Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/371


atto quarto 365
piú che a niun’altri, a me.

Pilade   Pilade gli arse
il rogo; escluso dai funébri onori
ogni altro, ei sol raccolse il cener suo;
ei di pianto il bagnava: ultimo, infausto
pegno della piú nobile, verace,
forte, e santa amistá che al mondo fosse,
ei sel riserba: e a lui chi fia che il tolga?
Egisto E a lui chi fia che il chiegga? Ei l’abbia: un tanto
amico suo da lui piú assai mertava.
Maraviglia ben ho, com’ei mal vivo
sul rogo stesso generosamente
se coll’estinto non ardesse; e ch’una,
sola una tomba, di tal coppia eletta
non racchiudesse le reliquie estreme,
Oreste Oh rabbia; e tacer deggio?
Pilade   È ver, di duolo
Pilade non morí; ma in vita forse
pietoso amor del genitore antico
mal suo grado il serbò. Spesso è da forte,
piú che il morire, il vivere.

Egisto   Mi abborre
Pilade al par che m’abborriva Oreste.
Pilade Noi siam del padre messaggeri: ei brama
piena amistade or rinnovar con Argo.
Egisto Ma di Pilade è padre: egli raccolse
qual proprio figlio Oreste; ei dal mio sdegno
il difese, il sottrasse.
Pilade   Oreste spento,
non scema in te lo sdegno?
Cliten.   E qual d’Oreste
era il delitto?...
Oreste   Esser figliuol d’Atride.
Egisto Che ardisci tu?...
Pilade   Signor,... dove non suona
fama del ver? Sa tutta Grecia, quanto