Opere volgari (Alberti)/Nota sul testo (volume II)/Rime
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I
LE RIME
A) TESTIMONIANZE
manoscritti
Staatsbibliothek
1. Ital. quart. 16.
Cod. cart. sec. XV; contiene a cc. 171r-177r la frottola: Venite in danza. Si sono perdute le tracce di questo manoscritto durante la guerra (1939-45)- Per la descrizione vedi L. Biadene, I manoscritti italiani della collezione Hamilton, nel «Giorn. stor. d. lett. ital.», X, pp. 313-355 (soprattutto a pp. 353-54).
Biblioteca Nazionale
2. Cod. II. IV. 38 (F1).
Cart. sec. XV. Miscellanea albertiana. Per la descrizione vedi voi. I, p. 367. Contiene:
cc. 150r-v: | Elegia Mirzia; |
cc. 160v-161v: | Elegia Agiletta. |
Cart. sec. XVII. Per la descrizione vedi vol. I, p. 371. A c. 222v il sonetto S’i’ sto doglioso igniun si maravigli.
Cart. sec. XV. Cfr. Mazzatinti, Inventari, II, pp. 165 sgg. Contiene:
c. 146r: | S. di messer Batista degli alberti difinendo Amore: Quel primo antico sai ch’amor dipinsse; |
c. 146r: | Versi chi li fecie non so (Le. Bap. Alb. aggiunta di mano posteriore); Antichi e buoni della buona e bella (capitolo in terzine); |
cc. 147v-149r: | Frottola di messere batista di Lorenzo di messer benedetto degli alberti Lege feliciter: Venite in danza; |
c. 149v: | S. di meser batista alberti: Io vidi già seder nell’arme irato; |
c. 173v: | il son. Burchiello sgangherato sanza remi. |
Cart. sec. XV; rime diverse. Contiene:
cc. 136r-143r: | Frottola di messere Baptista Alberti: Venite in danza. |
Per la sua affinità col cod. Magl. VII. 1084, cfr. E. Jacoboni, Le rime di Benedetto Accolti d’Arezzo, in «Studi di filol. ital.», XV, 1957, pp. 241 sgg.
Cart. sec. XV. Per la descrizione vedi Gentile, I codd. Palatini, I, pp. 266-67. Oltre alla Deifira dell’Alberti, contiene a cc. 13r-14v Myrtia.
Cart. sec. XV. Descritto a pp. 448-49 di questo volume. A cc. 50V-52V Mirzia; a cc. 63v-65v Agilitta.
Cart. sec. XV, acefalo e mutilo in fine; rime diverse. Il cod. dimostra segni di essere stato riordinato. Contiene:
cc. 9v-10v: | Incomincia una morale del detto messere batista contenente uno si ramarica d’amore altro lo riprende e prima parla messere batista (i. e. Corimbo); |
cc. 10v-11r: | Incomincia una morale in sexta rima fece il detto messer batista alberti: Nessun pianeta che possegha il cielo; |
c. 14r: | Incominciano certi versetti di messer b. detto: Ridi s’i’ piango; |
* c. 44v: | Incomincia una morale in sexta rima fece messer batista alberti: Forza d'erbe di pietre e di parole; |
* c. 45v: | Incomincia una morale in sexta rima la qual fece m.b.a.: S’i’ ritornassi al disiato loco; |
c. 67v: | son. Burchiello sgangherato sanza remi. |
Cart. sec. XV (1471): rime del Burchiello e di altri.
c. 73r: | son. (anonimo) Quel primo antico sai ch’Amor dipinse; |
cc. 126v-129v: | Mirtie leonis di batista alberti (sic). |
Cart. sec. XV. Cfr. Mazzatinti, Inventari, XII, p. 162.
c. 177v: | subito dopo la novella di Ippolito e Lionora, il sonetto, pure anonimo: Chi voi bella vittoria e star sicuro; |
cc. 18r-21r: | Elegia B E (sic) (i. e. Agiletta); |
* cc. 491v-51r: | dopo l’Ecatonfila (attribuita all’Alberti), una canzone anonima: Cruda selvaggia fuggitiva e fera (v. più avanti il cod. di Forlì). |
Cart. sec. XV. Rime diverse.
cc. 53r-59v: | Frottola di M. Baptista Alberti: Venite in danza (cfr. sopra al n. 5 il cod. Magl. II. VIII. 23). |
Membr. sec. XV (1431); il. 21 num. più 1 guardia in fondo nn. Al f. iv Ephebia di Carlo Alberti (mano del ’700-800) e una nota (forse di mano di Carlo Alberti, e senza dubbio del ’400) Messere Batista di Lorenzo degli Alberti a roma sotterrato †, seguito subito dal sonetto: S’i’ sto doglioso igniun si maravigli. Al f. 2r Karolus Albertus Francisco Alberto salutem, cioè l’epistola di presentazione delle Efebie sue; al f. 3r Ex Venetiis Ianuarii Anno primo pontificatus Eugenii quarti.
Cart. sec. XY. Cfr. Bandini, Catal., V, 428-32, e E. Jacoboni, op. cit. A cc. 111r-117v Frottola d’amore fatta per messer Batista degli Alberti fiorentino: Venite in danza.
Cart. sec. XV. Cfr. Bandini, Catal., V, 369-71. A cc. 202-3 la frottola Venite in danza.
Cart. sec. XV. Vedi Morpurgo, I MSS italiani della Bibl. Ricc., I, pp. 170-172 (e cfr. «Giorn. stor. d. lett. ital.», X, 255-57; XV, 56; XXI, 472; XXXIV, 350; LVII, 210).
c. 53r: | De Amicizia versi esametri per la scena fatti e recitati pubblice per Bap. degl’Alberti: Dite o mortali che si fulgente corona. |
Membr. sec. XV. Forse di mano di Carlo Alberti (cfr. il cod. Laur. Red. 54). Contiene:
ff. 2r-20v: | Ephebie Karoli Alberti; |
ff. 21r-29r: | Elegia L. Bap. Alberti cui nomen Mirtia-, |
f. 29v: | Ex quaestionibus pretermissis in Ephébiis Karoli Alberti. |
Cfr. Bonucci, Op. volg., V, p. 298.
Cart. sec. XV. Rime diverse. Molto simile al cod. Laur. Plut. XC. Inf. 35 (cfr. E. Jacoboni, op. cit.).
cc. 117v-123v: | Froctola di messere Batista Alberti: Venite in danza. |
Mazzatinti, Inventari, I, p. 30.
* cc. 94-97: | Canzone de lamento de messer Batt. Alb.: Cruda selvaggia fuggitiva et fiera. Cfr. sopra il Magi. VI. 200. |
Membr. sec. XV, copiato da Felice Feliciano. Descrizione e bibliografia in «Italian Studies», XI, 1956, pp. 20-21. Contiene (senza nome d’autore) la novella di Ippolito e Lionora seguita dal sonetto Chi vol bella vittoria... (c. 33r ). A cc. 63r sgg. Leonis Baptiste Alberti patricii fiorentini Egloga nomine Tyrsis; Egloga Corymbus (adesp.); Ridi s’io piango (sonetto adesp.).
Cart. sec. XV. Miscellanea di rime e prose, descritta nella «Bibliofilia», LIX, 1957, 2/3, pp. 122-41. Contiene a c. 34r M. Batista Alberti: Quel primo antico sai’ ch’Amor dipinse (sonetto).
Membr. sec. XV. Descritto nel voi. I, p. 375 della presente edizione. Contiene le seguenti rime dell’A. tutte adespote e anepigrafe:
c. 59r: | Nessun pianeta che possegha il cielo (canz.); |
c. 59v-62v: | Venite in danza (frottola); |
c. 62v: | Le chiome che io adorai nel santo lauro (madrigale). |
Cart. sec. XVI. Cfr. M. Barbi, Studi sul canzoniere di Dante, Firenze, 1915, pp. 269 sgg. Le cc. 620r-629v sono intestate Messer Battista degli Alberti, e contengono:
c. 620r-v: | Io miro amor la terra e i fiumi e l’onde (sestina); |
c. 620v: | Per li pungenti spiri per gli aspri istecchi (sonetto); |
c. 621r-v: | Quegli occhi ornati di mestizia e riso (sestina); |
* c. 621v: | Forza de erbe di pietre e di parole (sestina). |
Le cc. 622r-629v sono rimaste bianche.
Cart. sec. XV. Rime del Burchiello e di altri a lui.
c. 24r: | B. a messer baptista Alberti: O ser agresto mio... |
c. 39v: | B. a messer baptista Alberti: Doppo il tuo primo assalto... |
c. 42v: | Messer Baptista Alberti al B.: Burchiello sgangherato senza remi; |
c. 54r: | B. a messer Baptista: Baptista Alberti per saper son mosso; |
* c. 56r: | S. di messer baptista Alberti contro al B.: Ben se’ gagliardo fante in sul garrire, seguito subito da R. di B. a messer Anselmo: Buffon non di commun... |
Cart. sec. XV (1471); rime del Burchiello e di altri a lui. Contiene:
c. 24r: | Sonetto del burchiello mandato a baptista: Burchiello scangherato sença remi; Responsio burchielli: Baptista per che paya ch’io non temi, seguito subito dall’altro sonetto: Doppo il tuo primo assalto... |
Cart. sec. XVIII; poesie diverse raccolte da Leone Allacci. A c. 52r il son. Burchiello sgangherato uguale al testo del Barb. Lat. 3917.
Cart. sec. XV. Descritto a p. 408 del presente volume. A cc. 68r sgg. Mirtia; a cc. 851; sgg. Agilitta.
Cart. sec. XVI. Descrizione nel vol. I, p. 375 della presente edizione. A c. 2v Versi di Leon Bap. Alberti recitati nel primo Certame Coronario...: Dite o mortali che si fulgente corona.
Cart. sec. XV. Rime di Ludovico Martelli, di Burchiello e di altri.
c. 16v: | Messer battista alberti al burchiello: Burchiello sgangherato sanza remi; Risposta del Burchiello a messer battista alberti: Batista perche paya...; |
c. 17r: | Mandato dal Burchiello a messer battista alberti: O ser agresto mio...; Dal burchiello a detto messer battista alberti: Doppo il tuo primo assalto...; |
c. 22r: | Sonetto: Batista Alberti per sapere son mosso; |
c. 30r: | (adesp.) Ben se’ gagliardo fante sul garrire; |
cc. 62r-62v: | (adesp.) Venite in danza (frottola). |
Cart. sec. XV (1447). Cfr. A. Cinquini, in «Classici e Neolatini», III, 1907, ff. 2 sgg. A c. 31r il sonetto Burchiello sgangherato senza remi, seguito dai due sonetti del Burchiello all’A.: Baptista per che io paia...; O ser agresto mio...
EDIZIONI1
1. L. Allacci, Poeti antichi, Napoli, 1661, p. 76: ‘di messer Batt. Alberti al Burchiello’ il son. Burchiello sgangherato senza remi. A p. 154, senza nome di autore il son. * Acciò che ’l voto cucchiaio non imbocchi, e a pp. 160, 165, 173, tre sonetti del Burchiello all’Alberti.
2. G. M. Crescimbeni, De’ commentari intorno all’istoria della volgar poesia, Venezia, 1730, vol. II, parte II, pp. 271-72: stampa come dell’Alberti il son. * Acciò che ’l voto cucchiaio non t’imbocchi.
3. Parnaso italiano, vol. XI, Lirici, Venezia, 1846, coll. 984-5, sotto il nome dell’Alberti stampa i sonetti: Burchiello sgangherato e senza remi, e * Acciò che ’l voto cucchiaio non t’imbocchi.
4. G. Trucchi, Poesie italiane inedite di dugento autori, Prato, 1846, voi. II, p. 334, il son. Io vidi già seder nell’armi irato, e a pp. 335-45, il ’serventese’ Venite in danza-.
5. A. Bonucci, Le opere volgari di L. B. A., Firenze, 5 voll., 1843-49:
vol. III, p. 295, il son. Chi vuol bella vittoria e star sicuro; e a pp. 297-337, il poemetto in ottava rima di * Ippolito e Dianora;
vol. V, p. 294, il son. * Se io, donne, per voi m’affaticai; p. 326, la ballata Fa che non manchi l’amorosa voglia (in fondo ad una lettera amatoria per cui vedi Nota, vol. III, della presente edizione); pp. 353 sgg. i sonetti: * Acciò il voto cucchiaio non t’imbocchi; Burchiello sgangherato e senza remi; Io vidi già seder nell’armi irato-, Quel primo antico savio ch’Amor pinse; S’io sto doglioso, niun si maravigli; la ballata Ridi s’io piango; le sestine: * Forza d’erbe, di pietre e di parole; Nessun pianeta che passeggia il cielo; * S’i’ ritornassi al disiato loco; l’egloga Corimbo, giovinetto Averniese; le elegie: Agiletta, fanciulla molto ornata; Udite i nostri lacrimosi canti (i. e. Mirzia).
6. G. Carducci, La poesia barbara italiana nei sec. XV e XVI, Bologna, 1881, pp. 3-4, gli esametri Dite, o mortali, che sì fulgente corona.
7. G. Mancini, Vita di L. B. Alberti, Firenze, 1882, p. 232, gli esametri Dite, o mortali, che sì fulgente corona, e a p. 268, il madrigale Le chiome ch’io adorai nel santo lauro.
8. G. Mancini, Opera inedita L. B. Alberti, Firenze, 1890: pp. 19-29, 297-304, la frottola Venite in danza; p. 30, il madrigale Le chiome ch’io adorai nel santo lauro; pp. 236-37, gli esametri Dite, o mortali, che sì fulgente corona.
9. G. Carducci, Antica lirica italiana, Firenze, 1907, col. 400, il son. Io vidi già seder nell’arme irato.
10. G. Mancini, Giorgio Vasari, Vite cinque, Firenze, 1917, pp. 205209, le sestine: Io miro ancor la terra, e i fiumi, e l’onde; Quegli occhi ornati di mestitia e riso; * Forza d’erbe, di pietre et di parole; il sonetto Per li pungenti spin, per gli aspri istecchi.
11. C. Grayson, «Italian Studies», XI, 1956, pp. 21-24, l’egloga Tyrsis.
12. G. Ponte, Il petrarchismo di L. B. A., in «La Rass. d. lett. ital.», LXII, 1958, pp. 216-22 (con indicazioni bibliografiche sulle rime); a p. 219, il madrigale Le chiome ch’io adorai nel santo lauro; a p. 220, la sestina Nessun pianeta che possega il cielo; a p. 222, il son. Io vidi già seder nell’arme irato.
13. C. Grayson, Note sulle rime dell’Alberti, ivi, LXIII, 1959, pp. 76-78 (con altre indicazioni bibliografiche); a p. 77, il madrigale Le chiome ch’io adorai nel santo lauro, e il son. Io vidi già seder nell’arme irato.
B) RIME ERRONEAMENTE ATTRIBUITE ALL’ALBERTI
Delle rime attribuite all’Alberti dai codici e dalle stampe alcune (che sono segnate con asterisco se figurano tra le testimonianze descritte sopra) non gli appartengono. Meritano qui un discorso a parte.
1. Acciò il voto cucchiaio non imbocchi, sonetto di risposta a quello del Burchiello: Non posso più che l’ira non trabocchi. È dato come dell’A. dai codici seguenti: Magl. VII. 118, c. 50r; Magl. VII. 1168, c. 46r; Laur. XC. Sup. 103, c. 156r, e XL. 48, n. 209; Genova Berio II. 1. 11, n. 86; e da varie edizioni dei sonetti del Burchiello: Firenze, 1481, 1490, 1495, Venezia, 1492, 1495. Il cod. Magl. XXI. 87, c. 60r lo attribuisce invece ad Antonio di Meglio, mentre altre antiche stampe lo dànno ad un ‘araldo’ (Bologna, 1475; Venezia, 1477, 1483; Roma, 1481) o ad Anselmo Calderoni (Firenze, Cr. Arnoldo, s. a.), a cui lo attribuisce l’ed. londinese (1737) dei sonetti del Burchiello, del Bellincioni ecc., p. 238. Il Bonucci lo stampò tra le Opere volgari dell’A., ed. cit., V, p. 353, e l’attribuzione venne pure accolta dal Flamini, Lirica toscana del Rinascimento, Pisa, 1891, pp. 97-99, e 761 (ivi altre indicazioni di stampe). Mentre il maggior numero delle testimonianze parla in favore dell’attribuzione all’A., non credo che il sonetto possa essere suo per il fatto che una parte del contenuto non quadra con l’esperienza della sua vita. Ecco il testo dei versi 9-12:
Sicché tu puoi far noto a quei cotali, |
È difficile che uno nato (e battezzato) fuori di Firenze come l’A. abbia potuto scrivere questi versi. Per questa ragione escludo il sonetto dalle opere dell’Alberti, e lascio aperta la questione dell’attribuzione al di Meglio o al Calderoni2.
2. Ben se’ gagliardo fante in sul garrire, sonetto contro il Burchiello, dato all’A. dal cod. Vat. Barb. Lat. 3917; ma una ventina di altri codici e diverse antiche stampe lo attribuiscono al Calderoni o al Roselli3. È infatti certamente del Calderoni «invece di ms. Rosello», che da una tenzone col Burchiello era uscito malconcio. Vedi pure Flamini, op. cit., p. 658, il quale lo attribuisce al Calderoni in base all’ed. londinese, cit. sopra, dei sonetti del Burchiello e di altri.
3. Antichi e buoni della buona e bella, capitolo in terza rima, dato all’A. dal cod. fiorentino II. IV. 250; ma il primo verso è sbagliato, e la composizione, che comincia: Antichi amanti della buona e bella, è sicuramente di Niccolò da Uzzano, a cui è attribuita da vari codici (cfr. Flamini, op. cit., p. 753).
4. Biondo, se amor non è altro che fede, sonetto, attribuito all’A. («B. de Albertis ad Blondum») dal cod. Marc. Ital. IX. 204, c. 46v; ma lo stesso sonetto, diretto ad un Giorgio e non al Biondo, figura tra le rime di Giusto de’ Conti. Cfr. Flamini, op. cit., p. 635, e l’ediz. del Canzoniere di Giusto dovuta a L. Vitelli, Lanciano, 1918, I, p. 75 e n. 1. Curioso, nondimeno, il cambiamento del nome del destinatario e la diversa attribuzione: piccolo problema che richiederebbe un riesame dei codici delle rime di Giusto.
5. Cruda selvaggia fuggitiva e fiera, canzone, anonima nel Magl. VI. 200 (dove figura subito dopo l’Ecatonfila dell’A.), ma attribuita all’A. nel cod. 7 della Bibl. Comunale di Forlì. Essa risale invece al Trecento, e fu composta da Bartolomeo da Castel della Pieve, a cui la dànno una ventina di codici (cfr. F. Novati, in «Giorn. stor. d. lett. ital.», XII, 1888, p. 211).
6. Forze d’erbe di pietre e di parole.
7. S’i’ ritornassi al desiato loco.
Queste due sestine sono attribuite all’A. dal cod. Magi. VII. 1145, e la prima pure dal Vat. Lat. 3213. Il Bonucci le stampò dal cod. fiorentino tra le opere volgari dell’A. (ed. cit., V, 356-359). Il Flamini invece (op. cit., pp. 635-6, 728) le attribuì a Rosello Roselli, tra le cui rime, trascritte pure da sua mano, figurano nel cod. Riccard. 1098, cc. 149v e 174r. Questa attribuzione fu accettata anche da E. Bruti nel suo studio sul canzoniere del Roselli in «Atti dell’Accad. degli Agiati», s. IV, vol. 7, 1925, pp. 81-199 (e soprattutto pp. 130-31, 174-75), malgrado le osservazioni contrarie fatte dal Mancini nell’Appendice alla sua ed. del Vasari, Vite cinque, cit. sopra, pp. 204-5. Per il Flamini come poi per il Bruti l’autografia del cod. Ricc. era la prova assoluta della paternità roselliana di tutt’e due le sestine, ma il Mancini vide bene che la situazione della prima (Forza d’erbe) in quel cod. era diversa. Mentre l’altra sestina si trova in mezzo a sonetti e canzoni certamente del Roselli, questa invece è trascritta all’inizio delle composizioni roselliane, subito dopo una copia del Canzoniere petrarchesco fatta dalla stessa mano. Ivi Forza d’erbe è intitolata semplicemente Sestina, accanto a cui un’altra mano aggiunse poi Rosellus. Forte anche dell’autorità del Vat. 3213 e della trascrizione secondo lui più corretta di questo cod. e del Magliabechiano, il Mancini sostenne l’attribuzione di Forza d’erbe all’A. e la ristampò come sua (ed. cit. p. 208). Il Bruti accennò, senza discuterla, alla attribuzione all’A. di questi codici, confessò che «la chiusa della sestina come è in questo ms. (il Magl. VII. 1145) è assai più chiara che nel Riccardiano», e perciò accettò la lezione degli ultimi versi del cod. che la dà all’A., anziché l’autografo del Roselli stesso4.
Le ragioni per cui escludo le due sestine sono perciò diverse. La posizione di S’i’ ritornassi nell’autografo del Roselli mi pare che confermi l’attribuzione a lui contro la testimonianza del Magliabechiano. Per Forza d’erbe, contro le giuste osservazioni del Mancini bisogna dire che pesano altre considerazioni di ordine interno. Prima di tutto, il Ricc. porta correzioni del Roselli, il quale ha raschiato qua e là qualche parola o frase e sostituito altre lezioni sue che non figurano negli altri codici5. È difficile credere che abbia voluto far questo su un testo non suo. Inoltre, contro alla «grandissima somiglianza coi versi unanimemente riconosciuti di Battista» affermata dal Mancini, va rilevato il fatto che il riferimento nella terza stanza alla lunga durata di questo amore (‘ Già dodeci anni son visso in tal guerra ’) non trova riscontro nelle altre rime dell’A., mentre esso è caratteristico delle rime del Roselli (cfr. E. Bruti, op. cit., p. 116).
8. Se io, donne, per voi m’affaticai, sonetto, si legge nel cod. II. IV. 38 della Bibl. Naz., Firenze (F1 ) a c. 167r in fondo all’Amiria di Carlo Alberti fratello di Battista. Il Bonucci ha voluto attribuire Amiria e sonetto all’A.
9. Ippolito e Dianora, poemetto in ottava rima, attribuito dal Bonucci all’A. Rimandiamo la discussione alla Nota sulla novella (in prosa) di Ippolito e Lionora (nel vol. III di questa edizione).
C) RIME PERDUTE
Le seguenti poesie dell’Alberti rimangono introvabili:
1. Nel lib. III Profugiorum ab ærumna FA. fa dire ad Agnolo Pandolfìni: «Sono versi qui di Battista in suoi poemi toscani in quali imitò Virgilio:
Grave più cose già soffrimmo altrove, |
I versi citati corrispondono all’Eneide, I, 198-99.
2. Nella sua Vita di L. B. Alberti il Vasari scrive che l’A. «fu il primo che tentasse di ridurre i versi volgari alla misura de’ latini, come si vede in quella sua epistola:
Questa per estrema miserabile pistola mando |
3. Cristoforo Landino accenna nella Xandra a certe querele sul passero scritte da Battista, ma non si sa quale forma avessero né se fossero volgari o latine8.
A queste precise indicazioni vanno aggiunte le testimonianze quattrocentesche della Vita anonima: «Scripsit... et versu elegias, eclogasque atque cantiones et eiuscemodi amatoria»; e del Landino «quando cominciò a leggere in studio i sonetti del Petrarca»: «ha scritto Batista Alberti egloghe ed elegie tali, che in quelle molto bene osserva e pasturali costumi; et in queste è maraviglioso in exprimere, anzi quasi dipigniere tutti gli affetti e perturbazioni amatorie»9. Per le egloghe dell’A. si veda anche la testimonianza di Sofrona (nel vol. III di questa edizione).
D) LA PRESENTE EDIZIONE
1. Io vidi già seder nell’arme irato (sonetto).
Cod. unico: II. IV. 250, Bibl. Naz. Firenze (F14), che riproduco con pochi cambiamenti della grafia: scrivo occhi non ochi, troppo non tropo (tre casi hanno il doppio); ceda e veloce, non cieda e velocie; summerse non summersse; corrisponde, immisse, non conrisponde, inmisse; e non et. Ho corretto l’ipermetria dei vv. 1 6, 7, 8, 9, 12, 14, dove il cod. legge rispettivamente: sedere, lagrimare, pure, alcuno, volare, essere, volere; e al v. 14 ho emendato mal su mai del codice.
Tramandato da tre codici: i fiorentini II. IV. 250 (già Magl. VII. 1009) (F14), e Magl. VII. 1171 (F11), e il Bodleiano, Oxford, Add. A. 12 (Ox). Edizione: Bonucci, V, 352, fondata su F14 . Fondiamo il testo su Ox, che pare offrire la lezione migliore, e diamo le varianti degli altri codici.}}
et vide amante F11 che vidi amanti 9. F14 Dieddegli strali e facie in mano ed arco F11 Diede facie in mano strale et arco 11. F11 piaga 12. F11 chi fuggie e chi segue 14. F11 sospiri.
Esiste in due codici: Laur. Red. 54 (L3) e Bibl. Naz. Firenze II. IV. 48 (F4). Edizione: Bonucci, V, 351. Le poche differenze tra i codici sono puramente grafiche. Seguiamo il testo del più antico, L3, togliendo soltanto qualche sillaba superflua (1. igniun(o) 5. convien(e)).
L’edizione critica di questo sonetto richiederebbe una ricerca più larga di quella che abbiamo potuto fare, nonché una conoscenza più profonda della nostra in materia e lingua burchiellesche. Abbiamo letto il sonetto nei codici seguenti: Bibl. Naz. Firenze II. IV. 250 (F14); Vat. Barb. Lat. 3917 (V2); Vat. Barb. Lat. 3936 (V3); Vat. Reg. Lat. 1973 (V6); Vat. Ott. Lat. 2151 (O1 ); Udine, Bibl. Com., Cod. 10 (U); in varie antiche edizioni di rime del Burchiello, e nell’edizione di Londra, 1757, P. 231. Tra queste testimonianze il cod. F14 si distingue soprattutto per la lezione del v. 3 far lellate contro star celate delle altre: lezione difficilior e toscanissima10. Per questa ragione e per la sua coerenza contro le molte piccole varianti degli altri codici abbiamo fondato il nostro testo su questo codice. Ecco le varianti principali (segnaliamo con Lon quelle dell’ed. londinese):
sognate 8. U e qui, Lon fama 10. V2 cosa che sia 11. F14 sentire a noi si faccia di sua strida, ma gli altri (con piccole varianti) hanno la lezione da noi stampata; una certa confusione sarà nata in questo verso (V3 legge: sentir si faccia di sua faccia strida ) alla quale la lezione di F14 ha l’aria di voler rimediare 13. V3
grattando 14. V2 V6 O1 U Lon Quand’è più morto, e più, V3 e quant’è morto pur feroce grida 15. V2 perché l’aria è si cruda, O1 dove l’aria è più cruda, Lon dove l’aria è sì cruda.
Codici: Magl. VII. 1145 (F10); Harvard Typ. 24 (H). Edizione: Bonucci, V, 355 (priva però della seconda metà del v. 1).
Mi fondo su F10, preferendo però la lezione di H nei vv. 9, 10.
Cod. unico il Casanatense 601 (Ca). Edizioni: Mancini 1882, 1890; Ponte, Grayson.
Riproduco il testo secondo il cod. e l’edizione da me pubblicata sulla «Rass. d. lett. ital.» cit., stampando in maiuscoletto i nomi nascosti (Lauromina e Batista).
Codici: Magl. VII. 1145 (F10); Casanatense 601 (Ca).
Edizioni: Bonucci, V, 355-56 (fondata su F10 ), Ponte (fondata su Ca), ma tutt’e due non molto corrette. Seguo Ca.
Codici: II. IV. 38 (F1); Magl. VIII. Var. 33 (F9); Magl. VII. 1145 (F10); Magl. VII. 1171 (F11); Pai. 212 (F12); Riccardiano 2608 (FR 3 ); Vat. Barb. Lat. 4051 (V5). Edizione: Bonucci, V, 362-67.
Fondo il testo su FR 3 e il suo affine F1 .
Codici: II. IV. 38 (F1); Magl. VIII. Var. 33 (F9); Magl. VI. 200 (F13); Vat. Barb. Lat. 4051 (V5). Edizione: Bonucci, V, 367-72.
Fondo il testo su F1 .
Codd. Magl. VII. 1145 (F10 ); Harvard Typ. 24 (H).
Mi attengo in linea di massima alla lezione di F10, le cui caratteristiche linguistiche mi sembrano più attendibili di quelle di H copiato da Felice Feliciano (cfr. Tirsis). Edizione: Bonucci, V, 359-61.
Mancano in H i nomi degli interlocutori dell’egloga. In F10 accanto ai vv. 1 e 60 si legge M. B. (Messer Battista), e al v. 16 Corimbo.
Codice: Harvard Typ. 24 (H). Edizione: Grayson, 1956 (a cui si rimanda per uno studio della forma e del contenuto dell’egloga e della sua posizione nella storia del genere bucolico).
Siamo intervenuti ad uniformare la grafia settentrionale del codice nei casi seguenti: abbiamo
a) tolto le h inutili (cercha, ecc.), come pure i dopo g palatale (fugie); rimesso invece l’h in girlandette;
b) sostituito y con i (Tyrsis), x con ss (saxi) o s (exclusi), que con che (cinque), s con sc (usir), -gli con -lli (arbosegli in rima con belli);
c) introdotto la doppia nelle serie seguenti: augeleti, dispiacici, dona, fugie, giovarceli, sano, ridà, inzucharate, mottegiare, moteggi, racontar, soferto; e il raddoppiamento sintattico in quel Alpe, ecc.; ma sostituito la scempia in cossì, crudelle, peccorelle;
d) reso i vari esempi di ç con z o zz secondo il caso: ançi, saçiarla, striçi (> z); occhiaçi, laçi, striçi (> ç).
Emendiamo la lezione del cod. ai vv. 6 (I), 59 (sogionsi cantan), 64 (vah).
Codici: Firenze, Bibl. Naz. II. IV. 250 (F14), II. VIII. 23 (F16), Magl. VII. 1084 (F16); Laur. Plut. XC. Inf. 35 (L4), Plut. XC. Sup. 63 (L5); Ricc. 2815 (FR5); Roma, Vat. Ott. Lat. 2151 (O1); Casanat. 601 (Ca).
Edizioni: Trucchi (delle prime due parti, cioè dei vv. 1-350); Mancini, 1890 (le prime due parti fondate su codd. fiorentini, e la terza su Ca).
Pongo a base della presente edizione il cod. Ca, che è il solo che dia il testo intero della frottola e si distingue dagli altri codd. per varianti di sostanza nei versi 1-350 (tutti gli altri danno soltanto le prime due parti). Segnalo qui sotto le varianti più importanti e i casi in cui sono intervenuto per correggere la lezione di Ca. Nell’apparato ‘codd.’ significa tutti i codd. salvo Ca.
D’ora in poi si segnalano gli interventi nel solo cod. Ca.
374. sic Ca; Mancini corregge si langue, ma tutto il discorso è in passato remoto e non escludo la possibilità di langue = languido 388. Ca dolce 411. Ca amare 473. Ca sospiri 566. Ca prende 587. Ca oignora.
Sono sedici esametri composti per il secondo certame coronario del 1441.
Codici: Ricc. 1142 (FR 4); Vat. Ott. Lat. 1481 (O).
Edizioni: Mancini, Vita di L. B. A. (1a ed.), p. 232, e Opera Inedita, pp. 236-7; Carducci, La poesia barbara..., pp. 3-4.
Seguo il testo di FR4, e do qui sotto le varianti di O.
Titolo: FR4 De amicitia versi exametri per la scena facti e recitati pubblice per Bap. degl’Alberti.
4. O cum 5. O fuggie 6. O commodo possa 7. O mai ne vien; FR4 conporta 8. FR4 l’invidi, O l’invidia contro11 9. O veggio 11. O Hoggi; FR4 vedrete, O credrete 14. O legereti mei 15. O molta 16. FR4 amerete così sarete, O amereti poi così stareti.
Figura adespoto in due codici: Magl. VI. 200 (F13); Harvard Typ. 24 (H), accanto ad altre opere sicure dell’Alberti, e può perciò accettarsi come suo. Edito dal Bonucci, vol. III, p. 295.
Di nessun peso le varianti tra i due codd. In casi di lieve divergenza mi attengo a F13 (ai vv. 2 e 12 H ha el, e al v. 8 el per e).
Questi ultimi tre componimenti si leggono sotto il nome dell’Alberti nel cod. Vat. Lat. 3213, e furono pubblicati come suoi dal Mancini in G. Vasari, Vite cinque, pp. 205-9. Siccome non figurano altrove con attribuzione diversa, saranno da accettare fino a prova contraria come opere dell’Alberti. Mentre le sestine s’inquadrano bene negli altri componimenti albertiani di questo tipo, va notato che il sonetto contiene un riferimento dantesco che sarebbe, per quanto io sappia, unico nelle opere dell’Alberti.
Noto qui alcuni casi in cui sono intervenuto per correggere il codice.
15. | v. 4 cod. nvenchi |
16. | v. 1 Mancini ancor v. 27 cod. sospiri, core v. 32 cod. asconda v. 36 cod. sprezando |
17. | v. 2 cod. grava v. 10 cod. rannodare v. 28 cod. tristeza v. 32 Mancini ombra v. 33 Mancini quai. |
Note
- ↑ Cito in questo elenco soltanto le edizioni più importanti o più recenti, e riproduco i capoversi tali quali figurano nelle varie stampe: l’elenco cioè non esclude la citazione di altre stampe, specie antiche, nelle note critiche che seguono sulle singole composizioni.
- ↑ Ringrazio vivamente l’amico Michele Messina che mi ha aiutato con informazioni e consigli a risolvere il problema di questo e di altri sonetti burchielleschi. I riferimenti a codici e stampe si potrebbero moltiplicare, ma non credo che possano cambiare in questo caso la nostra conclusione.
- ↑ Non elenco qui i codici e le stampe, di cui mi ha dato generosamente notizia il Messina. Speriamo di vederli presto elencati in qualche sua futura pubblicazione di materiale burchiellesco.
- ↑ Ecco gli ultimi tre versi secondo il cod. Ricc.:
Per le false parole et aspro nodo
d’Amore, e tanta guerra mi fa ’l cielo,
chiamo Morte ogni giorno per mia donna,e secondo il Magi, e il Vat.:
Le parole d’amore e l’aspro nodo
e la guerra del cielo e di mia donna
mi fa chiamar la morte notte e giorno.
Si noti il cambiamento delle parole-rima e il fatto che il primo verso del congedo in tutt’e due le redazioni non riprende la parola-rima dell’ultimo verso della stanza precedente (che sarebbe ‘parole’). Nelle sestine dell’A. quest’uso è invece normale.
- ↑ Do qualche esempio. Al v. 24: «Ella si fugge e a me s’oscura el cielo» a me è scritto sopra raschiatura (probabilmente di poi che è lezione degli altri due codici); al v. 27: «né che udite sieno mie parole», scritto sopra raschiatura (gli altri codd.: «e che non sieno udite mie parole»); al v. 29: «che po più che non po homo né donna», scritto sopra raschiatura (gli altri codd.: «che ha possanza più ch’ogni altra donna»). Per altre varianti cfr. l’ed. cit. del Mancini.
- ↑ Vedi p. 174 di questo volume.
- ↑ Cito il passo dall’edizione del Mancini, Vite cinque cit., pp. 28-29 e n. 1. In una nota sulla prosodia albertiana preparata dal dott. Mario Geymonat e gentilmente prestatami dall’autore tramite il prof. Gianfranco Folena, si rileva che lo stesso distico fu citato dal padre
Giulio Negri S. J. nella sua Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara, 1722, p. 350, «che precisa che il distico farebbe parte di un Liber epistularum ad Carolum fratrem, e che ce lo tramanda nella forma seguente:Questa per estrema, miserabile epistola, mando
a te, che sprezzi rusticamente noi».Come nota il Geymonat, la variante rusticamente non solo dà miglior senso ma risulta metricamente più corretta. Gli esprimo qui la mia gratitudine per la visione della sua nota ancora inedita. Vedi anche più avanti a p. 403, nota.
- ↑ C. Landino, Carmina Omnia, a cura di A. Perosa, Firenze, 1939, A. XIII, vv. 29 sgg., p. 15 (cfr. anche Mancini, Vita di L. B. A., 2a ed., Firenze, 1911, p. 82).
- ↑ La Vita anonima si legge in Muratori, Rer. Itat. Script., XXV, 1731, pp. 296 sgg., e in Bonucci, Op. volg. cit., I, pp. lxxxix sgg.; correggo però cantiones (non contiones) secondo il cod. G. IV. 29 della Bibl. Univ. di Genova. L’orazione del Landino si trova nella Misc. di cose inedite e rare, Firenze, 1853, di F. Corazzini, pp. 125 sgg. Vedi anche Landino, Carmina, ed. cit., B. XXVII, p. 144.
- ↑ Cfr. il verbo lellare nella frottola Venite in danza, v. 39.
- ↑ Per la correzione invida e per la lezione del v. 16 sono debitore al dott. Geymonat (v. sopra, p. 395, n . 2).