Oreste (Alfieri, 1946)/Atto quarto

Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto

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ATTO QUARTO

SCENA PRIMA

Oreste, Pilade.

Pilade Eccoci al punto: or d’arretrarci tempo,

no, piú non è: davanti a se ne vuole
Egisto, il sai; qui d’aspettarlo imposto
ne viene: e quí, se tu non cangi il modo,
a uccider no, ma a morir noi, venimmo.
Altro non dico. A tuo piacer vaneggia;
come al ferir, presto al morire io vengo.
Oreste Misero me! Cotal rampogna io merto,
il so: troppo tu m’ami; io non fui degno
di te finor; deh! scusa. Io frenerommi
al cospetto d’Egisto; e ciò piú lieve
sarammi, spero, che il frenarmi innanzi
a lei, che il manto, il volto, ambe le mani
pareami aver tinte di sangue ancora.
Meglio assai l’odio, che a nemico io porto,
nasconderò, che non quell’orror misto
d’ira e pietade, onde me tutto empiea
di tal madre la vista.
Pilade   Ad essa incontro
chi ti spingea? non io.
Oreste   Piú di me forte,
non so qual moto. Il crederesti? in mente
da pria mi entrava di svenarla; e tosto

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mi assalia nuova brama, d’abbracciarla:

quindi entrambe a vicenda. — Oh vista! oh stato
terribil, quanto inesplicabil!...
Pilade   Taci
ecco Egisto.
Oreste   Che veggo? e con lui viene
anco la madre?...
Pilade   O me tu svena, o taci.


SCENA SECONDA

Egisto, Clitennestra, Oreste, Pilade, Soldati.

Egisto Vieni, consorte, vieni; udir ben puoi

cosa, cui fede ancor non presto intera.
Cliten. Barbaro, a ciò mi sforzi?
Egisto   Udiam. — Stranieri,
voi di Focida il re veraci messi
dunque a me manda?
Pilade   Sí.
Egisto   Certa novella
recate voi?
Pilade   Signore, un re c’invia;
a un re parliam: loco può aver menzogna?
Egisto Ma, Strofio vostro a me non diè mai pegno
finora d’amistá.
Pilade   Fia questo il primo.
Non niegherò, ch’ei, giá molti anni addietro,
altro era in core: lo stringea pietade
dell’infelice Oreste; ma se un tempo
gli diè ricetto, ei gli negò pur sempre
ajuto, ed armi; e a te giammai non volle
Strofio far guerra.
Egisto   Apertamente ei farla
non ardí forse. Ma, di ciò non calmi.
Dove pería colui?

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Oreste   Colui!

Pilade   Di Creta
gli è tomba il suolo.
Egisto   E come estinto il seppe
Strofio anzi me?
Pilade   Pilade tosto al padre
portò tal nuova: al duro caso egli era
presente.
Egisto   E quivi ad immatura morte
che il trasse?
Pilade   Il troppo giovenil suo ardore.
Antica usanza ogni quint’anno in Creta
giuochi rinnova, e sagrifizj a Giove.
Desio di gloria, natural vaghezza
tragge a quel lido il giovinetto: al fianco
Pilade egli ha non divisibil mai.
Calda brama d’onor nell’ampia arena
su lieve carro a contrastar lo spinge
de’ veloci corsier la nobil palma:
troppo a vincere intento, ivi la vita
per la vittoria ei dá.
Egisto   Ma come? Narra.
Pilade Feroce troppo, impaziente, incauto,
or della voce minacciosa incalza,
or del flagel, che sanguinoso ei ruota,
sí forte batte i destrier suoi mal domi,
ch’oltre la meta volano; piú ardenti,
quanto veloci piú. Giá sordi al freno,
giá sordi al grido, ch’ora invan gli acqueta;
foco spiran le nari; all’aura i crini
svolazzan irti; e in denso nembo avvolti
d’agonal polve, quanto è vasto il circo
corron ricorron come folgor ratti.
Spavento, orrore, alto scompiglio, e morte
per tutto arreca in torti giri il carro:
finché percosso con orribil urto

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a marmorea colonna il fervid’asse,

riverso Oreste cade...
Cliten.   Ah! non piú; taci:
una madre ti ascolta.
Pilade   È ver; perdona. Io
non dirò, come ei di sangue il piano
rigasse, orribilmente strascinato...
Pilade accorse;... invan;... fra le sue braccia
spirò l’amico.
Cliten.   Oh morte ria!...
Pilade   Ne pianse
in Creta ogni uom; tanta nel giovin era
beltade, grazia, ardire...
Cliten.   E chi nol piange,
fuorché solo quest’empio?... O figlio amato,
piú non degg’io, mai piú (lassa!) vederti?...
Ma, oimè! pur troppo ti veggo di Stige
l’onda varcar, del padre abbracciar l’ombra;
e torcer bieco a me lo sguardo entrambi,
e d’ira orribile ardere... Son io,
sí, son io, che vi uccisi... Oh madre infame!
oh rea consorte! — Or, sei tu pago, Egisto?
Egisto — Il tuo narrar, certo, ha di ver sembianza;
chiaro il vero fia in breve. Entro mia reggia
statevi intanto; e guiderdon qual dessi,
pria del partir v’avrete.
Pilade   A’ cenni tuoi
staremci. — Vieni.
Oreste   Andiamo, andiam; che omai
piú non poss’io tacermi.
Cliten.   O tu, che narri
senza esultar di gioja il fero caso,
deh! ferma il piede; e dimmi: alla infelice
madre, perché dentro brev’urna acchiuso
non rechi il cener del suo amato figlio?
Funesto, eppur gradito dono! ei spetta,

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piú che a niun’altri, a me.

Pilade   Pilade gli arse
il rogo; escluso dai funébri onori
ogni altro, ei sol raccolse il cener suo;
ei di pianto il bagnava: ultimo, infausto
pegno della piú nobile, verace,
forte, e santa amistá che al mondo fosse,
ei sel riserba: e a lui chi fia che il tolga?
Egisto E a lui chi fia che il chiegga? Ei l’abbia: un tanto
amico suo da lui piú assai mertava.
Maraviglia ben ho, com’ei mal vivo
sul rogo stesso generosamente
se coll’estinto non ardesse; e ch’una,
sola una tomba, di tal coppia eletta
non racchiudesse le reliquie estreme,
Oreste Oh rabbia; e tacer deggio?
Pilade   È ver, di duolo
Pilade non morí; ma in vita forse
pietoso amor del genitore antico
mal suo grado il serbò. Spesso è da forte,
piú che il morire, il vivere.

Egisto   Mi abborre
Pilade al par che m’abborriva Oreste.
Pilade Noi siam del padre messaggeri: ei brama
piena amistade or rinnovar con Argo.
Egisto Ma di Pilade è padre: egli raccolse
qual proprio figlio Oreste; ei dal mio sdegno
il difese, il sottrasse.
Pilade   Oreste spento,
non scema in te lo sdegno?
Cliten.   E qual d’Oreste
era il delitto?...
Oreste   Esser figliuol d’Atride.
Egisto Che ardisci tu?...
Pilade   Signor,... dove non suona
fama del ver? Sa tutta Grecia, quanto

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t’inimicasse Atride; e sa, che i giorni

t’insidiò; che perseguirne il figlio
dovevi...
Oreste   E sa, che mille volte e mille
tentato hai tu, con tradimenti, trarlo
a morte infame; e sa, che al sol suo aspetto
tremato avresti...
Egisto   Oh! che di’ tu? Chi sei?
Parla.
Oreste   Son tale...
Pilade   Egli è... Deh! non sdegnarti,
Egisto;... egli è...
Egisto   Chi?
Oreste   Tal...
Pilade   Di Strofio il figlio,
Pilade egli è: null’altro in Argo il mena,
che desio di vedere il loco, ov’ebbe
Oreste suo la cuna. A pianger viene
con la madre l’amico. Il re concesso
gli ha di seguirmi ignoto; ogni regale
pompa lasciando, in umil nave ei giunge,
per men sospetto darti; a me la cura
ne affida il padre: ei, nell’udir d’Oreste,
tacer non seppe: ecco a te piano il tutto.
Deh! tu nol vogli or d’inesperti detti
reo tener; né stimar, ch’altro qui ’l tragga.
Cliten. Oh ciel! Pilade questi? Oh! vieni; dimmi,
novel mio figlio;... almen ch’io sappia...
Egisto   È vano,
donna, il tuo dir. — Qual ch’egli sia, tai sensi
uso a soffrir non son... Ma che? lo sguardo
ardente in me d’ira e furor tu figgi?
E tu lo inchini irresoluto a terra?
Voi messaggeri Strofio a me non manda;
voi mentitori, traditor voi sete.
Soldati, or tosto in ceppi...

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Pilade   Deh! m’ascolta...

E fia pur ver, che un sol sospetto vano
romper ti faccia or delle genti il dritto?
Egisto Sospetto? In volto la menzogna stavvi,
ed il timor scolpito.
Oreste   In cor scolpito
il rio timor ti sta.
Cliten.   Dite: non vera
potria forse la nuova?...
Pilade   Ah! cosí...
Oreste   Tremi,
tremi tu giá, che il figlio tuo riviva,
novella madre?
Egisto   Oh qual parlar! Si asconde
sotto que’ detti alcun feroce arcano.
Pria che tu n’abbi pena...
Pilade   Oh ciel! deh! m’odi.
Egisto Il ver saprò. Traggansi intanto in duro
carcere orrendo... Ah! non v’ha dubbio; gli empj
son ministri d’Oreste. — Aspri tormenti
si apprestin loro: io stesso udrolli; io stesso
vo’ saper lor disegni. Itene. In breve
certo esser vo’, se è vivo o morto Oreste.


SCENA TERZA

Elettra, Clitennestra, Egisto.

Elet. Oreste a morte? oh ciel, che veggio! O madre,

a morte trar lasci il tuo figlio?
Cliten.   Il figlio?...
Egisto Oreste? in Argo? in mio poter? tra quelli?
Oreste? Oh gioja! Guardie...
Cliten.   Il figlio!
Elet.   Ahi lassa!
Ah! che diss’io?

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Egisto   Correte; al mio cospetto

ritornin tosto; ite, affrettate il piede,
volate. Oh gioja!
Elet.   Io l’ho tradito! io stessa!
Cliten. Il figlio mio! — Crudel, se tu me pria
non sveni, trema...
Egisto   In Argo, entro mia reggia,
perfida donna, il mio mortal nemico
introduci, nascondi?
Elet.   Erale ignoto
non men che a te: fu mio l’inganno.
Egisto   E d’ambe
sará la pena.
Cliten.   Ah! no; me sola togli
di vita, me; ma i figli miei...
Egisto   D’Atride
gl’iniqui avanzi? ah! non mi cape in seno
dalla letizia il core. Oggi, d’un colpo,
spenti fien tutti... Ma tornar giá veggio
i traditori: eccoli. Oh fausto giorno!


SCENA QUARTA

Oreste, Pilade, incatenati; Egisto, Clitennestra,

Elettra, Soldati.

Egisto So tutto giá; sol qual di voi sia Oreste,

dite...
Pilade   Son io.
Oreste   Menzogna: Oreste io sono.
Cliten. Qual m’è figlio di voi? ditelo: scudo
a lui son io.
Egisto   Tu parla, Elettra; e bada
a non mentir; qual è il fratello?
Elet.   È questi;1

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questi è, pur troppo!

Pilade   Io, sí...
Oreste   Nol creder.
Pilade   Cessa.
Poiché scoperta è l’alta trama, omai
del mio furor non osi altri vestirsi.
Oreste Mira, Egisto, se ardisci, il furor mira
ch’arde negli occhi miei; mira, e d’Atride
di’ ch’io figlio non sono: al terror credi
ch’entro il codardo tuo petto trasfonde
sol la mia voce.
Egisto   Traditor, codardo,
tu il sei; morrai tu di mia mano.
Cliten.   O il brando
trattieni, Egisto, o in me lo immergi: a loro
per altra via non giungi. Arresta... oh cielo!...
Deh! mi ti svela, Oreste. Ah sí; tu il sei.
Oreste Va’; tue man sanguinose altrove porta.
Ciascun di noi, se morir dessi, è Oreste:
nessun ti è figlio, se abbracciar tal madre
da noi si debbe.
Cliten.   Oh feri detti! Eppure,...
no, te non lascio.
Egisto   Ecco qual premio merta
l’amor tuo insano. — Io ti conosco, Oreste,
alla tua filíal pietá. Son degni
di te i tuoi detti, e di tua stirpe infame.
Pilade Da parricida madre udir nomarsi
figlio, e tacer, può chi di lei non nasce?
Oreste Cessate...
Elet.   Egisto, or non t’avvedi? è quegli
Pilade e mente, per salvar l’amico...
Egisto Salvar l’amico? E qual di voi fia salvo?
Oreste Ah! se di ferro non avessi io carche
le mani, a certa prova, or visto avresti
se Oreste io son; ma, poiché il cor strapparti

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piú con man non ti posso, abbiti questo

palesator dell’esser mio.
Pilade   Deh! cela
quel ferro. Oh cielo!
Oreste   Egisto, il pugnal vedi,
ch’io, per svenarti, nascoso portava?
E tu il ravvisi, o donna? È questo il ferro,
che tu con mano empia tremante in petto
piantasti al padre mio.
Cliten.   La voce, gli atti,
l’ira d’Atride è questa. Ah! tu sei desso.
Se non vuoi ch’io ti abbracci, in cor mi vibra
quel ferro tu; del padre in me vendetta
miglior farai. Giá, finch’io vivo, forza
non è che mai dal fianco tuo mi svelga.
O in tua difesa, o per tua mano io voglio
morire. Oh figlio!... Ancor son madre: e t’amo...
deh, fra mie braccia!...
Egisto   Scostati. Che fai?...
A un figlio parricida?... Olá: di mano,
guardie, il ferro...
Oreste   Il mio ferro a te, cui poscia
nomerò madre, cedo: eccolo; il prendi:
trattar tu il sai; d’Egisto in cor lo immergi.
Lascia ch’io mora; a me non cal, pur ch’abbia
vendetta il padre: di materno amore
niun’altra prova io da te voglio: or via,
svenalo tosto. Oh! che vegg’io? tu tremi?
tu impallidisci? tu piangi? ti cade
di mano il ferro? Ami tu Egisto? l’ami;
e sei madre d’Oreste? Oh rabbia! Vanne,
ch’io mai piú non ti vegga.
Cliten.   Oimè!... mi sento...
morire...
Egisto   È questo2, è questo (e a me sol spetta)

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lo stil, che il padre trucidava; e il figlio

truciderá. Ben lo ravviso; io l’ebbi
tinto giá d’altro sangue; e a lei lo diedi
io stesso giá. — Ma forse appieno tutte,
tu giovinetto eroe, non sai le morti
di questo acciaro. Atréo, l’avo tuo infame,
vibrollo in sen de’ miei fratelli, figli
del suo fratel Tiéste. Io del paterno
retaggio altro non m’ebbi: ogni mia speme,
in lui riposi; e non invan sperai.
Quanto riman di abbominevol stirpe,
tutto al fin, tutto il tengo. Io te conobbi
al desir, che d’ucciderti sentia. —
Ma, qual fia morte, che la cena orrenda,
che al mio padre imbandí l’avo tuo crudo,
pareggi mai?
Cliten.   Morte al mio figlio? morte
avrai tu primo.
Egisto   A me sei nota: trema
anco per te, donna, se omai... Dal fianco
mio non scostarti.
Cliten.   Invan.
Egisto   Trema.
Elet.   Deh! sbrama
in me tua sete, Egisto: io pur son figlia
d’Atride, io pur. Mira, a’ tuoi piedi...
Oreste   Elettra,
che fai?
Pilade   Fu mia la trama; io non avea,
com’essi, un padre a vendicar; pur venni,
a trucidarti io venni: in me securo
incrudelir tu puoi. D’Oreste il sangue
versar non puoi senza tuo rischio in Argo...
Egisto Pilade, Elettra, Oreste, a morte tutti:
e tu pur, donna, ove il furor non tempri.
Oreste Me solo, me. Donzella inerme a morte

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trar, che ti giova? È di signor possente

Pilade figlio; assai tornarten danno
potria di lui: me sol, me solo svena. —
O voi, miglior parte di me, per voi
l’alma di duol sento capace: il mio,
troppo bollor vi uccide: oh ciel! null’altro
duolmi. Ma pur, vedere, udir costui,
e raffrenarmi, era impossibil cosa...
tanto a salvarmi feste; ed io vi uccido!
Egisto Oh gioja! piú gran pena che la morte
dar ti poss’io? Svenati innanzi dunque
cadangli, Elettra pria, Pilade poscia;
quindi ei sovr’essi cada.
Cliten.   Iniquo...
Elet.   O madre,
cosí uccider ne lasci?
Pilade   Oreste!
Oreste   Oh cielo!...
Io piango? Ah! sí; piango di voi. — Tu, donna,
giá sí ardita al delitto, or debil tanto
all’ammenda sei tu?
Cliten.   Sol ch’io potessi
trarmi dall’empie mani; oh figlio!...
Egisto   Infida;
di man non m’esci. — Omai del garrir vostro
stanco son io: tronchinsi i detti. A morte
che piú s’indugia a trarli? Ite. — Dimante,
del loro morir m’è la tua vita pegno.


SCENA QUINTA

Egisto, Clitennestra.

Donna, vien meco, vieni. — Al fin vendetta

piena, o Tiéste, abbenché tarda, avemmo.


  1. Correndo verso Pilade.
  2. Raccogliendo il pugnale caduto appiè di Clitennestra.