Orlando furioso (1928)/Canto 22
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CANTO VENTESIMOSECONDO
1
Cortesi donne e grate al vostro amante,
voi che d’un solo amor sète contente,
come che certo sia, fra tante e tante,
che rarissime siate in questa mente;
non vi dispiaccia quel ch’io dissi inante,
quando contra Gabrina fui sí ardente,
e s’ancor son per spendervi alcun verso,
di lei biasmando l’animo perverso.
2
Ella era tale; e come imposto fummi
da chi può in me, non preterisco il vero.
Per questo io non oscuro gli onor summi
d’una e d’un’altra ch’abbia il cor sincero.
Quel che ’l Maestro suo per trenta nummi
diede a’ Iudei, non nocque a Ianni o a Piero;
né d’Ipermestra è la fama men bella,
se ben di tante inique era sorella.
3
Per una che biasmar cantando ardisco
(che l’ordinata istoria cosí vuole),
lodarne cento incontra m’offerisco,
e far lor virtú chiara piú che ’l sole.
Ma tornando al lavor che vario ordisco,
ch’a molti, lor mercé, grato esser suole,
del cavallier di Scozia io vi dicea,
ch’un alto grido appresso udito avea.
4
Fra due montagne entrò in un stretto calle
onde uscia il grido, e non fu molto inante,
che giunse dove in una chiusa valle
si vide un cavallier morto davante.
Chi sia dirò; ma prima dar le spalle
a Francia voglio, e girmene in Levante,
tanto ch’io trovi Astolfo paladino,
che per Ponente avea preso il camino.
5
Io lo lasciai ne la cittá crudele,
onde col suon del formidabil corno
avea cacciato il populo infedele,
e gran periglio toltosi d’intorno,
et a’ compagni fatto alzar le vele,
e dal lito fuggir con grave scorno.
Or seguendo di lui, dico che prese
la via d’Armenia, e uscí di quel paese.
6
E dopo alquanti giorni in Natalia
trovossi, e inverso Bursia il camin tenne;
onde, continuando la sua via
di qua dal mare, in Tracia se ne venne.
Lungo il Danubio andò per l’Ungaria;
e come avesse il suo destrier le penne,
i Moravi e i Boemi passò in meno
di venti giorni e la Franconia e il Reno.
7
Per la selva d’Ardenna in Aquisgrana
giunse e in Barbante, e in Fiandra al fin s’imbarca.
L’aura che soffia verso tramontana,
la vela in guisa in su la prora carca,
ch’a mezzo giorno Astolfo non lontana
vede Inghilterra, ove nel lito varca.
Salta a cavallo, e in tal modo lo punge,
ch’a Londra quella sera ancora giunge.
8
Quivi sentendo poi che ’l vecchio Otone
giá molti mesi inanzi era in Parigi,
e che di nuovo quasi ogni barone
avea imitato i suoi degni vestigi;
d’andar subito in Francia si dispone:
e cosí torna al porto di Tamigi,
onde con le vele alte uscendo fuora,
verso Calessio fe’ drizzar la prora.
9
Un ventolin che leggiermente all’orza
ferendo, avea adescato il legno all’onda,
a poco a poco cresce e si rinforza;
poi vien sí, ch’al nocchier ne soprabonda.
Che li volti la poppa al fine è forza;
se non, gli caccierá sotto la sponda.
Per la schena del mar tien dritto il legno,
e fa camin diverso al suo disegno.
10
Or corre a destra, or a sinistra mano,
di qua di lá, dove fortuna spinge,
e piglia terra al fin presso a Roano;
e come prima il dolce lito attinge,
fa rimetter la sella a Rabicano,
e tutto s’arma e la spada si cinge.
Prende il camino, et ha seco quel corno
che gli val piú che mille uomini intorno.
11
E giunse, traversando una foresta,
a piè d’un colle ad una chiara fonte,
ne l’ora che ’l monton di pascer resta,
chiuso in capanna, o sotto un cavo monte.
E dal gran caldo e da la sete infesta
vinto, si trasse l’elmo da la fronte;
legò il destrier tra le piú spesse fronde,
e poi venne per bere alle fresche onde.
12
Non avea messo ancor le labra in molle,
ch’un villanel che v’era ascoso appresso,
sbuca fuor d’una macchia, e il destrier tolle,
sopra vi sale, e se ne va con esso.
Astolfo il rumor sente, e ’l capo estolle;
e poi che ’l danno suo vede sí espresso,
lascia la fonte, e sazio senza bere,
gli va dietro correndo a piú potere.
13
Quel ladro non si stende a tutto corso,
che dileguato si saria di botto;
ma or lentando or raccogliendo il morso,
se ne va di galoppo e di buon trotto.
Escon del bosco dopo un gran discorso;
e l’uno e l’altro al fin si fu ridotto
lá dove tanti nobili baroni
eran senza prigion piú che prigioni.
14
Dentro il palagio il villanel si caccia
con quel destrier che i venti al corso adegua.
Forza è ch’Astolfo, il qual lo scudo impaccia,
l’elmo e l’altr’arme, di lontan lo segua.
Pur giunge anch’egli, e tutta quella traccia
che fin qui avea seguita, si dilegua;
che piú né Rabican né ’l ladro vede,
e gira gli occhi, e indarno affretta il piede:
15
affretta il piede e va cercando invano
e le loggie e le camere e le sale;
ma per trovare il perfido villano,
di sua fatica nulla si prevale.
Non sa dove abbia ascoso Rabicano,
quel suo veloce sopra ogni animale;
e senza frutto alcun tutto quel giorno
cercò di su di giú, dentro e d’intorno.
16
Confuso e lasso d’aggirarsi tanto,
s’avvide che quel loco era incantato;
e del libretto ch’avea sempre a canto,
che Logistilla in India gli avea dato,
acciò che, ricadendo in nuovo incanto,
potessi aitarsi, si fu ricordato:
all’indice ricorse, e vide tosto
a quante carte era il rimedio posto.
17
Del palazzo incantato era difuso
scritto nel libro; e v’eran scritti i modi
di fare il mago rimaner confuso,
e a tutti quei prigion di sciorre i nodi.
Sotto la soglia era uno spirto chiuso,
che facea questi inganni e queste frodi:
e levata la pietra ov’è sepolto,
per lui sará il palazzo in fumo sciolto.
18
Desideroso di condurre a fine
il paladin sí glorïosa impresa,
non tarda piú che ’l braccio non inchine
a provar quanto il grave marmo pesa.
Come Atlante le man vede vicine
per far che l’arte sua sia vilipesa,
sospettoso di quel che può avvenire,
lo va con nuovi incanti ad assalire.
19
Lo fa con dïaboliche sue larve
parer da quel diverso, che solea:
gigante ad altri, ad altri un villan parve,
ad altri un cavallier di faccia rea.
Ognuno in quella forma in che gli apparve
nel bosco il mago, il paladin vedea;
sí che per rïaver quel che gli tolse
il mago, ognuno al paladin si volse.
20
Ruggier, Gradasso, Iroldo, Bradamante,
Brandimarte, Prasildo, altri guerrieri
in questo nuovo error si fêro inante,
per distruggere il duca accesi e fieri.
Ma ricordossi il corno in quello instante,
che fe’ loro abbassar gli animi altieri.
Se non si soccorrea col grave suono,
morto era il paladin senza perdono.
21
Ma tosto che si pon quel corno a bocca
e fa sentire intorno il suono orrendo,
a guisa dei colombi, quando scocca
lo scoppio, vanno i cavallier fuggendo.
Non meno al negromante fuggir tocca,
non men fuor de la tana esce temendo
pallido e sbigottito, e se ne slunga
tanto, che ’l suono orribil non lo giunga.
22
Fuggí il guardian coi suo’ prigioni; e dopo
de le stalle fuggîr molti cavalli,
ch’altro che fune a ritenerli era uopo,
e seguirò i patron per varii calli.
In casa non restò gatta né topo
al suon che par che dica: Dálli, dálli.
Sarebbe ito con gli altri Rabicano,
se non ch’all’uscir venne al duca in mano.
23
Astolfo, poi ch’ebbe cacciato il mago,
levò di su la soglia il grave sasso,
e vi ritrovò sotto alcuna imago,
et altre cose che di scriver lasso:
e di distrugger quello incanto vago,
di ciò che vi trovò, fece fraccasso,
come gli mostra il libro che far debbia;
e si sciolse il palazzo in fumo e in nebbia.
24
Quivi trovò che di catena d’oro
di Ruggiero il cavallo era legato,
parlo di quel che ’l negromante moro
per mandarlo ad Alcina gli avea dato;
a cui poi Logistilla fe’ il lavoro
del freno, ond’era in Francia ritornato,
e girato da l’India all’Inghilterra
tutto avea il lato destro de la terra.
25
Non so se vi ricorda che la briglia
lasciò attacata all’arbore quel giorno
che nuda da Ruggier sparí la figlia
di Galafrone, e gli fe’ l’alto scorno.
Fe’ il volante destrier, con maraviglia
di chi lo vide, al mastro suo ritorno;
e con lui stette infin al giorno sempre,
che de l’incanto fur rotte le tempre.
26
Non potrebbe esser stato piú giocondo
d’altra aventura Astolfo, che di questa;
che per cercar la terra e il mar, secondo
ch’avea desir, quel ch’a cercar gli resta,
e girar tutto in pochi giorni il mondo,
troppo venía questo ippogrifo a sesta.
Sapea egli ben quanto a portarlo era atto,
che l’avea altrove assai provato in fatto.
27
Quel giorno in India lo provò, che tolto
da la savia Melissa fu di mano
a quella scelerata che travolto
gli avea in mirto silvestre il viso umano:
e ben vide e notò come raccolto
gli fu sotto la briglia il capo vano
da Logistilla, e vide come instrutto
fosse Ruggier di farlo andar per tutto.
28
Fatto disegno l’ippogrifo tôrsi,
la sella sua, ch’appresso avea, gli messe;
e gli fece, levando da piú morsi
una cosa et un’altra, un che lo resse;
che dei destrier ch’in fuga erano corsi,
quivi attaccate eran le briglie spesse.
Ora un pensier di Rabicano solo
lo fa tardar che non si leva a volo.
29
D’amar quel Rabicano avea ragione;
che non v’era un miglior per correr lancia,
e l’avea da l’estrema regïone
de l’India cavalcato insin in Francia.
Pensa egli molto; e in somma si dispone
darne piú tosto ad un suo amico mancia,
che, lasciandolo quivi in su la strada,
se l’abbia il primo ch’a passarvi accada.
30
Stava mirando se vedea venire
pel bosco o cacciatore o alcun villano,
da cui far si potesse indi seguire
a qualche terra, e trarvi Rabicano.
Tutto quel giorno e sin all’apparire
de l’altro stette riguardando invano.
L’altro matin, ch’era ancor l’aer fosco,
veder gli parve un cavallier pel bosco.
31
Ma mi bisogna, s’io vo’dirvi il resto,
ch’io trovi Ruggier prima e Bradamante.
Poi che si tacque il corno, e che da questo
loco la bella coppia fu distante,
guardò Ruggiero, e fu a conoscer presto
quel che fin qui gli avea nascoso Atlante:
fatto avea Atlante che fin a quell’ora
tra lor non s’eran conosciuti ancora.
32
Ruggier riguarda Bradamante, et ella
riguarda lui con alta maraviglia,
che tanti dí l’abbia offuscato quella
illusïon sí l’animo e le ciglia.
Ruggiero abbraccia la sua donna bella,
che piú che rosa ne divien vermiglia;
e poi di su la bocca i primi fiori
cogliendo vien dei suoi beati amori.
33
Tornaro ad iterar gli abbracciamenti
mille fïate, et a tenersi stretti
i duo felici amanti, e sí contenti,
ch’a pena i gaudii lor capiano i petti.
Molto lor duol che per incantamenti,
mentre che fur negli errabondi tetti,
tra lor non s’eran mai riconosciuti,
e tanti lieti giorni eran perduti.
34
Bradamante, disposta di far tutti
i piaceri che far vergine saggia
debbia ad un suo amator, sí che di lutti,
senza il suo onore offendere, il sottraggia:
dice a Ruggier, se a dar gli ultimi frutti
lei non vuol sempre aver dura e selvaggia,
la faccia domandar per buoni mezzi
al padre Amon: ma prima si battezzi.
35
Ruggier, che tolto avria non solamente
viver cristiano per amor di questa,
com’era stato il padre, e antiquamente
l’avolo e tutta la sua stirpe onesta;
ma, per farle piacere, immantinente
data le avria la vita che gli resta:
— Non che ne l’acqua (disse), ma nel fuoco
per tuo amor porre il capo mi fia puoco. —
36
Per battezzarsi dunque, indi per sposa
la donna aver, Ruggier si messe in via,
guidando Bradamante a Vallombrosa
(cosí fu nominata una badia
ricca e bella, né men religïosa,
e cortese a chiunque vi venía);
e trovaro all’uscir de la foresta
donna che molto era nel viso mesta.
37
Ruggier, che sempre uman, sempre cortese
era a ciascun, ma piú alle donne molto,
come le belle lacrime comprese
cader rigando il delicato volto,
n’ebbe pietade, e di disir s’accese
di saper il suo affanno; et a lei volto,
dopo onesto saluto, domandolle
perch’avea sí di pianto il viso molle.
38
Et ella, alzando i begli umidi rai,
umanissimamente gli rispose,
e la cagion de’ suoi penosi guai,
poi che le domandò, tutta gli espose.
— Gentil signor (disse ella), intenderai
che queste guancie son sí lacrimose
per la pietá ch’a un giovinetto porto,
ch’in un castel qui presso oggi fia morto.
39
Amando una gentil giovane e bella,
che di Marsilio re di Spagna è figlia,
sotto un vel bianco e in feminil gonella,
finta la voce e il volger de le ciglia,
egli ogni notte si giacea con quella,
senza darne sospetto alla famiglia:
ma sí secreto alcuno esser non puote,
ch’al lungo andar non sia chi ’l vegga e note.
40
Se n’accorse uno, e ne parlò con dui;
gli dui con altri, insin ch’al re fu detto.
Venne un fedel del re l’altr’ieri a nui.
che questi amanti fe’ pigliar nel letto;
e ne la ròcca gli ha fatto ambedui
divisamente chiudere in distretto:
né credo per tutto oggi ch’abbia spazio
il gioven, che non mora in pena e in strazio.
41
Fuggita me ne son per non vedere
tal crudeltá; che vivo l’arderanno:
né cosa mi potrebbe piú dolere,
che faccia di sí bel giovine il danno;
né potrò aver giamai tanto piacere,
che non si volga subito in affanno,
che de la crudel fiamma mi rimembri,
ch’abbia arsi i belli e delicati membri. —
42
Bradamante ode, e par ch’assai le prema
questa novella, e molto il cor l’annoi;
né par che men per quel dannato tema,
che se fosse uno dei fratelli suoi.
Né certo la paura in tutto scema
era di causa, come io dirò poi.
Si volse ella a Ruggiero, e disse: — Parme
ch’in favor di costui sien le nostr’arme. —
43
E disse a quella mesta: — Io ti conforto
che tu vegga di porci entro alle mura;
che se ’l giovine ancor non avran morto,
piú non l’uccideran, stanne sicura. —
Ruggiero, avendo il cor benigno scorto
de la sua donna e la pietosa cura,
sentí tutto infiammarsi di desire
di non lasciare il giovine morire.
44
Et alla donna, a cui dagli occhi cade
un rio di pianto, dice: — Or che s’aspetta?
Soccorrer qui, non lacrimare accade:
fa ch’ove è questo tuo, pur tu ci metta.
Di mille lancie trar, di mille spade
tel promettian, pur che ci meni in fretta:
ma studia il passo piú che puoi, che tarda
non sia l’aita, e intanto il fuoco l’arda. —
45
L’alto parlare e la fiera sembianza
di quella coppia a maraviglia ardita,
ebbon di tornar forza la speranza
colá dond’era giá tutta fuggita;
ma perch’ancor, piú che la lontananza,
temeva il ritrovar la via impedita,
e che saria per questo indarno presa,
stava la donna in sé tutta sospesa.
46
Poi disse lor: — Facendo noi la via
che dritta e piana va fin a quel loco,
credo ch’a tempo vi si giungeria,
che non sarebbe ancora acceso il fuoco:
ma gir convien per cosí torta e ria,
che ’l termine d’un giorno saria poco
a riuscirne; e quando vi saremo,
che troviam morto il giovine mi temo. —
47
— E perché non andian (disse Ruggiero)
per la piú corta? — E la donna rispose:
— Perché un castel de’ conti da Pontiero
tra via si trova, ove un costume pose,
non son tre giorni ancora, iniquo e fiero
a cavallieri e a donne aventurose,
Pinabello, il peggior uomo che viva,
figliuol del conte Anselmo d’Altariva.
48
Quindi né cavallier né donna passa,
che se ne vada senza ingiuria e danni:
l’uno e l’altro a piè resta; ma vi lassa
il guerrier l’arme, e la donzella i panni.
Miglior cavallier lancia non abbassa,
e non abbassò in Francia giá molt’anni,
di quattro che giurato hanno al castello
la legge mantener di Pinabello.
49
Come l’usanza (che non è piú antiqua
di tre dí) cominciò, vi vo’ narrare;
e sentirete se fu dritta o obliqua
cagion che i cavallier fece giurare.
Pinabello ha una donna cosí iniqua,
cosí bestial, ch’al mondo è senza pare;
che con lui, non so dove, andando un giorno,
ritrovò un cavallier che le fe’ scorno.
50
Il cavallier, perché da lei beffato
fu d’una vecchia che portava in groppa,
giostrò con Pinabel ch’era dotato
di poca forza e di superbia troppa;
et abbattello, e lei smontar nel prato
fece, e provò s’andava dritta o zoppa:
lasciolla a piede, e fe’ de la gonella
di lei vestir l’antiqua damigella.
51
Quella ch’a piè rimase, dispettosa,
e di vendetta ingorda e sitibonda,
congiunta a Pinabel che d’ogni cosa
dove sia da mal far, ben la seconda,
né giorno mai, né notte mai riposa,
e dice che non ha mai piú gioconda,
se mille cavallieri e mille donne
non mette a piedi, e lor tolle arme e gonne.
52
Giunsero il dí medesmo, come accade,
quattro gran cavallieri ad un suo loco,
li quai di rimotissime contrade
venuti a queste parti eran di poco;
di tal valor, che non ha nostra etade
tant’altri buoni al bellicoso gioco:
Aquilante, Grifone e Sansonetto,
et un Guidon Selvaggio giovinetto.
53
Pinabel con sembiante assai cortese
al castel ch’io v’ho detto gli raccolse.
La notte poi tutti nel letto prese,
e presi tenne; e prima non li sciolse,
che li fece giurar ch’un anno e un mese
(questo fu a punto il termine che tolse)
stariano quivi, e spogliarebbon quanti
vi capitasson cavallieri erranti:
54
e le donzelle ch’avesson con loro,
porriano a piedi, e torrian lor le vesti.
Cosí giurâr, cosí constretti fôro
ad osservar, ben che turbati e mesti.
Non par che fin a qui contra costoro
alcun possa giostrar, ch’a piè non resti:
e capitati vi sono infiniti,
ch’a piè e senz’arme se ne son partiti.
55
È ordine tra lor, che chi per sorte
esce fuor prima, vada a correr solo:
ma se trova il nimico cosí forte,
che resti in sella, e getti lui nel suolo,
sono ubligati gli altri infin a morte
pigliar l’impresa tutti in uno stuolo.
Vedi or, se ciascun d’essi è cosí buono,
quel ch’esser de’, se tutti insieme sono.
56
Poi non conviene all’importanza nostra
che ne vieta ogni indugio, ogni dimora,
che punto vi fermiate a quella giostra;
e presuppongo che vinciate ancora,
che vostra alta presenzia lo dimostra;
ma non è cosa da fare in un’ora:
et è gran dubbio che ’l giovine s’arda,
se tutto oggi a soccorrerlo si tarda. —
57
Disse Ruggier: — Non riguardiamo a questo;
faccián nui quel che si può far per nui;
abbia chi regge il ciel cura del resto,
o la Fortuna, se non tocca a lui.
Ti fia per questa giostra manifesto,
se buoni siamo d’aiutar colui
che per cagion sí debole e sí lieve,
come n’hai detto, oggi bruciar si deve. —
58
Senza risponder altro, la donzella
si messe per la via ch’era piú corta.
Piú di tre miglia non andâr per quella,
che si trovaro al ponte et alla porta
dove si perdon l’arme e la gonnella,
e de la vita gran dubbio si porta.
Al primo apparir lor, di su la ròcca
è chi duo botti la campana tocca.
59
Et ecco de la porta con gran fretta,
trottando s’un ronzino, un vecchio uscío;
e quel venía gridando: — Aspetta, aspetta:
restate olá, che qui si paga il fio;
e se l’usanza non v’è stata detta,
che qui si tiene, or ve la vo’ dir io. —
E contar loro incominciò di quello
costume, che servar fa Pinabello.
60
Poi seguitò, volendo dar consigli,
com’era usato agli altri cavallieri:
— Fate spogliar la donna (dicea), figli,
e voi l’arme lasciateci e i destrieri;
e non vogliate mettervi a perigli
d’andare incontra a tai quattro guerrieri.
Per tutto vesti, arme e cavalli s’hanno:
la vita sol mai non ripara il danno. —
61
— Non piú (disse Ruggier), non piú; ch’io sono
del tutto informatissimo, e qui venni
per far prova di me, se cosí buono
in fatti son, come nel cor mi tenni.
Arme, vesti e cavallo altrui non dono,
s’altro non sento che minaccie e cenni;
e son ben certo ancor, che per parole
il mio compagno le sue dar non vuole.
62
Ma, per Dio, fa ch’io vegga tosto in fronte
quei che ne voglion tôrre arme e cavallo;
ch’abbiamo da passar anco quel monte,
e qui non si può far troppo intervallo. —
Rispose il vecchio: — Eccoti fuor del ponte
chi vien per farlo: — e non lo disse in fallo;
ch’un cavallier n’uscí, che sopraveste
vermiglie avea, di bianchi fior conteste.
63
Bradamante pregò molto Ruggiero
che le lasciasse in cortesia l’assunto
di gittar de la sella il cavalliero,
ch’avea di fiori il bel vestir trapunto;
ma non poté impetrarlo, e fu mestiero
a lei far ciò che Ruggier volse a punto.
Egli volse l’impresa tutta avere,
e Bradamante si stesse a vedere.
64
Ruggiero al vecchio domandò, chi fosse
questo primo ch’uscia fuor de la porta.
— È Sansonetto (disse); che le rosse
veste conosco e i bianchi fior che porta. —
L’uno di qua, l’altro di lá si mosse
senza parlarsi, e fu l’indugia corta;
che s’andaro a trovar coi ferri bassi,
molto affrettando i lor destrieri i passi.
65
In questo mezzo de la ròcca usciti
eran con Pinabel molti pedoni,
presti per levar l’arme et espediti
ai cavallier ch’uscian fuor degli arcioni.
Veniansi incontra i cavallieri arditi,
fermando in su le reste i gran lancioni,
grossi duo palmi, di nativo cerro,
che quasi erano uguali insino al ferro.
66
Di tali n’avea piú d’una decina
fatto tagliar di su lor ceppi vivi
Sansonetto a una selva indi vicina,
e portatone duo per giostrar quivi.
Aver scudo e corazza adamantina
bisogna ben, che le percosse schivi.
Aveane fatto dar, tosto che venne,
l’uno a Ruggier, l’altro per sé ritenne.
67
Con questi, che passar dovean gl’incudi
(sí ben ferrate avean le punte estreme),
di qua e di lá fermandoli agli scudi,
a mezzo il corso si scontraro insieme.
Quel di Ruggiero, che i demòni ignudi
fece sudar, poco del colpo teme:
de lo scudo vo’ dir che fece Atlante,
de le cui forze io v’ho giá detto inante.
68
Io v’ho giá detto che con tanta forza
l’incantato splendor negli occhi fere,
ch’al discoprirsi ogni veduta ammorza,
e tramortito l’uom fa rimanere:
perciò, s’un gran bisogno non lo sforza,
d’un vel coperto lo solea tenere.
Si crede ch’anco impenetrabil fosse,
poi ch’a questo incontrar nulla si mosse.
69
L’altro, ch’ebbe l’artefice men dotto,
il gravissimo colpo non sofferse.
Come tocco da fulmine, di botto
diè loco al ferro, e pel mezzo s’aperse;
diè loco al ferro, e quel trovò di sotto
il braccio ch’assai mal si ricoperse;
sí che ne fu ferito Sansonetto,
e de la sella tratto al suo dispetto.
70
E questo il primo fu di quei compagni
che quivi mantenean l’usanza fella,
che de le spoglie altrui non fe’ guadagni,
e ch’alla giostra uscí fuor de la sella.
Convien chi ride, anco talor si lagni,
e Fortuna talor trovi ribella.
Quel da la ròcca, replicando il botto,
ne fece agli altri cavallieri motto.
71
S’era accostato Pinabello intanto
a Bradamante, per saper chi fusse
colui che con prodezza e valor tanto
il cavallier del suo castel percusse.
La giustizia di Dio, per dargli quanto
era il merito suo, vi lo condusse
su quel destrier medesimo ch’inante
tolto avea per inganno a Bradamante.
72
Fornito a punto era l’ottavo mese
che, con lei ritrovandosi a camino,
(se ’l vi raccorda) questo Maganzese
la gittò ne la tomba di Merlino,
quando da morte un ramo la difese,
che seco cadde, anzi il suo buon destino;
e trassene, credendo ne lo speco
ch’ella fosse sepolta, il destrier seco.
73
Bradamante conosce il suo cavallo,
e conosce per lui l’iniquo conte;
e poi ch’ode la voce, e vicino hallo
con maggiore attenzion mirato in fronte:
— Questo è il traditor (disse), senza fallo,
che procacciò di farmi oltraggio et onte:
ecco il peccato suo, che l’ha condutto
ove avrá de’ suoi merti il premio tutto. —
74
Il minacciare e il por mano alla spada
fu tutto a un tempo, e lo aventarsi a quello;
ma inanzi tratto gli levò la strada,
che non poté fuggir verso il castello.
Tolta è la speme ch’a salvar si vada,
come volpe alla tana, Pinabello.
Egli gridando e senza mai far testa,
fuggendo si cacciò ne la foresta.
75
Pallido e sbigottito il miser sprona,
che posto ha nel fuggir l’ultima speme.
L’animosa donzella di Dordona
gli ha il ferro ai fianchi, e lo percuote e preme:
vien con lui sempre, e mai non l’abbandona.
Grande è il rumore, e il bosco intorno geme.
Nulla al castel di questo ancor s’intende,
però ch’ognuno a Ruggier solo attende.
76
Gli altri tre cavallier de la fortezza
intanto erano usciti in su la via;
et avean seco quella male avezza
che v’avea posta la costuma ria.
A ciascun di lor tre, che ’l morir prezza
piú ch’aver vita che con biasmo sia,
di vergogna arde il viso, e il cor di duolo,
che tanti ad assalir vadano un solo.
77
La crudel meretrice ch’avea fatto
por quella iniqua usanza et osservarla,
il giuramento lor ricorda e il patto
ch’essi fatti l’avean, di vendicarla.
— Se sol con questa lancia te gli abbatto,
perché mi vòi con altre accompagnarla?
(dicea Guidon Selvaggio): e s’io ne mento,
levami il capo poi, ch’io son contento. —
78
Cosí dicea Grifon, cosí Aquilante.
Giostrar da sol a sol volea ciascuno,
e preso e morto rimanere inante
ch’incontra un sol volere andar piú d’uno.
La donna dicea loro: — A che far tante
parole qui senza profitto alcuno?
Per tôrre a colui l’arme io v’ho qui tratti,
non per far nuove leggi e nuovi patti.
79
Quando io v’avea in prigione, era da farme
queste escuse, e non ora, che son tarde.
Voi dovete il preso ordine servarme,
non vostre lingue far vane e bugiarde. —
Ruggier gridava lor: — Eccovi l’arme,
ecco il destrier c’ha nuovo e sella e barde;
i panni de la donna eccovi ancora:
se li volete, a che piú far dimora? —
80
La donna del castel da un lato preme,
Ruggier da l’altro li chiama e rampogna,
tanto ch’a forza si spiccaro insieme,
ma nel viso infiammati di vergogna.
Dinanzi apparve l’uno e l’altro seme
del marchese onorato di Borgogna:
ma Guidon, che piú grave ebbe il cavallo,
venía lor dietro con poco intervallo.
81
Con la medesima asta con che avea
Sansonetto abbattuto, Ruggier viene,
coperto da lo scudo che solea
Atlante aver sui monti di Pirene:
dico quello incantato, che splendea
tanto, ch’umana vista nol sostiene;
a cui Ruggier per l’ultimo soccorso
nei piú gravi perigli avea ricorso.
82
Ben che sol tre fïate bisognolli,
e certo in gran perigli, usarne il lume:
le prime due, quando dai regni molli
si trasse a piú lodevole costume;
la terza, quando i denti mal satolli
lasciò de l’orca alle marine spume,
che dovean devorar la bella nuda
che fu a chi la campò poi cosí cruda.
83
Fuor che queste tre volte, tutto ’l resto
lo tenea sotto un velo in modo ascoso,
ch’a discoprirlo esser potea ben presto,
che del suo aiuto fosse bisognoso.
Quivi alla giostra ne venía con questo,
come io v’ho detto ancora, sí animoso,
che quei tre cavallier che vedea inanti,
manco temea che pargoletti infanti.
84
Ruggier scontra Grifone, ove la penna
de lo scudo alla vista si congiunge.
Quel di cader da ciascun lato accenna,
et al fin cade, e resta al destrier lunge.
Mette allo scudo a lui Grifon l’antenna;
ma pel traverso e non pel dritto giunge:
e perché lo trovò forbito e netto,
l’andò strisciando, e fe’ contrario effetto.
85
Roppe il velo e squarciò, che gli copria
lo spaventoso et incantato lampo,
al cui splendor cader si convenia
con gli occhi ciechi, e non vi s’ha alcun scampo.
Aquilante, ch’a par seco venía,
stracciò l’avanzo, e fe’ lo scudo vampo.
Lo splendor ferí gli occhi ai duo fratelli
et a Guidon, che correa doppo quelli.
86
Chi di qua, chi di lá cade per terra:
lo scudo non pur lor gli occhi abbarbaglia,
ma fa che ogn’altro senso attonito erra.
Ruggier, che non sa il fin de la battaglia,
volta il cavallo; e nel voltare afferra
la spada sua che sí ben punge e taglia:
e nessun vede che gli sia all’incontro;
che tutti eran caduti a quello scontro.
87
I cavallieri e insieme quei ch’a piede
erano usciti, e cosí le donne anco,
e non meno i destrieri in guisa vede,
che par che per morir battano il fianco.
Prima si maraviglia, e poi s’avvede
che ’l velo ne pendea dal lato manco:
dico il velo di seta, in che solea
chiuder la luce di quel caso rea.
88
Presto si volge, e nel voltar, cercando
con gli occhi va l’amata sua guerriera;
e vien lá dove era rimasa, quando
la prima giostra cominciata s’era.
Pensa ch’andata sia (non la trovando)
a vietar che quel giovine non pèra,
per dubbio ch’ella ha forse che non s’arda
in questo mezzo ch’a giostrar si tarda.
89
Fra gli altri che giacean vede la donna,
la donna che l’avea quivi guidato.
Dinanzi se la pon, sí come assonna,
e via cavalca tutto conturbato.
D’un manto ch’essa avea sopra la gonna,
poi ricoperse lo scudo incantato;
e i sensi rïaver le fece, tosto
che ’l nocivo splendore ebbe nascosto.
90
Via se ne va Ruggier con faccia rossa
che, per vergogna, di levar non osa:
gli par ch’ognuno improverar gli possa
quella vittoria poco glorïosa.
— Ch’emenda poss’io fare, onde rimossa
mi sia una colpa tanto obbrobrïosa?
che ciò ch’io vinsi mai, fu per favore,
diran, d’incanti, e non per mio valore. —
91
Mentre cosí pensando seco giva,
venne in quel che cercava a dar di cozzo;
che ’n mezzo de la strada soprarriva
dove profondo era cavato un pozzo.
Quivi l’armento alla calda ora estiva
si ritraea, poi ch’avea pieno il gozzo.
Disse Ruggiero; — Or proveder bisogna,
che non mi facci, o scudo, piú vergogna.
92
Piú non starai tu meco; e questo sia
l’ultimo biasmo c’ho d’averne al mondo. —
Cosí dicendo, smonta ne la via:
piglia una grossa pietra e di gran pondo,
e la lega allo scudo, et ambi invia
per l’alto pozzo a ritrovarne il fondo;
e dice: — Costá giú statti sepulto,
e teco stia sempre il mio obbrobrio occulto. —
93
Il pozzo è cavo, e pieno al sommo d’acque:
grieve è lo scudo, e quella pietra grieve.
Non si fermò fin che nel fondo giacque:
sopra si chiuse il liquor molle e lieve.
Il nobil atto e di splendor non tacque
la vaga Fama, e divulgollo in breve;
e di rumor n’empí, suonando il corno,
e Francia e Spagna e le provincie intorno.
94
Poi che di voce in voce si fe’ questa
strana aventura in tutto il mondo nota,
molti guerrier si missero all’inchiesta
e di parte vicina e di remota:
ma non sapean qual fosse la foresta
dove nel pozzo il sacro scudo nuota;
che la donna che fe’ l’atto palese,
dir mai non volse il pozzo né il paese.
95
Al partir che Ruggier fe’ dal castello,
dove avea vinto con poca battaglia;
che i quattro gran campion di Pinabello
fece restar come uomini di paglia;
tolto lo scudo, avea levato quello
lume che gli occhi e gli animi abbarbaglia:
e quei che giaciuti eran come morti,
pieni di meraviglia eran risorti.
96
Né per tutto quel giorno si favella
altro fra lor, che de lo strano caso,
e come fu che ciascun d’essi a quella
orribil luce vinto era rimaso.
Mentre parlan di questo, la novella
vien lor di Pinabel giunto all’occaso:
che Pinabello è morto hanno l’aviso,
ma non sanno però chi l’abbia ucciso.
97
L’ardita Bradamante in questo mezzo
giunto avea Pinabello a un passo stretto;
e cento volte gli avea fin a mezzo
messo il brando pei fianchi e per lo petto.
Tolto ch’ebbe dal mondo il puzzo e ’l lezzo
che tutto intorno avea il paese infetto,
le spalle al bosco testimonio volse
con quel destrier che giá il fellon le tolse.
98
Volse tornar dove lasciato avea
Ruggier; né seppe mai trovar la strada.
Or per valle or per monte s’avvolgea:
tutta quasi cercò quella contrada.
Non volse mai la sua fortuna rea,
che via trovasse onde a Ruggier si vada.
Questo altro canto ad ascoltare aspetto
chi de l’istoria mia prende diletto.