Orlando furioso (1928)/Nota/I. Le tre edizioni dell'Orlando furioso
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I. Le tre edizioni dell’Orlando Furioso. — II. Classificazione degli esemplari del ’32. — III. Differenze saltuarie da esemplare ad esemplare. — IV. La nostra edizione.
I
Le tre edizioni dell’«Orlando Furioso».
L’Ariosto pubblicò tre volte il suo poema, e sempre a Ferrara, nel 1516 (A), nel ’21 (B) e nel ’32 (C).
Del suo lavoro di composizione la prima notizia sicura è in data 3 febbr. 1507; poi si fanno piú numerose, specie nel 1509 e nel ’12, quando giá l’opera doveva essere assai innanzi, benché non ancor tale da soddisfare l’autore. Finalmente il 17 sett. 1515 il card. Ippolito chiede al march. di Mantova libero transito attraverso i suoi stati di mille risme di carta; mentre il Poeta continua a sollecitare, sia personalmente, sia per mezzo di autorevoli personaggi, da principi e repubbliche privilegi a tutela dell’opera sua. L’Orlando Furioso, frutto di dieci anni di grande lavoro, uscí pei tipi di maestro Giovanni Mazocco dal Bondeno il 22 aprile 15161.
In quella forma in cui per la prima volta apparve alla luce e alla gloria, il poema consta di quaranta canti.
La lingua teneva ancor molto di quell’emiliano illustre cui avevano dato autoritá il Boiardo ed altri minori, come il Cieco: in fondo un italiano letterario, cioè appreso segnatamente sui classici, sulle tre Corone, con venature latineggianti alle quali fanno contrasto le crude espressioni che i poeti ripetono dal loro dialetto nativo.
Prima di mandar fuori il suo libro, l’Ariosto fu preso da qualche nuovo pentimento, e buttò giú una breve Errata Corrige. Gli spiacque d’aver usato il plur. mano, e rifá i versi ove era in rima (III 72, X 49), salvo a lasciarlo in XIV 65, 4; e cosí cancella, sfuggitagli la scempia per la doppia, Alemano, sostituendo Germano (III 28, 3, 36, 4); rimedia a qualche sconcordanza e a qualche distrazione (XI 34, 3, XIV 54, 6, XVII 8, 3; XXIII 20, 5). Distingue, con maggior convenienza, golfo da fiume (VI 45, 3) e marina da riviera (VI 45, 6). E null’altro.
Pubblicato il Furioso, subito o poco appresso, io penso, messer Ludovico giá si divertiva a variarlo qua e lá: questo, di mutar sempre ciò che aveva fatto, coltivasse fiori o rime, era il suo diletto. E furon forse da prima lievi ritocchi, poi mutamenti di maggior rilievo. In lettera dell’ottobre del ’19 all’Equicola scrive d’avere incominciato a fargli «un poco di giunta», benché certe contese col Duca e col Cardinale fossero tali da mettergli «altra voglia che di pensare a favole»; ad ogni modo, concludeva, «pur non resta per questo che io non segua, facendo spesso qualche cosetta».
Sopra un esemplare di A venne registrando il suo lento e minuto lavoro di ripulitura, qualche spostamento, qualche aggiunta, alcune rare soppressioni; e quando ne fu contento, affidò la copia per la stampa a Giovanni Battista da la Pigna milanese, che il 13 febbraio 1521 diede fuori la seconda edizione2.
In questa la forma generale del poema rimane immutata, salvo due spostamenti, entrambi notevoli, l’uno notevolissimo. Nel c. XXXIII di A, mentre Ruggiero, sfidato da Bradamante, rimane perplesso, Marfisa entra in campo, e toglie per sé il duello. Qui l’Ariosto raccontava con lunga digressione che rallenta, dietro notizie di scarsa importanza, il corso d’una scena vivissima, come Marfisa fosse tornata a combattere per Agramante, e gli ultimi casi del misero Brunello (XXXIII 16-19) Queste quattro ottave verranno trasportate in altro luogo, e con ottimo gusto, ove sará bello contrapporre la nobiltá della guerriera allo sdegno pertinace di Rodomonte (XXX 6-9).
Il c. XXXIV consta in A di ottantotto stanze, e chiudesi coi reciproci giuramenti di Ruggiero e Rinaldo prima del duello e le relative cerimonie. L’esordio del canto che segue (Un non so che...) è un faticoso e lento ragionamento di nove lunghe ottave sul rispetto alle convenienze male intese (con attacchi a Giovanni de’ Medici nel tempo ch’era stato Legato pontificio a Bologna (1511 a’12), ed a Francesco Maria della Rovere dal ’10 al ’13 capitano delle milizie della Chiesa contro gli Estensi), per giustificare il contegno di Ruggiero, che pur amando Rinaldo ed onorandolo, non esita a battersi contro di lui. In una decima stanza ritroviamo finalmente i due avversari nell’atto in cui il Poeta li aveva lasciati, cioè fronte a fronte; seguono altre due, che descrivono il diverso contegno dei guerrieri, l’uno dei quali è solo intento a parare, l’altro combatte per uccidere.
Nella seconda ediz. l’Ariosto non volle chiudere il c. XXXIV col semplice annunzio del duello, ma gli parve piú conveniente all’arte lasciare il lettore nel vivo di quelle ansie che tengono diviso il cuore di Ruggiero. E pertanto, con miglior taglio, sospende il racconto nel punto che, finite le cerimonie, i duellanti si scambiano i primi colpi, ed agli assalti impetuosi di Rinaldo. Ruggiero debolmente risponde, e solo parando, agitato da diverse passioni (XXXIV 88; XXXV 11-12 A: XXXIV 88-90 B). La nuova fisionomia assunta dal finale del c. XXXIV invita il Poeta a sopprimere il lungo e un po’ freddo esordio del canto seguente (né forse alla soppressione sono estranee considerazioni politiche), in luogo del quale basterá l’appassionata ottava (Duro e fiero travaglio...).
Oltre a quelle di cui abbiamo or ora discorso, una sola ottava di A fu sacrificata, per le ragioni politiche giá accennate: quella che descrive Ferrara, per virtú delle armi d’Ippolito contro la proterva barbarie (gli Spagnuoli in lega con Giulio II), sola libera in mezzo alla generale servitú (XL 71 A).
Rare in B le inserzioni di nuove stanze. Ricordo, a tacer di altre meno importanti (XXIX 41), quella che forse in A mancava solo per svista d’impressore (XVII 62), quelle che lumeggiano la nobiltá di Ruggiero e il suo spirito cavalleresco (XXIII 5-6, 81-2), e segnatamente le famose in onore dei Fregoso (XXXVIII 20-2). Sulle ragioni che indussero l’Ariosto a comporle si son dette cose abbastanza curiose: a me pare che il Poeta abbia trovato un bel modo per pagare il suo debito di riconoscenza verso l’illustre famiglia d’un privilegio che il doge Ottaviano gli aveva concesso3.
La lingua s’affina con un più delicato senso d’arte, liberandosi cosí da certi dialettalismi come da latinismi troppo audaci. Il Poeta rifá versi e intere stanze: e qui nota che nelle nuove stesure quasi sempre conserva le stesse parole rima, tanto quei suoni creati nell’abbandono del primo Furioso gli rimangono vivi e cari e presenti. E cosí fará ancora quando B sará sottoposto ad una nuova revisione per l’ultima e definitiva stampa.
Del problema della lingua egli ora s’interessa ben piú che non avesse fatto prima, e certo in questa seconda edizione le voci e i modi toscani sono assai piú numerosi che nell’altra: ma siamo ben lontani dalla severitá d'un Bembo e d’un Manzoni; sia perchè ormai (aveva passato i quarant’anni) gli riusciva difficile mutare fortemente le proprie abitudini idiomatiche4, sia perché i versi è piú facile rifarli che correggerli, sia infine, e soprattutto, perché coi loro suoni nativi eran piaciuti a lui ed a tutta Italia.
L’Errata di B, oltre a buon numero di versi migliorati, ci regala una raccoltina di parole da correggere; ma, senza piú indicare i luoghi (che sarebbero troppi), mette insieme cogli errori materiali, come presto per preso, varianti grammaticali. Cosí non manca di registrare tra gli errori «mano per mani», poiché, a dispetto della Errata di A, ricompariva nella seconda edizione (per es. XXXIX 186, 8). E poi (diamo solo un paio d’ess.) vorrebbe sostituire nimico a nemico, destino a distino, dovere a devere, ricorda a raccorda, ecc. E da ultimo, senza entrare in particolari, prega di correggere dove si trovi «una consonante per due, due per una». E cosí con bell’arte l’Ariosto si salva dalle punte dei grammatici, liberandosi una volta per tutte dal tedio di ritoccare o rifar versi che a suo giudizio son buoni. Quanto agli errori di stampa, ne raddrizza una mezza dozzina, ma son tanti, che, come giá in A, ancor qui trova piú comodo dire al Lettore che se la sbrighi da sé.
Intanto, mentre il Furioso continua a ristamparsi scorrettissimo, il Poeta con assidua cura si riguarda il suo bel lavoro, vagheggia e compone nuovi episodi, e consulta «molti belli ed eccellenti ingegni d’Italia, per averne il lor giudizio»5, e rivede il dettato consultando le Prose del Bembo (1a ediz., 1525). Le correzioni si moltiplicano: ogni stanza, ogni verso è ritoccato. Nuovi svolgimenti ed amplissime scene entrano nel grande quadro. E gli anni trascorrono. Se nel ’28 messer Ludovico s’illude d’essere vicino al desiderato porto, e scrive a Venezia che gli rinnovi vecchi privilegi, dovrá ancora passar del tempo, e parecchio, prima che gli sia data questa grande consolazione6. Il 23 febbraio del ’31 può finalmente scrivere al Bembo: «io son per finir di riveder il mio Furioso: poi verrò a Padova per conferire con V. S., e imparare da lei quello che per me non sono atto a conoscere»7.
L’anno seguente s’inizia la stampa, essendo giunte nel febbraio da Salò 400 risme di carta. Il Poeta consegna allo stampatore, che fu Francesco Rosso da Valenza8, una copia di B tutta tempestata di correzioni9; e poiché i margini non bastavano davvero alle numerose aggiunte (si tratta di oltre settecento ottave!), in quaderni a parte i complementi. Nel marzo è cosí intento alla revisione delle prove, che ad altro non attende10.
Questa, che è l’ultima curata dall’Autore, uscì il 1º d’ottobre del 1532. Va superba d’un magnifico ritratto, disegnato dal Tiziano, inciso da Francesco de Nanto11. L’impresa, ch’era nelle precedenti edd. un alveo di api, le quali dall’ingrato villano son fatte fuggire col fuoco (nei quattro angoli il motto pro bono malum); nella terza sará in forma di due biscie, all’una delle quali è stata recisa la lingua, e all’altra che velenosa la vibra, si mostra di sopra una mano in atto di tagliarla anche a lei, col motto dilexisti malitiam super benignitatem12. Il vecchio motto qui è posto in fine, dopo l’ultimo verso, né si trova in tutti gli esemplari: piú d’uno ha invece un piccolo intaglio rappresentante una lupa che allatta il suo lupicino.
L’Ariosto ne fu scontentissimo, e con ragione, come vedremo nel Cap. II. E giá pensava di ristampare l’opera della sua vita, e giá, sopra un suo Furioso degli ultimi stampati, «il quale era solamente legato in un cartone rozzo, et non era tagliato in torcolo o agguagliate le carte altramente, per non restringere il margine»13, veniva mutando e correggendo, «parendogli, come era, d’esser stato mal servito in questa ultima stampa, et assassinato»14. Ma non gli diede il modo né il tempo di condurre, nonché a termine, oltre i primi canti questo lavoro, e pur saltuariamente, la grave infermitá che lo tormentava, e la morte sopraggiunta poco appresso (6 luglio 1533). Morí amareggiato dal pensiero che un poema cosí ricco d’immortali bellezze non avesse trovata una veste di sé degna.
Gli spostamenti e le poche ottave che l’Autore aveva introdotto in B, entrano nell’ultima edizione. E non sacrifica quasi nulla. Sono soppresse appena due stanze, ch’erano in entrambe le precedenti, quella ben nota di Stranodesiderio, che chiudeva la novella d’Astolfo e Giocondo (c. XXVI di AB, st. 75: il canto corrisponde al XXVIII di C), ed un’altra di poco valore, che fa morire Adonio di strapazzi amorosi (c. XXXIX di AB, st. 112: corrisponde al c. XLIII di C).
C si distingue da AB soprattutto per le amplissime aggiunte, tra le quali tengono il primo posto le quattro grandi nuove invenzioni. Il fulgido episodio d’Olimpia, che si spezza fra i cc. IX-X-XI, e comprende la famosa invettiva contro le armi da fuoco, e dá luogo, per la diversa disposizione della vecchia materia, al mirabile nuovo inizio del c. XII (Cerere, poi che da la madre Idea...). La seconda innovazione è nei cc. XXXII-XXXIII: Bradamante e i tre re nordici alla ròcca di Tristano; racconto nel quale s’inscrive, importante pagina storica e politica, la descrizione delle pitture di Merlino, raffiguranti i guai che dovevano colpire, nel volgere dei secoli, i Francesi invasori del nostro paese. Il c. XXXVII, nuovo, e preannunciato dall’ultima stanza, nuova pur essa, del canto precedente, racconta la tragedia di Drusilla e Marganorre. Finalmente nei tre ultimi canti (di cui il XLV è interamente nuovo), ove tanta parte occupa un nuovo personaggio, Leone, s’inserisce il lungo e complesso racconto delle sopravvenute difficoltá e avventure che vanno indugiando le nozze di Ruggiero e Bradamante. E questa, se mai, è la parte nella quale par di sentire un certo rallentarsi e appesantirsi della fantasia dell’Ariosto.
Frequenti le aggiunte d’ottave dedicate a personaggi e fatti contemporanei (XIII 71-72, XV 18-36, XXVI 50-2, XLIII 56-9, XLVI 5-6, 8-9, 11-12 ecc.); in una è un velato omaggio ad Alessandra (XXVII 124); due, nella gran scena finale, annunziano Rodomonte (XLVI 102-3), togliendole quel vago inaspettato, che rendeva di tanto piú bello il sopraggiungere del guerriero nemico nell’ora del solenne convito nuziale.
Concludendo, si può dire che sostanzialmente i Furiosi si riducono a due: l’uno rappresentato da A e B, che hanno suppergiú la stessa fisionomia; l’altro da C, che pur lasciando immutata nelle sue linee generali la pianta del poema, coi suoi infiniti ritocchi e le aggiunte e il coronamento, viene a costituire una nuova redazione.
Per ciò che riguarda la lingua, il Poeta continua, forte dell’autoritá delle Prose e dei consigli del Bembo (che ad ogni modo rispetta solo quando gli talenta), quel lavoro di ripulitura e toscaneggiamento che giá aveva portato innanzi in B. Ma ancor qui, se ne togli alcune parole e forme per sempre bandite (che si riducono a poco), vedi continue varietá d’uso, e che nessuna norma è adottata con assoluto rigore. Se per es. nell’errata di B condanna nemico, te lo ritrovi poi, I 39, 1, V 6, 1 e ad ogni passo; distin di B ricompare in VI 35, 2; ecco devevi XX 133, 7 ecc. Ancora un esempio caratteristico. Giá in B si dimostra scontento d’aver adoperato raccordare in vece di ricordare, e piú volte corregge (XIX 5, 7, 69, 3, 77, 3, XX 20, 5); ma come parecchie altre o se n’era scordato, o gli era spiaciuto ritoccare i versi, con un comodo ripiego avverte nell’Errata. E tuttavia in C, dopo dieci anni, troviamo ancora, ereditá di B: raccordargli XXX 28, 1, raccorda XXII 72, 3, XXVI 17, 1, raccordava XXXVIII 27, 3, raccordògli 30, 1, raccordata XXVIII 18, 2. Perché cosí vuole la sua volubilitá e finezza d’artista, schiva d’ogni pedanteria, insofferente di quell’uniforme rigore ch’era l’ideale dei grammatici del tempo.
Insomma l’Ariosto lavora libero da ogni legge che non sia quella del proprio gusto. Iniziatosi al comporre romanzesco sul poema del Boiardo, cosí folto di lombardismi, e cosí vivo e fresco in quella lingua che era pur anche la sua, messer Ludovico — pure intendendo tutta la vita a un ideale di eloquio che tiene della classicitá dei Latini, e dei sommi del Trecento, e delle piú fini grazie del Quattrocento poetico — delle sue prime e care origini non riesce e quasi diremmo non vuole mai dimenticarsi e sciogliersi a pieno: sí che accenti e voci lombarde suonano ancora nella piú larga e matura classicitá dell’ultimo Furioso.
Mi si consentano due appunti bibliografici prima di finire.
Gli esemplari di A e B si son fatti rarissimi; si contano ormai sulle dita d’una mano: alquanto piú numerosi quelli di C, che ad ogni modo, a fare un conto grosso, forse non arrivano a venti. Della prima ediz. si conosce una ristampa di C. Giannini in due voll., cui tien dietro un volumetto con le differenze fra A e B (Ferrara, 1875-6). Errori numerosi in quella, errori ad ogni passo ed omissioni in questo disgraziato confronto.
Per merito della Societá filologica romana finalmente noi abbiamo oggi innanzi, a cura di F. Ermini, tutte e tre le edd.: abbastanza buona è la riproduzione di AB; assai migliore, anzi veramente pregevole, quella di C (Roma, 1909-11; 1913).
Invano oggi si ricercherebbero sia l’autografo primo su cui fu condotta l’ediz. principe, sia gli esemplari a stampa di ABC con le relative correzioni. Per B e C abbiamo qualche informazione dal Pigna e dal Ruscelli che li ebbero in lettura dai figli del Poeta. Ad ogni modo, gli ultimi ritocchi che l’Ariosto prima della morte avrebbe registrato sul suo esemplare di C, se pur si voglia credere al Ruscelli (e crediamogli pure, ma ci sarebbe parecchio da dire)15, non saranno mai da introdurre nel testo, trattandosi di correzioni fatte con mano stanca e saltuariamente, forse per qual che momentaneo svago dello spirito e dietro alcune fuggevoli illusioni, da un uomo gravemente ammalato.
Se ci sfuggono le copie postillate, fortuna vuole che sian giunti a noi gli autografi (α) di gran parte di quei brani che il Poeta aggiunge nella sua terza edizione16. Inutile dire che C supera anche le trascrizioni autografe definitive, in quanto rappresenta le ultime intenzioni del Poeta; ma non sará superfluo osservare che dove la lezione di C desta qualche dubbio, i mss. potranno essere utilmente consultati.
Manca tuttavia una buona edizione che ponga innanzi al Lettore in forma chiara e sicura le varianti delle stampe e dei mss. del Furioso17. E cosí s’attende un lavoro d’insieme, che sia in tutto soddisfacente, sopra un argomento interessantissimo non meno per il linguista che per il letterato18.
- ↑ Per questa e le successive edd., v. U. Guidi, Annali delle edizioni e delle versioni dell’Orlando Furioso, Bologna, 1861.
- ↑ Ciò che qui per la prima volta si osserva, che la seconda ediz. fu condotta sopra una copia della prima, risulta dagli errori ripetuti: farse AB IV 14, 3; guadagnare AB VI 80, 6; questa AB XII 2, 8; abbatutto AB XX 81, 2; Hettore AB XXIV 100, 8; Altante XXXIV 26, 2 ecc.
- ↑ La supplica ad Ottaviano è del 27 febbr. 1516 (A. Salza, Studi su Ludovico Ariosto, Cittá di Castello, 1914, p. 291). Del privilegio genovese, di cui ignoriamo la data, non si ha espressa menzione nell’ediz. del ’16, bensí in quella del ’21.
- ↑ S’osservi, importante per la data (1520), ciò che l’Ariosto nel Prologo del Negromante scrive della sua lingua. Fatto cenno delle parole bolognesi che ha accolto quando gli piacevano, soggiunge d’aver dato opera a tutto suo potere alle toscane eleganze; ma nel troppo breve soggiorno toscano
tanto appreso non ha, che la pronunzia
lombarda possa totalmente ascondere.(Commedie e satire, ed. Tortoli, Firenze, 1856, p. LXI).
- ↑ G. Giraldi, Dei Romanzi, in Scritti estetici, ed. Daelli, I, 141.
- ↑ Lettere di L. Ariosto, ed. Cappelli, Milano, 1887, p. 279 e cfr. p. 353.
- ↑ Lettere, p. 282. Si allude certo a dubbi grammaticali. Riconoscente dei consigli, l’Ariosto ricorderá nell’ultimo Furioso Pietro Bembo come un maestro, come colui
che ’l puro e dolce idioma nostro,
levato fuor del volgare uso tetro,
quale esser dee, ci ha col suo esempio mostro (XLVI 15). - ↑ Sulla sua attivitá: L. N. Cittadella, La stampa in Ferrara, Torino, 1873, p. 25.
- ↑ Molti errori di stampa ch’erano in B si ripetono in C: affato BC IV 6, 7; nascere BC XV (XVII C) 2, 4; meton BC 10, 4: inante BC XXI (XXIII C) 23, 6; speme BC XXXVIII (XLII C) 34, 1 ecc.
- ↑ Lettere, pp. 290-1.
- ↑ Cfr. G. Agnelli, I ritratti dell’Ariosto, in «Rassegna d’arte antica e moderna», IX (1922), p. 82 ss., a p. 92. Sull’incisore: P. Kristeller, Kupferstich u. Hotzschnitt in vier Jahrhunderten, Berlin, 1905, p. 296.
- ↑ Cfr. Salza, Studi cit,. p 217.
- ↑ Quest’esemplare fu veduto dal Ruscelli, che copiò un certo numero di correzioni: cfr. Salza, Studi cit., p. 238 ss.
- ↑ Cosí in una notissima lettera di Galasso Ariosto al Bembo, ripubblicata dal Salza, Studi cit., p. 6.
- ↑ V. intanto Salza, Studi cit., p. 238 ss.
- ↑ Ci danno i seguenti brani, alcuni in brutta copia, altri in bella, altri in brutta e in bella: canto IX 1-94 (intero); X 1-35 (v. 3); XI 21-70; XII 8-17; XXXVII 25-122 (fine); XLIV 11-20, 31-92, 104 (fine); XLV 1-3, 7-117 (fine). E abbozzi o frammenti delle segg. stanze: XI 43, 44, 45, 71, 73; XII 1, e XLV 4 . Sono in tutto 55 fogli, di cui 53 nella Comunale di Ferrara (pubblicati in facsimile da G. Agnelli, I framm. autogr. dell’O. F., Roma, 1904) e 2 nell’Ambrosiana (pubbl. in facs. da G. Lisio nella miscellanea Da Dante al Leopardi, Milano, 1904; per nozze Scherillo-Negri, p. 387).
- ↑ Inservibile è la scelta che accompagna l’ediz. del Furioso curata dal Reina per i Classici italiani (Milano, 1812-14, voll. 5). Di nessuna utilitá ormai i modesti tentativi di F. Martini, Il primo canto dell’Orlando Furioso nelle edd. del 1516 e del 1532, Pavia, 1890; per nozze Angeleri-Mariani, e di E. V[alla], Orlando Furioso... secondo le stampe del MDXVI, MDXXI, MDXXXII, Canto I, Piacenza, 1906. Con ben altra preparazione si pose all’opera G. Lisio, che ne pubblicò un saggio, Il canto primo e il canto secondo dell’Orlando Furioso, Milano, 1909. Aveva l’egregio studioso giá condotto abbastanza innanzi l’ediz. presso il Niemeyer di Halle: l’esemplare ch’io posseggo, favoritomi da un gentile amico, il prof. C. Pellegrini, consta di 8 fogli tirati (I-IX 58), piú due fogli e parte di un terzo di prime bozze (IX 59-XI 78). Se pur l’ediz. segue criteri che non condivido, ed è oscurata da troppo frequenti omissioni, ad ogni modo essa ci rappresenta un primo tentativo condotto con serietá ed intelligenza; aggiungo che i commenti sono in tutto degni di quel bell’ingegno rapito immaturamente agli studi.
- ↑ Qualcosa s’è fatto giá nel Cinquecento, secondo la rettorica del tempo. Dei contributi moderni, cito solo, perché è il migliore, anzi l’unico degno di menzione, quello di M. Diaz, Le correzioni all’Orlando Furioso, Napoli, 1900.