Piano regolatore di Roma 1883 - Relazione/Quartieri ai Prati di Castello
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Nei Prati di Castello, per opera di privati possidenti dei terreni, si sono venute costruendo fogne, strade, marciapiedi con alberature e con illuminazione a gas, nonchè fabbricati, alcuni dei quali importanti o per mole o per decorazione; o tutto ciò senza che il Comune siasene menomamente ingerito, quantunque fino dall’anno 1873 fosse studiato ed approvato in massima dal Consiglio un piano di ampliamento della città in quella contrada; piano che poi rimase a giacere, come il resto, negli archivi dell’ufficio d’arte. Ma i proprietari, lasciati a sè stessi, e vogliosi di utilizzare quella zona dei Prati che confina col fiume, col terreno demaniale esterno al Forte S. Angelo, e col vicolo della Barchetta, non stimarono di loro tornaconto seguire le linee del progetto municipale, tranne che per la direzione dell’arteria che chiamarono Via Reale. A questa però assegnarono sezione di soli metri 16; pel resto spezzarono i loro terreni in piccoli spazi divisi da strade piuttosto ristrette, e dirette come meglio loro piacque. Non poche fogne furono costruite nel modo più economico possibile, e con la cunetta metri 3 all’incirca al disotto dei piani stradali, contro la massima adottata in tutti gli altri nuovi quartieri, nei quali la profondità raggiunse circa metri 6, per bonificamento del sottosuolo, e per facilitare gli scoli dei sotterranei e delle cantine delle fabbriche. A dar credito e valore ai terreni, quei proprietari, a loro spese, costruirono il ponte a Ripetta, ponendo la città in diretta comunicazione col nuovo quartiere; dopo di che naturalmente divennero più frequenti le domande dei terreni a destra del fiume; e le aree in breve furono tutte, o quasi, vendute a speculatori, od a costruttori. Le varie Amministrazioni municipali, che si succedettero nel tempo passato, non potendo valersi di un piano regolatore, che includesse nella città e stabilisse l’ordinamento di questo nuovo quartiere, non poterono impedire la fabbricazione; ed il Governo da sua parte non se ne preoccupò, quantunque i proprietari sotto i suoi occhi andassero mano mano innalzando nuove fabbriche in vicinanza della riva del fiume, che dovrebbe essere largamente tagliata per la sistemazione del tronco urbano del Tevere. La Commissione non intende di biasimare o di giustificare la condotta delle pubbliche Amministrazioni, ma solamente nota i fatti, per quanto essi possano riuscire di giovamento nello esaminare e dare giudizio sul piano che le è stato presentato del quartiere in Prati.
Intanto, prima di tutto dovevasi risolvere una questione, alla quale le altre erano subordinate. È egli necessario includere nel piano d’ampliamento la contrada ai Prati di Castello? Contro l’inclusione non potevano recarsi che considerazioni di economia, nel senso di non prendere impegno di espropriare i terreni per le strade, costruirle, impiantarvi i pubblici servizi ecc., a menochè i proprietari dei Prati di Castello non offrissero gratuitamente quei terreni, in correspettivo del vantaggio di sapere assicurato lo svolgimento del quartiere ed aumentato il valore fondiario del terreno fabbricativo. Si contrapponeva però, che l’approvazione del piano di ampliamento in Prati obbligherebbe bensì i proprietari a seguire le linee regolatrici nel costruire le case, anzichè collocarle a loro arbitrio, e secondo il tornaconto individuale o collettivo; ma che non potrebbe obbligare il Comune ad estendere i lavori stradali ed i servizi pubblici oltre le zone, che successivamente e spontaneamente si andassero edificando. D’altronde il fatto ha dimostrato, che senza alcun intervento dell’Amministrazione civica, e senza sussidi di sorta (cosa piuttosto unica che rara), il quartiere ha avuto principio di esecuzione sopra una zona abbastanza vasta, e collegamento diretto con la vecchia città. E quando vi prenderà dimora un certo numero di cittadini, il Comune sarà forzato ad occuparsene ed a provvedere, perchè la polizia, l’igiene, la sicurezza vi sieno tutelate. Non sarebbe quindi opera di saggia amministrazione il non intervenire a tempo, anche pei riguardi edilizi, affine di impedire che si aumenti lo sconcio già incominciato di strade e fogne non rispondenti alle nuove condizioni dei moderni quartieri di una grande città, ed anche perchè di niuna cosa più di quella dello ampliamento di Roma da quella parte si occupò la pubblica opinione in questi ultimi tempi. La Commissione dunque fu unanime nell’ammettere la necessità del piano pel quartiere in Prati. Trattò poi la seconda questione, quella cioè dei limiti da assegnarsi al quartiere stesso. Nel piano presentatoci, questo limite era determinato da una retta che partendo dal saliente del bastione Vaticano, si dirige alle mura al di là del Tevere presso la porta del Popolo, e che dovrebbe costituire la cinta daziaria del quartiere. Fuori e presso questa sono figurate nel disegno le due aree destinate per le caserme di due reggimenti di fanteria, e l’altra per la piazza d’armi, alla quale si assegnerebbe il vastissimo terreno tutto contornato da stradoni alberati, compreso fra il confine del quartiere d’abitazioni, il Tevere e la via Angelica. A fianco poi della piazza d’armi fra la via Angelica e la via dei Prati si vede indicato il luogo da servire ad Ospedale succursale militare.
Le aree per queste opere di carattere governativo, previste nella legge sul concorso dello Stato ai lavori edilizi della Capitale, furono determinate dal Ministero della Guerra d’accordo coll’Amministrazione del Comune, e non importano cessione alcuna di terreno municipale. Però hanno dato luogo ad una discussione relativa alla convenienza di includerle o no nella cinta daziaria. Nel caso affermativo, la cinta dovrebbe seguire andamento diverso da quello segnato nel piano; correre cioè in linea retta, a partire dal fianco occidentale del bastione Vaticano e lungo la sinistra della via Suburbana detta dei Prati fin sotto il Monte Mario, ove la stretta fra la pendice ed il fiume sarebbe munita da un’opera di difesa militare, da servire al tempo stesso di barriera d’entrata in città. L’Amministrazione della guerra e la maggioranza della Giunta avevano opinato di adottare questo partito. Ma la Vostra Commissione non fu dello stesso avviso, perchè essendovi ancora in città non poche contrade quasi nude di fabbriche e quasi abbandonate, con vie poche e tenute a modo di strade di campagna, ragione vuole che vi si favorisca di preferenza lo sviluppo della fabbricazione, e vi si completino i servizi pubblici, prima di impegnarsi ad estendere i nuovi quartieri fuori di Roma, oltre i limiti che sono giustificati dalla convenienza di inquadrare, per così dire, il perimetro della Città. E ci sovvenimmo dell’Aventino entro Roma in mirabile postura, eppure negletto, sul quale in un seguente articolo avremo ad intrattenervi. D’altronde la Commissione riconosceva la opportunità di chiudere le caserme entro la cinta daziaria, raccorciando di poco la vastissima pianura destinata alla piazza d’armi; e presi accordi colla Giunta, si finì per stabilire che la linea terminale del quartiere in Prati, si protragga tanto quanto basta a comprendere i terreni fissati per le caserme. Esso avrà così un estensione di ettari 87, senza le aree delle Caserme, del Palazzo di Giustizia e del giardino, e potrà contenere più di 40 mila abitanti.
Un’altra difficoltà, non ancora del tutto risoluta, sta nella incertezza del dove collocare il Palazzo di Giustizia, edifizio pure questo obbligatorio per la legge sul concorso governativo. Il Ministero aveva mostrato desiderio e disposizione di fissarne la sede nei Prati di Castello, presso il lungo Tevere ed in prossimità dei ponti che si dovranno costruire, per mettere in comunicazione il quartiere col folto dell’abitato che si distende sulla riva sinistra del fiume. Il disegno dell’ufficio segnava il Palazzo fra i due ponti nuovi proposti, come si dirà a suo luogo, presso l’Orso e presso Ripetta. Ma se questa posizione è la migliore, non è forse la più pratica, essendochè importerebbe la distruzione di qualche casa nuova e di parecchie strade fatte per iniziativa privata, appunto in quella zona di terreno. Difatti pare che il Ministero di Grazia e Giustizia non sia riuscito ad accordarsi coi proprietari per una transazione, che permetta di fare il Palazzo fra i due ponti. Si è pensato in appresso, se non convenisse meglio, per riguardo economico, di fissarne il posto propriamente in faccia al ponte dell’Orso, ma presso il lungo Tevere. Qui pure qualche distruzione sarebbe necessaria, ma di assai minore importanza; lo che rende più probabile la riuscita delle trattative coi proprietari. Il Direttore pertanto del nostro ufficio tecnico ha studiato un secondo progetto del quartiere in Prati modificato in modo, da riuscire in relazione col nuovo posto che si vorrebbe assegnato al Palazzo di Giustizia. I disegni sono pronti dunque per i due casi, a menochè il Ministero non risolva di stabilire in tutt’altra località di Roma la sede del Palazzo di Giustizia, nella quale ipotesi bisognerà nuovamente modificare il disegno del quartiere in Prati. Ora il Comune attende dal Ministero la decisione della vertenza, e non sarebbe da chiamare in colpa, se a cagione degli altrui ritardi, non potesse per ora includere nel piano regolatore generale, anche quello definitivo pel quartiere nei Prati di Castello.
Ad ogni modo, qualunque sia la decisione relativa a quel Palazzo, i diversi disegni del quartiere conservano tutti le caratteristiche del primo studio, e in poche parole le accenneremo. Al quartiere si accede dai borghi Vaticani prolungando tutte le attuali strade traverse, e demolendo il vecchio muro di cinta fra le porte Angelica e Castello. Attraverso il Tevere poi gli accessi saranno determinati da ponti a distanze moderate fra loro: e perciò oltre il ponte S. Angelo, e oltre quello a Ripetta (da sostituirsi a suo tempo con altro di costruzione definitiva allineato alla via Tomacelli), due altri se ne propongono, uno presso la contrada dell’Orso, l’altro in fondo alla passeggiata di Ripetta dietro l’emiciclo occidentale della Piazza del Popolo. Dei ponti ci occuperemo in articolo separato; ora facciamo conoscere, che da ciascun ponte, e in direzione dei loro assi, muovono stradoni attraversanti l’intiero quartiere. Date queste vie principali, che tagliano il terreno con linee le quali o sono convergenti o si intersecano, si è studiato di ripartire le risultanti figure con tracciati il meno possibile irregolari, e tenuto conto più che si potesse delle costruzioni iniziate dai privati possidenti. Forse taluno potrebbe desiderare una rete di strade tutte a squadra fra loro; ma se questa è la più facile e geometrica disposizione, ove il terreno abbia perimetro rettangolare, e qualora si tratti di ampliare una città predisposta in tal modo, non era preferibile pel quartiere in Prati, avvolto in gran parte dalla lunata concava del fiume, che deve attraversarsi con ponti possibilmente normali al corso dell’acqua. D’altronde la disposizione a scacchiera, generalmente monotona, non è sempre la più razionale per le immediate comunicazioni fra punti importanti comunque posti, ed esclude certi effetti scenici o prospettici ai quali mirabilmente si prestano le linee divergenti, purché artisticamente sappiasene cavar partito. Difatti il disegno del quartiere in Prati, tracciato con libertà di concepimento, offre diversi trivi, che varranno a renderlo variato e grandioso. Dal ponte al Popolo si vedranno tre stradoni, il primo diretto al mezzo di una nuova caserma, l’altro percorrente il quartiere sino sotto il bastione Vaticano con una lunghezza di metri 1400, il terzo diretto al Palazzo di Giustizia, se lo si porrà in corrispondenza del ponte dell’Orso. Ugualmente dalla piazza dietro al palazzo un altro trivio è diretto al bastione Vaticano, alla barriera di piazza d’Armi, al ponte del Popolo. Finalmente dalla piazza che verrebbe aperta innanzi l’attuale Porta Angelica, un ultimo trivio spiccherebbesi formato dallo stradone che avrebbe per fondo l’obelisco del Popolo e i parapetti del Pincio, dalla via Reale lunga metri 1800 fino alla Piazzetta de’ Trinitari al Corso, e da un altro stradone che si aprirebbe in modo da collimare alla Mole Adriana. Le arterie poi del quartiere dovrebbero avere le seguenti larghezze, a parere della Commissione. Il lungo Tevere metri 30: la via Reale, nel tratto eseguito metri 16, perchè non conviene distruggere le fabbriche che già la fiancheggiano, ma nel suo prolungamento metri 20: la via dal Popolo al bastione Vaticano metri 25, attesa la sua grande lunghezza: le altre vie principali metri 20. La Giunta per altro aveva proposto di tenere le tre vie principali tutte della larghezza di metri 30, e ha sostenuto, che non convenga discendere al disotto di metri 25, perchè altrimenti si pregiudicherebbe la possibilità di alberare le arterie del quartiere. Il Consiglio giudicherà fra le due discrepanti opinioni.
Un’ultima osservazione conviene di fare circa il forte Sant’Angelo, che resterà racchiuso nel nuovo quartiere. Siccome fu già deliberato dal Consiglio, quando si discusse il piano regolatore di massima nel 1873, la Mole Adriana, e l’opera quadrata con torri angolari dei bassi tempi dovrebbero restare isolate, demolendo tutte le casematte all’intorno, e destinando a giardino lo spazio risultante. Però l’autore del piano ha proposto, di non distruggere la traccia caratteristica del pentagono bastionato. Questo fortilizio è uno dei primi di tal genere costruiti in Italia, ed in epoca anteriore al Vauban proclamato dai Francesi come inventore di quel sistema di opere militari; e troppe memorie storiche si legano al Castello S. Angelo, perchè se ne debba conservare la topografia. Appianando gli spalti, e colmando il fossato, il piano del quartiere in Prati verrebbe livellato all’altezza del cordone dei muri, che rivestono i rampari del pentagono: sicchè non resterebbero sopra terra che i soli parapetti. Questi formeranno la base della cancellata che chiuderà il giardino, e che segnerà l’andamento delle cortine e dei bastioni sepolti. La Commissione, come già aveva fatto la Giunta, ha convenuto pienamente in questo partito, fedele alla massima di conservare quanto più si possa, i testimoni materiali dei monumenti, che per arte e per istoria contribuiscono a dare alla nostra città una speciale fisonomia.