lo conobbi un giovanotto (ora egli mi è lontano di molto paese) di cui certamente non potevasi lodare la scorrevolezza e mellifluità del discorso; ma quanti aggetti non dava egli in ricambio all’amicizia per tenersi afferrata, senza timore di rimanerne respinta da qual si sia scossa!

Capisco benissimo che, data la condizione in cui ci siamo posti di ballerini e di cantanti, ogni menomo passo dato fuori di tempo, ogni poco di nota allungata oltre il termine della battuta, è stonatura, è interrompimento della danza; ma badate bene se la ridda che menate sia bella, se la musica a cui vi legate sia di buon maestro. E in generale non vi pensate che vi abbia ad [p. 243 modifica]essere non più che un ballo, e non più che una cantilena. Se vi ha chi voglia tentare un a solo, non dite ch’egli fa male per questo che non entra nel vostro cerchio; o se intuona un’aria novella, non la proclamate malvagia perchè non sapete tenergli bordone. Ne v’inorgogliscano i battimani; potrebbe cangiar la fortuna prima del calar della tenda e quelli che vi sono incentivi a montare in superbia, sono applausi dati molte volte a tutt’altro che alla vostra voce e ai vostri scambietti. Io non so se l’allegoria, forse alquanto prolissa, possa piacervi; ma quanto al significato morale, davvero che non parmi di avere il torto. Sarà questo un aggetto del mio amor proprio?