Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/Introduzione
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I Pensieri letterari e filosofici di Giacomo Leopardi che s’incominciano a pubblicare in questo volume leggonsi in originale autografo tra le altre carte le quali, morto l’illustre scrittore (14 giugno 1837), rimasero a Napoli in custodia di Antonio Ranieri. Questi alla sua morte (4 gennaio 1888) legò, come ricordo, alla Biblioteca Nazionale di Napoli i manoscritti di altri suoi, di cose letterarie sia stampate sia non stampate, che erano in suo possesso, prorogata per altro la consegna sin quando venisse a mancare l’ultima di due donne da lui lasciate eredi usufruttuarie. Allora si fece avanti il conte Giacomo Leopardi figliuolo di Pier Francesco e nipote del poeta, e impugnò che nel lascito del Ranieri alla Biblioteca napolitana potessero esser compresi i manoscritti leopardiani, come quelli che appartenevano alla famiglia sua, ed esso il Ranieri se n’era in sue lettere a’ Leopardi dichiarato soltanto depositario e pronto di restituirli a ogni richiesta di loro. La controversia innanzi ai magistrati non ebbe fine; ma intanto e per questa e per altre differenze tra le eredi usufruttuarie e i custodi della Biblioteca napolitana i manoscritti leopardiani furono affidati in deposito all’onor. Santamaria Nicolini esecutore testamentario del Ranieri ed illustro giureconsulto e poi nel Pio Monte della Misericordia. Allora ne fu disteso per man di notaro l’inventario, con descrizione non dotta ma minuta; e diffuso invogliò più sempre delle nascoste preziosità gli studiosi e nobilmente curiosi.
In questo mezzo la Deputazione marchigiana su gli studi di storia patria presieduta da Filippo Mariotti, adunata il 29 settembre 1896 in Ancona, deliberava solenni onoranze alla memoria di Giacomo Leopardi nel centenario della sua nascita 29 giugno 1898; e tra le onoranze proponeva con intendimento di dotta utilità argomenti e soggetti di studi da incoraggiare e premiare: la pubblicazione del Catalogo della Biblioteca di casa Leopardi che già compilato poco dopo morto Giacomo si conserva nell’archivio romano di stato: premio a una Bibliografia leopardiana non pur delle opere ma degli studi biografici psicologici e critici su lo scrittore e il pensatore in tutte le lingue: la compilazione di un Catalogo ragionato e descrittivo dei manoscritti leopardiani. Il che veniva a risvegliare la questione giuridica e la curiosità letteraria circa le carte suggellate e deposte nel Pio Monte della Misericordia di Napoli. E fu recata nel Senato del Regno, tornata del 9 aprile 1897, con degna e ben discreta parola da Filippo Mariotti: il quale, dopo aver comunicato che il conte Giacomo Leopardi si profferiva di rinunziare a’ suoi diritti, pur che sin da ora i manoscritti leopardiani appartenessero alla Biblioteca Nazionale di Napoli e pur che si facesse per il centenario la pubblicazione di quelli che venissero designati da una Commissione eletta dal ministro della pubblica istruzione, dimandava quali fossero gl’intendimenti del Governo del Re; certo non dissimili, reputava, da quelli dell’erede di Giacomo Leopardi e della Deputazione marchigiana di storia patria.
Dopo di che, e proprio il 15 maggio 1897, con istrumento rogato dal notaro cav. Enrico Capo in Roma, il conte Giacomo Leopardi, «volendo sodisfare per parte sua il compimento di un desiderio universalmente sentito in Italia e fuori, desiderio solennemente dichiarato ed espresso nella memorabile tornata del Senato (9 aprile), » rinunziava allo Stato e al Ministero della pubblica istruzione ogni suo diritto su i manoscritti leopardiani depositati presso il Pio Monte della Misericordia in Napoli, autorizzando il Ministero a prenderne possesso; e il Ministro della pubblica istruzione prof. Emanuele Gianturco in nome e per conto dello Stato accettava. Ora, la legge del 19 settembre 1882 su la proprietà letteraria, disponendo (art. 20) che i diritti d’autore possono acquistarsi dallo Stato dalle provincie e dai comuni in via di espropriazione per causa di pubblica utilità, la cui dichiarazione deve esser fatta su la proposta del Ministero di pubblica istruzione sentito il consiglio di Stato, in conseguenza, un decreto reale i del 23 agosto 1897, considerato che per l’imminenza del centenario esso Ministero ha urgente bisogno di far pubblicare i manoscritti leopardiani esistenti tra gli altri legati dal senatore Ranieri alla Biblioteca di Napoli, dichiarava di pubblica utilità quella pubblicazione e, autorizzava l'espropriazione dei diritti eventualmente spettanti ai terzi su i manoscritti medesimi. Cosi i manoscritti leopardiani, occulti da sessant’anni per balia d’Antonio Ranieri, divennero proprietà della Nazione, e saranno conservati ai pubblici studi nella maggior biblioteca di Napoli, «la nobilissima città (come taluno disse) che conforto gli ultimi anni dello scrittore e forse sopra tutte in Italia ne prosegue di venerazione e d’amore la memoria e la poesia».
Per ora quei manoscritti sono deposti nella Biblioteca Casanatense di Roma, dove una Commissione nominata dal Ministro con lettere del 14 ottobre 1897 ebbe in piu sessioni a riscontrarli, ordinarli e possibilmente studiarli. E con relazione del 20 decembre 1897 proponeva al Ministro che se ne facesse un catalogo descrittivo, ragionato, possibilmente cronologico e storico, con tutte insomma le norme e le regole della bibliografia dotta: che un altro catalogo condotto alla stessa guisa e coordinato a questo si facesse degli altri manoscritti leopardiani che furono di Luigi De Sinner e ora sono conservati nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Anche propose e consiglio al Ministro di voler pregare il sig. conte Giacomo Leopardi che si contenti di ordinare o di lasciar fare un simile catalogo dei manoscritti che egli custodisce nel suo palazzo di Recanati, con che il nobile uomo aggiungerà ancora alle benemerenze che egli ha gia tante verso l’Italia e la coltura.
La Commissione aveva accennato come i manoscritti leopardiani di Napoli offerissero molti e nuovi e immediati documenti per una maggiore e più illuminata e più intima notizia della vita e del pensiero, della dottrina ed arte di Giacomo Leopardi e dei modi onde quel mirabile ingegno svolse le sue facoltà: primo e massimo tra quelli dichiarava il manoscritto dei Pensieri filologici e filosofici: del quale dava breve ed esatta descrizione cosi. «È una mole di ben 4526 facce lunghe e larghe mezzanamente, tutte vergate di man dell’autore, d’una scrittura spesso fitta, sempre compatta, eguale, accurata, corretta. Contengono un numero grandissimo di pensieri, appunti, ricordi, osservazioni, note, conversazioni e discussioni, per cosi dire, del giovine illustre con sé stesso, su l’animo suo, la sua vita, le circostanze; a proposito delle sue letture e cognizioni; di filosofia, di letteratura, di politica; su l’uomo, su le nazioni, su l’universo; materia di considerazioni più larga e variata che non sia la solenne tristezza delle operette morali; considerazioni poi liberissime e senza preoccupazioni, come di tale che scriveva di giorno in giorno per sé stesso e non per gli altri, intento, se non a perfezionarsi, ad ammaestrarsi, a compiangersi, a istoriarsi. Per sé stesso notava e ricordava il Leopardi, non per il pubblico: ciò non per tanto gran conto ei doveva fare di questo suo ponderoso manoscritto, se vi lavorò attorno un indice amplissimo e minutissimo, anzi più indici, a simiglianza di quelli che i commentatori olandesi e tedeschi apponevano ai classici. Quasi ogni articolo di quella organica enciclopedia è segnato dell’anno e del mese e del giorno in cui fu scritto, e tutta insieme va dal luglio del 1817 al 4 decembre del 1832: ma il piú è tra il 17 e il 27, cioè dei dieci anni della gioventú piú feconda e operosa, se anche trista e dolente».
Di questo voluminoso manoscritto la Commissione credé poter consigliare al Governo lasciasse fare la pubblicazione all’editore che offrisse migliori condizioni. Meglio offerenti furono i Successori di Felice Le Monnier, sotto il cui nome e per le cui stampe i volumi gloriosi del Leopardi dal 1845 in poi avevan corso il mondo civile. Ecco ora il primo dei nuovi. Al quale la Commissione pensò dover porre in fronte la intitolazione piú particolare e piena che l’autore diede in un de’ suoi indici; e gl’indici pubblicò tutti e intieri qui pure in principio, perché quello generale pone subito sotto gli occhi al lettore la grande copia e varietà delle cose pensate e notate, quelli parziali raccolgono sotto brevi e chiare formole la contenenza non sempre facile a cogliere e ne assegnano la partizione a chi voglia cercare i diversi rami. L’originale fu dato alle stampe com'è nello scritto, con i suoi ec. ec. ec.; a tenere avvertito il lettore che lo scrittore appuntava per suo uso a penna corrente, trascorrendo su quel che gli pareva agevole a ricordare. E per ciò la dicitura più d’una volta non finita, ripetentesi, imbarazzata, richiedeva cura speciale dell’interpunzione che lo scrittore lasciò andare un po’ fuor di regola: chi sopravvide la stampa la riprese e imitò di su quei luoghi ov’è con più intenzione corretta. Non avvertenze o note letterarie; né anche accenni a certi passi che l’autore rifece poi o riprese nelle prose o nelle lettere. Il lettore sarà più contento di riscontrarli da sé: noi da vero non ci sentimmo d’inframmetterci a mo' di pedanti nel soliloquio di Giacomo Leopardi; e tanto meno di misurare e determinare, critici frettolosi, l’importanza d’un’opera così personale e complessa e che è a pena nel suo principio. Ci professiamo grati alla erudita diligenza di Mario Menghini, che ci aiuta col riscontro perpetuo delle stampe e del manoscritto e sostiene la più grave parte nel lavoro di pubblicazione. Ci onoriamo di ornare questo primo volume col più degno e grande pregio che gli si convenisse: il ritratto modellato dallo scultore Giulio Monteverde, che fuso in bronzo ha da stare nella sala del Comune di Recanati. Non mai artista fece, né farà forse, più vero e più bello il poeta della ginestra: certo Giulio Monteverde l’ha intuito col genio dell’anima. Quanto dolore in quegli occhi faticosi! quanta forza nella eccelsa fronte! quanta mansuetudine e mitezza nel gracile viso! E lui quale lo amiamo e veneriamo da quaranta e più anni: lui, più che cantor di Consalvo, il Job insieme e il Lucrezio del pensiero italiano.
Bologna, 15 giugno 1898.
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