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372 oreste
trar, che ti giova? È di signor possente

Pilade figlio; assai tornarten danno
potria di lui: me sol, me solo svena. —
O voi, miglior parte di me, per voi
l’alma di duol sento capace: il mio,
troppo bollor vi uccide: oh ciel! null’altro
duolmi. Ma pur, vedere, udir costui,
e raffrenarmi, era impossibil cosa...
tanto a salvarmi feste; ed io vi uccido!
Egisto Oh gioja! piú gran pena che la morte
dar ti poss’io? Svenati innanzi dunque
cadangli, Elettra pria, Pilade poscia;
quindi ei sovr’essi cada.
Cliten.   Iniquo...
Elet.   O madre,
cosí uccider ne lasci?
Pilade   Oreste!
Oreste   Oh cielo!...
Io piango? Ah! sí; piango di voi. — Tu, donna,
giá sí ardita al delitto, or debil tanto
all’ammenda sei tu?
Cliten.   Sol ch’io potessi
trarmi dall’empie mani; oh figlio!...
Egisto   Infida;
di man non m’esci. — Omai del garrir vostro
stanco son io: tronchinsi i detti. A morte
che piú s’indugia a trarli? Ite. — Dimante,
del loro morir m’è la tua vita pegno.


SCENA QUINTA

Egisto, Clitennestra.

Donna, vien meco, vieni. — Al fin vendetta

piena, o Tiéste, abbenché tarda, avemmo.